giovedì 31 dicembre 2020

Che non ci può essere cosa migliore né più utile di quello che Dio vuole.

 


LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE 

Se tutto ciò, che abbiamo veduto, cioè che il fare, non la propria, ma la volontà di Dio, è cosa  tanto obbligatoria, tanto onorevole, tanto dolce e dilettevole, non fosse bastante a persuadere ad  alcuno il sommo bene, consideri il grande interesse ed utile, che questo porta: perché se solo  l'interesse (utilità incerta in cose che non sono di utile, ma piuttosto di pericolo e di danno), può  tanto nei cuori umani, che fa loro lasciare la pace e la quiete e la patria e i figli e le mogli, e li fa  andar volontariamente in esilio, e fa loro mettere a rischio la vita, per mari e deserti, avventurandosi  a ogni rischio, e passando per mille travagli e incomodità; l'interesse tanto grande e le utilità che  seguono dal fare la volontà di Dio, come or ora vedremo, uniti insieme con tanto gran gusto, e con  tanto onore, e con l'adempimento di tante obbligazioni, perché non ci muoveranno a lasciare almeno  i nostri desideri, restando noi con ciò in sicuro, senza avventurar la vita, né la salute temporale, anzi  acquistandone l'eterna? 

   Giunti adunque a veder i guadagni, che sono nel fare non la propria, ma la volontà divina, basta  dire, che con ciò si schivano tutte le sollecitudini e gli errori, e si accerta sempre in tutto quello che  si fa. Onde, siccome non v'è cosa, che ci sia più utile, o per dir meglio, non ve ne ha al cupa che sia  utile, se non il fare la volontà di Dio; così non ci é cosa che ci sia più dannosa che il fare la propria  volontà la quale non si adempie mai senza nostro gran danno. Quindi è, che con ragione dicono  comunemente i Santi, che la propria volontà è radice ed origine di tutti i mali. E anche Aristotele,  perché uno sia prudente e non erri nel giudicare le cose, ricerca per fondamento della prudenza una  buona volontà libera dell'amor proprio e sciolta da ogni affetto. Dimodochè, così per non errare nel  giudicare le cose, come per essere sicuri di ciò che facciamo, è necessario non fare la nostra  volontà, né lasciarci dominare dai nostri desideri; ma liberi da ogni affezione di cosa creata,  rivolgere l'affetto solo all'adempimento della divina volontà, attendendo solamente ad essa; perché è  impossibile di essere sicuri in altra maniera. 

   Si considerino anche solo i danni temporali, che ci hanno fatto i nostri desiderii e la nostra  volontà. Quante infermità ci hanno occasionato gli eccessi nel mangiare, che per sua cagione  abbiamo fatto? Quante perdite di roba ha causato a quelli, che la desiderano, una collera e un affetto  non mortificato? Quante disgrazie, quanti disgusti, quanti timori? Veramente non vi è maggior  utilità e giovamento che gettar via da noi questa spada, con la quale ci feriamo, versare questo  veleno, che ci attossica, seppellire, abbruciare questo strumento de' nostri danni, cacciare dalle  anime nostre questo demonio, che ci molesta. E però non senza ragione il santo Pamenes rispose ad  uno, che si lamentava di essere combattuto dai demoni, dicendo: Non combattono con noi i demoni,  quando facciamo le nostre volontà; perché esse ci servono di demoni, che ci tribolano e  combattono. 

   La nostra propria volontà è lo spirito più maligno, che ci fa cadere: il coltello più acuto, che ci  tronca il collo: il veleno più potente, che ci ammazza: la morte più micidiale, che ci priva della vita.  Con ragione S. Anselmo la paragonò a un'erba velenosa e mortifera, va meravigliandosi il santo,  che, dopo di aver noi veduto per esperienza la morte che cagionò a' nostri primi padri, non  tremiamo da capo a' piedi della sua malizia, la quale egli dichiara con una similitudine, così: La  volontà propria è simile a un'erba velenosa e mortifera, la quale un savio medico ha proibito che ne  mangino quelli di una certa famiglia, sotto pena di riempirsi di lebbra e di quella senza dubbio  morire. Ma essi, non facendo caso della minaccia, ne hanno mangiato, e subito si sono riempiuti di  lebbra, generando figliuoli lebbrosi, e finalmente morirono. 

