LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE
Se tutto ciò, che abbiamo veduto, cioè che il fare, non la propria, ma la volontà di Dio, è cosa tanto obbligatoria, tanto onorevole, tanto dolce e dilettevole, non fosse bastante a persuadere ad alcuno il sommo bene, consideri il grande interesse ed utile, che questo porta: perché se solo l'interesse (utilità incerta in cose che non sono di utile, ma piuttosto di pericolo e di danno), può tanto nei cuori umani, che fa loro lasciare la pace e la quiete e la patria e i figli e le mogli, e li fa andar volontariamente in esilio, e fa loro mettere a rischio la vita, per mari e deserti, avventurandosi a ogni rischio, e passando per mille travagli e incomodità; l'interesse tanto grande e le utilità che seguono dal fare la volontà di Dio, come or ora vedremo, uniti insieme con tanto gran gusto, e con tanto onore, e con l'adempimento di tante obbligazioni, perché non ci muoveranno a lasciare almeno i nostri desideri, restando noi con ciò in sicuro, senza avventurar la vita, né la salute temporale, anzi acquistandone l'eterna?
Giunti adunque a veder i guadagni, che sono nel fare non la propria, ma la volontà divina, basta dire, che con ciò si schivano tutte le sollecitudini e gli errori, e si accerta sempre in tutto quello che si fa. Onde, siccome non v'è cosa, che ci sia più utile, o per dir meglio, non ve ne ha al cupa che sia utile, se non il fare la volontà di Dio; così non ci é cosa che ci sia più dannosa che il fare la propria volontà la quale non si adempie mai senza nostro gran danno. Quindi è, che con ragione dicono comunemente i Santi, che la propria volontà è radice ed origine di tutti i mali. E anche Aristotele, perché uno sia prudente e non erri nel giudicare le cose, ricerca per fondamento della prudenza una buona volontà libera dell'amor proprio e sciolta da ogni affetto. Dimodochè, così per non errare nel giudicare le cose, come per essere sicuri di ciò che facciamo, è necessario non fare la nostra volontà, né lasciarci dominare dai nostri desideri; ma liberi da ogni affezione di cosa creata, rivolgere l'affetto solo all'adempimento della divina volontà, attendendo solamente ad essa; perché è impossibile di essere sicuri in altra maniera.
Si considerino anche solo i danni temporali, che ci hanno fatto i nostri desiderii e la nostra volontà. Quante infermità ci hanno occasionato gli eccessi nel mangiare, che per sua cagione abbiamo fatto? Quante perdite di roba ha causato a quelli, che la desiderano, una collera e un affetto non mortificato? Quante disgrazie, quanti disgusti, quanti timori? Veramente non vi è maggior utilità e giovamento che gettar via da noi questa spada, con la quale ci feriamo, versare questo veleno, che ci attossica, seppellire, abbruciare questo strumento de' nostri danni, cacciare dalle anime nostre questo demonio, che ci molesta. E però non senza ragione il santo Pamenes rispose ad uno, che si lamentava di essere combattuto dai demoni, dicendo: Non combattono con noi i demoni, quando facciamo le nostre volontà; perché esse ci servono di demoni, che ci tribolano e combattono.
La nostra propria volontà è lo spirito più maligno, che ci fa cadere: il coltello più acuto, che ci tronca il collo: il veleno più potente, che ci ammazza: la morte più micidiale, che ci priva della vita. Con ragione S. Anselmo la paragonò a un'erba velenosa e mortifera, va meravigliandosi il santo, che, dopo di aver noi veduto per esperienza la morte che cagionò a' nostri primi padri, non tremiamo da capo a' piedi della sua malizia, la quale egli dichiara con una similitudine, così: La volontà propria è simile a un'erba velenosa e mortifera, la quale un savio medico ha proibito che ne mangino quelli di una certa famiglia, sotto pena di riempirsi di lebbra e di quella senza dubbio morire. Ma essi, non facendo caso della minaccia, ne hanno mangiato, e subito si sono riempiuti di lebbra, generando figliuoli lebbrosi, e finalmente morirono.