   E i loro figliuoli sono sì stolti, che conoscendo il male che quel cibo ha causato a' loro genitori e a  sé stessi, tuttavia non cercano e non mangiano avidamente altro che quest' erba: e ogni lor vivanda  con questa mala erba condiscono: la mattina, subito levatisi da letto, mangiano di quella, come fosse  per loro medicina salutare, e il medesimo fanno, quando vanno a dormire. Chi è che nell'udir questo, non reputi questa gente senza giudizio? Ma è maggior sciocchezza e pazzia il dolersi della  nostra propria volontà, poiché essa è quell' erba del demonio, velenosa e pestilenziale a tutti coloro  che l'adoprano; perciò Dio la proibì a' nostri primi padri, quando vietò loro di mangiare dei frutti di  un albero. Ma essi, soddisfacendo la propria volontà, calpestarono quella di Dio, e così, fatti  peccatori e morendo nell'anima, generarono parimenti figliuoli peccatori. E con tutto ciò non si  trova cosa che gli uomini maggiormente cerchino, che la propria volontà, che vanno mescolando in  tutto ciò che fanno. Veramente non vi ha uomo più stolto e pazzo di costoro, i quali non adoprano  cosa con maggior gusto che la lor morte nascosta nella loro propria volontà. In questa maniera  dichiarò S. Anselmo qualche parte dei danni, che si trovano nel fare la nostra volontà e la grande  stoltezza nostra di non tremare. Ma ancorché non avessimo altro che temere della nostra volontà,  solo per castigare e far vendetta di chi ci ha fatto tanti mali, anche temporali, non lo dobbiamo  obbedire. 

   Che sarà poi, se considereremo i danni spirituali e la perdita dei beni eterni? Quante volte ci siamo  veduti con un piè nell'inferno, per seguire la nostra volontà? Di quanti doni divini ci siamo  malamente serviti, disprezzando infinite volte la grazia e il sangue del Figliuolo di Dio? E quale  maggiore soddisfazione dell'assicurare noi stessi di noi medesimi, che si ottiene con fare la volontà  di Dio e non la nostra? E qual maggiore utilità di essere sicuri di scegliere il meglio, guardando ad  un punto sicuro, che è la volontà divina, la quale vuole solamente quello che è bene per noi? Che  cosa è più giovevole che il ritrovare un'arte di far sempre ciò che è più utile? Poiché veramente non  possiamo desiderare cosa migliore, né più utile per noi. di quello che Dio ci desidera. Poiché il  volere e desiderare bene ad uno nasce dall'amore che gli si porta: e tanto maggiore è questa volontà  e desiderio di bene, quanto maggiore è l'amore. Ora amandoci Dio assai più incomparabilmente di  quello, che noi amiamo noi stessi, ci desidera e vuole più bene incomparabilmente, che non ci  desideriamo noi medesimi. Dall'altra parte Dio non può errare in conoscere quello che conviene per  noi; perché è sapienza infinita e la sua provvidenza non è come la nostra esposta a pericolo di  inganni. 

   Noi non sappiamo quello che è bene per noi; e però se non vogliamo errare, dobbiamo seguire il  suo gusto e la sua volontà, che sempre cerca il nostro bene, senza ingannarsi in esso: e ce lo  desidera infinitamente più di quello, che ce lo possiamo desiderare noi medesimi. Di modo che non  ci è cosa più utile per noi di quello che Dio vuole. E però se noi non vogliamo male a noi stessi, non  dobbiamo volere altra cosa. Oh come fa vergogna Epitetto filosofo a molti cristiani, mentre  riprendendoci, dice: Uomo ignorantissimo, desideri per avventura altra cosa che quello che è  meglio? E può forse esserci cosa migliore di quello che piace a Dio? E perché la volontà di Dio ha  due parti, l'una che vuole che facciamo qualche cosa, l'altra che vuole che soffriamo qualche cosa,  per questo c'invia infermità, travagli e altre cose di sentimento e di dolore: acciocché ci  persuadiamo maggiormente che questa è la cosa più utile e profittevole per noi. 

   Consideriamo che, oltre l'esser Dio infinitamente buono, per il che desidera ogni nostro bene, e  oltre l'esser infinitamente saggio, sicché non può ingannarsi in conoscerlo, è ancora infinitamente  potente, onde non è debolezza, né impotenza il non liberarci dagli incommodi, in cui ci troviamo,  essendo a lui tanto facile l'uno, quanto l'altro; ma perché sa che hanno ad essere bene per noi e  perché ce lo desidera svisceratamente, ci ritiene in quelli e ce li manda, servendosi in ciò della sua  onnipotenza.   Tutto questo è una chiara dimostrazione di quanta utilità e giovamento sia il fare e il  volere solo quello, che vuole un Signore così onnipotente, saggio e buono per noi, e non quello che  la nostra volontà desidera; la quale né sa accertarsi in quello che vuole, né può eseguirlo: né del  nostro medesimo amore, riceviamo tanto contento, quanto di quello di Dio. E questo é una grande  consolazione, che dobbiamo avere in tutte le cose: considerare, che quello, che ordina Sua Divina  Maestà, é solo quello che ci sta bene e ci è utile. Dell' altre cose dobbiamo temere, come di nemici  armati; e dobbiamo pur tremare dei nostri medesimi desiderii, se vogliamo altra cosa, che quello  che egli vuole. E se Dio ci lasciasse fare qualche cosa a nostro gusto o arbitrio, dobbiamo  intimorircene. Nelle mani di S. Francesco Borgia lasciò Dio la vita della sua moglie; ma il santo,  tremando della sua volontà, non volle valersi di questa grazia e privilegio; ma rimettendo il tutto alla divina provvidenza, pregò il Signore, che lo determinasse egli e non lo lasciasse in sua balia.  Veramente è tanto giusta, tanto ragionevole e tanto inclinata al nostro bene la volontà divina, che  non abbiamo bisogno d'altra ragione, né causa per adempirla in ogni cosa. 