E i loro figliuoli sono sì stolti, che conoscendo il male che quel cibo ha causato a' loro genitori e a sé stessi, tuttavia non cercano e non mangiano avidamente altro che quest' erba: e ogni lor vivanda con questa mala erba condiscono: la mattina, subito levatisi da letto, mangiano di quella, come fosse per loro medicina salutare, e il medesimo fanno, quando vanno a dormire. Chi è che nell'udir questo, non reputi questa gente senza giudizio? Ma è maggior sciocchezza e pazzia il dolersi della nostra propria volontà, poiché essa è quell' erba del demonio, velenosa e pestilenziale a tutti coloro che l'adoprano; perciò Dio la proibì a' nostri primi padri, quando vietò loro di mangiare dei frutti di un albero. Ma essi, soddisfacendo la propria volontà, calpestarono quella di Dio, e così, fatti peccatori e morendo nell'anima, generarono parimenti figliuoli peccatori. E con tutto ciò non si trova cosa che gli uomini maggiormente cerchino, che la propria volontà, che vanno mescolando in tutto ciò che fanno. Veramente non vi ha uomo più stolto e pazzo di costoro, i quali non adoprano cosa con maggior gusto che la lor morte nascosta nella loro propria volontà. In questa maniera dichiarò S. Anselmo qualche parte dei danni, che si trovano nel fare la nostra volontà e la grande stoltezza nostra di non tremare. Ma ancorché non avessimo altro che temere della nostra volontà, solo per castigare e far vendetta di chi ci ha fatto tanti mali, anche temporali, non lo dobbiamo obbedire.
Che sarà poi, se considereremo i danni spirituali e la perdita dei beni eterni? Quante volte ci siamo veduti con un piè nell'inferno, per seguire la nostra volontà? Di quanti doni divini ci siamo malamente serviti, disprezzando infinite volte la grazia e il sangue del Figliuolo di Dio? E quale maggiore soddisfazione dell'assicurare noi stessi di noi medesimi, che si ottiene con fare la volontà di Dio e non la nostra? E qual maggiore utilità di essere sicuri di scegliere il meglio, guardando ad un punto sicuro, che è la volontà divina, la quale vuole solamente quello che è bene per noi? Che cosa è più giovevole che il ritrovare un'arte di far sempre ciò che è più utile? Poiché veramente non possiamo desiderare cosa migliore, né più utile per noi. di quello che Dio ci desidera. Poiché il volere e desiderare bene ad uno nasce dall'amore che gli si porta: e tanto maggiore è questa volontà e desiderio di bene, quanto maggiore è l'amore. Ora amandoci Dio assai più incomparabilmente di quello, che noi amiamo noi stessi, ci desidera e vuole più bene incomparabilmente, che non ci desideriamo noi medesimi. Dall'altra parte Dio non può errare in conoscere quello che conviene per noi; perché è sapienza infinita e la sua provvidenza non è come la nostra esposta a pericolo di inganni.
Noi non sappiamo quello che è bene per noi; e però se non vogliamo errare, dobbiamo seguire il suo gusto e la sua volontà, che sempre cerca il nostro bene, senza ingannarsi in esso: e ce lo desidera infinitamente più di quello, che ce lo possiamo desiderare noi medesimi. Di modo che non ci è cosa più utile per noi di quello che Dio vuole. E però se noi non vogliamo male a noi stessi, non dobbiamo volere altra cosa. Oh come fa vergogna Epitetto filosofo a molti cristiani, mentre riprendendoci, dice: Uomo ignorantissimo, desideri per avventura altra cosa che quello che è meglio? E può forse esserci cosa migliore di quello che piace a Dio? E perché la volontà di Dio ha due parti, l'una che vuole che facciamo qualche cosa, l'altra che vuole che soffriamo qualche cosa, per questo c'invia infermità, travagli e altre cose di sentimento e di dolore: acciocché ci persuadiamo maggiormente che questa è la cosa più utile e profittevole per noi.
Consideriamo che, oltre l'esser Dio infinitamente buono, per il che desidera ogni nostro bene, e oltre l'esser infinitamente saggio, sicché non può ingannarsi in conoscerlo, è ancora infinitamente potente, onde non è debolezza, né impotenza il non liberarci dagli incommodi, in cui ci troviamo, essendo a lui tanto facile l'uno, quanto l'altro; ma perché sa che hanno ad essere bene per noi e perché ce lo desidera svisceratamente, ci ritiene in quelli e ce li manda, servendosi in ciò della sua onnipotenza. Tutto questo è una chiara dimostrazione di quanta utilità e giovamento sia il fare e il volere solo quello, che vuole un Signore così onnipotente, saggio e buono per noi, e non quello che la nostra volontà desidera; la quale né sa accertarsi in quello che vuole, né può eseguirlo: né del nostro medesimo amore, riceviamo tanto contento, quanto di quello di Dio. E questo é una grande consolazione, che dobbiamo avere in tutte le cose: considerare, che quello, che ordina Sua Divina Maestà, é solo quello che ci sta bene e ci è utile. Dell' altre cose dobbiamo temere, come di nemici armati; e dobbiamo pur tremare dei nostri medesimi desiderii, se vogliamo altra cosa, che quello che egli vuole. E se Dio ci lasciasse fare qualche cosa a nostro gusto o arbitrio, dobbiamo intimorircene. Nelle mani di S. Francesco Borgia lasciò Dio la vita della sua moglie; ma il santo, tremando della sua volontà, non volle valersi di questa grazia e privilegio; ma rimettendo il tutto alla divina provvidenza, pregò il Signore, che lo determinasse egli e non lo lasciasse in sua balia. Veramente è tanto giusta, tanto ragionevole e tanto inclinata al nostro bene la volontà divina, che non abbiamo bisogno d'altra ragione, né causa per adempirla in ogni cosa.