   Ma oltre ciò, sono molte le utilità, che da ciò seguono. E qual maggiore interesse di quello che  risulterà a uno, il quale, come ho detto, ha realmente e rigorosamente per vero amico il medesimo  Dio; e ciò solo con adempire la Sua volontà? poiché l'amicizia di Dio non è sterile, né si ferma solo  nell'affetto; ma è efficace, e il suo amore è secondo i beneficii, e riempie di grazie e favori quello  che ama e tiene per amico. E' però, come potranno non essere grandi le utilità che si ritrovano in  questa amicizia? E tanto più che Sua Divina Maestà arriva fino ad accomodarsi alla volontà umana  con quella esattezza, che si è detto, facendo quello che i suoi servi desiderano o potrebbero  desiderare. Che se dagli uomini si stima utile un servo, perché sa fare solamente con puntualità la  volontà del suo padrone; come può non essere utilissimo per noi l'aver un Dio onnipotente, pronto a  fare quello che vogliamo con la puntualità, che dice Davide parlando con Dio, della maniera ch'Ei si  porta col giusto: Gli concedesti il desiderio dell'anima sua e non lo defraudasti della volontà delle  sue labbra (Sal. 20, 3), cioè di tutto ciò che seppe domandare. 

   Che sarà dunque, se considereremo il tesoro dei meriti, che si acquistano con questo esercizio,  facendo tutte le cose per amor di Dio e per adempire la sua santissima volontà? V'ha in ciò interesse  tanto grande quanto se uno di legni e di pietre vilissime facesse perfettissimo oro; perché le opere  che per sé stesse non sono meritorie, come sono le indifferenti, e quelle che sono necessarie per  sostentar la natura, come il mangiare e il dormire, e quelle che per sé stesse, sebbene grate a Dio,  sono di minor virtù, s'innalzano con questo esercizio ad essere preziosissime e della più eccellente  virtù che é la carità: perché con questo uno va amando Dio continuamente e senza intermissione,  perché la prova dell'amore é l'avere un medesimo volere e non volere, e questo vuole perfettamente  quello che Dio vuole. Di maniera che anche col dormire merita, non volendo quel riposo naturale se  non é di gusto di Dio. Dal che ne segue che quegli che cammina con questa avvertenza, fa molte  opere meritorie e di molto maggior merito; perché derivano dalla virtù più eccellente e di maggior  merito, che é la carità e amor di Dio, che consiste nell'avere un medesimo volere con lui, la qual  virtù non solo si esercita con questa occupazione, ma va del continuo crescendo poiché quegli che si  spropria del suo volere e affezione, è più disposto a conoscere le cose divine e a ricevere maggiori  illustrazioni dal Cielo, le quali vengono impedite dalle nostre passioni e affezioni; e dall'intendere e  conoscere Dio e dall' aver maggiore e più chiaro conosci mento di lui, si accende e si infiamma più  l'amor suo; e però le opere che procedono da questo amore, sono più eccellenti e meritorie. Oltre di  questo, l'esercizio delle virtù è più facile con questa disposizione: perché attraversandosi molte  volte cose ardue e di umiliazione nell'esercitarle, chi non bada ad altro che alla volontà di Dio, non  trova inciampo per via. 

   Finalmente da questo ne caviamo il vivere non in qualsivoglia modo, ma una vita divina che si  gode per mezzo di questa intima unione e conformità con Dio. Si consideri di quanto maggior  interesse è al corpo 1'unione dell' anima, che 1'essere signore di tutto il mondo; perché senza questa  unione non gli servirebbero nulla l'impero e le ricchezze dell'universo: per cui gli uomini stimano  più la vita che non tutti i tesori dei re. Se dunque siamo tanto interessati nell'unione e conformità del  corpo con l'anima, che farà la congiunzione e l'unione con Dio? E se a un morto non giovano tutte  le cose, perché senz'anima, di qual giovamento ci può essere l'anima senza Dio, che è l'anima  dell'anima nostra? Perché, siccome non v'ha cosa di giovamento senza la vita, così non vi è vita che  giovi, senza Dio. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. 

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