Ma oltre ciò, sono molte le utilità, che da ciò seguono. E qual maggiore interesse di quello che risulterà a uno, il quale, come ho detto, ha realmente e rigorosamente per vero amico il medesimo Dio; e ciò solo con adempire la Sua volontà? poiché l'amicizia di Dio non è sterile, né si ferma solo nell'affetto; ma è efficace, e il suo amore è secondo i beneficii, e riempie di grazie e favori quello che ama e tiene per amico. E' però, come potranno non essere grandi le utilità che si ritrovano in questa amicizia? E tanto più che Sua Divina Maestà arriva fino ad accomodarsi alla volontà umana con quella esattezza, che si è detto, facendo quello che i suoi servi desiderano o potrebbero desiderare. Che se dagli uomini si stima utile un servo, perché sa fare solamente con puntualità la volontà del suo padrone; come può non essere utilissimo per noi l'aver un Dio onnipotente, pronto a fare quello che vogliamo con la puntualità, che dice Davide parlando con Dio, della maniera ch'Ei si porta col giusto: Gli concedesti il desiderio dell'anima sua e non lo defraudasti della volontà delle sue labbra (Sal. 20, 3), cioè di tutto ciò che seppe domandare.
Che sarà dunque, se considereremo il tesoro dei meriti, che si acquistano con questo esercizio, facendo tutte le cose per amor di Dio e per adempire la sua santissima volontà? V'ha in ciò interesse tanto grande quanto se uno di legni e di pietre vilissime facesse perfettissimo oro; perché le opere che per sé stesse non sono meritorie, come sono le indifferenti, e quelle che sono necessarie per sostentar la natura, come il mangiare e il dormire, e quelle che per sé stesse, sebbene grate a Dio, sono di minor virtù, s'innalzano con questo esercizio ad essere preziosissime e della più eccellente virtù che é la carità: perché con questo uno va amando Dio continuamente e senza intermissione, perché la prova dell'amore é l'avere un medesimo volere e non volere, e questo vuole perfettamente quello che Dio vuole. Di maniera che anche col dormire merita, non volendo quel riposo naturale se non é di gusto di Dio. Dal che ne segue che quegli che cammina con questa avvertenza, fa molte opere meritorie e di molto maggior merito; perché derivano dalla virtù più eccellente e di maggior merito, che é la carità e amor di Dio, che consiste nell'avere un medesimo volere con lui, la qual virtù non solo si esercita con questa occupazione, ma va del continuo crescendo poiché quegli che si spropria del suo volere e affezione, è più disposto a conoscere le cose divine e a ricevere maggiori illustrazioni dal Cielo, le quali vengono impedite dalle nostre passioni e affezioni; e dall'intendere e conoscere Dio e dall' aver maggiore e più chiaro conosci mento di lui, si accende e si infiamma più l'amor suo; e però le opere che procedono da questo amore, sono più eccellenti e meritorie. Oltre di questo, l'esercizio delle virtù è più facile con questa disposizione: perché attraversandosi molte volte cose ardue e di umiliazione nell'esercitarle, chi non bada ad altro che alla volontà di Dio, non trova inciampo per via.
Finalmente da questo ne caviamo il vivere non in qualsivoglia modo, ma una vita divina che si gode per mezzo di questa intima unione e conformità con Dio. Si consideri di quanto maggior interesse è al corpo 1'unione dell' anima, che 1'essere signore di tutto il mondo; perché senza questa unione non gli servirebbero nulla l'impero e le ricchezze dell'universo: per cui gli uomini stimano più la vita che non tutti i tesori dei re. Se dunque siamo tanto interessati nell'unione e conformità del corpo con l'anima, che farà la congiunzione e l'unione con Dio? E se a un morto non giovano tutte le cose, perché senz'anima, di qual giovamento ci può essere l'anima senza Dio, che è l'anima dell'anima nostra? Perché, siccome non v'ha cosa di giovamento senza la vita, così non vi è vita che giovi, senza Dio.
P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.
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