Il Dio-specchio
Accanto al censore interiore, portiamo in noi un altro idolo che ci impedisce di vivere secondo la grazia e che potrebbe venir consolidato da un accompagnamento spirituale maldestro: si tratta dell'immagine idealizzata di sé, immagine riflessa come in uno specchio, che ci si è creata nel corso degli anni e alla quale si può essere appassionatamente legati quanto si è asserviti al censore interiore. Abbiamo tutti presente il mito di Narciso, innamoratosi della propria immagine riflessa in uno stagno e annegato nel momento in cui volle abbracciarla. Questo mito è l'espressione simbolica di un elemento fondamentale della nostra condizione umana: l'immagine ideale di noi stessi - ideale umano, ma a volte anche spirituale, portato alle stelle - è sempre più bella della realtà. Quello che faccio o non faccio, le imprese in cui riesco come quelle in cui fallisco vengono tutte inconsciamente valutate con il metro di questa immagine riflessa di me stesso. Desiderando a ogni costo di essere ciò che non sono in realtà, rifiuto di essere quello che sono: la mia immagine-specchio è la facile consolazione mediante la quale cerco di affrontare la vita come posso. Anche se quest'ultima non è una gran riuscita, mi resta sempre la consolazione di sbirciare verso quell'immagine-specchio che pretendo di aver di mira. L'accompagnatore si trova qui di fronte a una realtà delicata che presenta un rischio considerevole. Una guida spirituale troppo ingenua può infatti favorire l'influenza dell'immagine-specchio, adottandola inconsciamente e intervenendo a partire da essa: applaudirà quando qualcuno agirà in conformità alla sua immagine e rimprovererà nel caso contrario. D'altronde non è solo colpa sua se assume l'immagine riflessa del suo discepolo: fin dall'inizio quest'ultimo si è inconsciamente dato da fare perché questo avvenga. In mancanza di meglio, si è presentato alla sua guida con lo specchio in mano, per così dire, con i lineamenti di questa immagine idealizzata che si è creato a suo uso. E siccome nulla è più rassicurante per entrambi i protagonisti del dialogo, l'accompagnatore non tarda a cadere in trappola. Da quel momento è a sua volta al servizio dell'immagine-specchio e ridotto a un semplice annesso alla problematica del discepolo. Ebbene, la pedagogia di Dio va esattamente in senso inverso: Dio fa di tutto per spezzare lo specchio e l'immagine. Quando questo avviene, può avere conseguenze molto serie: bisognava che Paolo cadesse a terra e restasse cieco per tre giorni; per diventare apostolo non poteva più vivere guardandosi allo specchio della perfezione giudaica, al contrario, doveva riconciliarsi con la propria debolezza e i propri limiti e magari addirittura con l'ambiguità del proprio peccato. Questo non sarebbe potuto capitare prima di incontrare Gesù, ma avvenne immancabilmente nel momento stesso in cui gli apparve Gesù. Come per Paolo e per molti altri convertiti, nel momento in cui lo specchio e l'immagine vanno in frantumi si apre una crisi temibile. Ci sembra di aver perso ogni punto d'appoggio, di essere scossi fin nelle fondamenta: è come se il terreno, quel terreno sul quale avevamo edificato tutta la nostra personalità, ci franasse sotto i piedi. In momenti simili l'esperienza spirituale può sfiorare il crollo psicologico, pericolo che può essere scongiurato solo da quanto ci viene rivelato nel medesimo istante: l'amore e la misericordia infiniti di Dio, in una parola: la grazia. Proprio a partire da una simile esperienza Paolo potrà più tardi affermare convinto: "Per grazia di Dio sono quello che sono" (1Cor 15,10). In quest'attimo decisivo, il ruolo del padre spirituale si limita a predisporre tutto per favorire questo incontro con Dio o, per lo meno, a mantenerne aperta la strada. Infatti, non appena lo specchio e la sua immagine idealizzata sono in frantumi, la strada è realmente aperta. L'accompagnatore resisterà alla tentazione di raccogliere i cocci dell'idolo per tentarne un restauro: nulla sarebbe più funesto, anche se l'interlocutore dovesse ottenerne un momentaneo sollievo. Non c'è alcun pretesto che autorizzi la ricostruzione di un nuovo idolo. Al contrario, il discepolo imparerà a dimorare accanto ai cocci dell'idolo primitivo, senza amarezza, nella tranquillità e nell'abbandono, con il cuore ben presto colmo di riconoscenza e di speranza. Nella maggior parte dei casi, in una crisi del genere, saranno la pace, la fiducia e la comprensione affettuosa della guida ad aiutare il discepolo. Proprio il padre spirituale sarà spesso il primo segno dell'amore di Dio e il canale attraverso il quale si manifesterà al discepolo sconcertato. Ora che lo specchio con l'immagine idealizzata è in frantumi, la strada è aperta a Dio. E’ estremamente importante, perché il mistero profondo di ogni uomo non consiste nell'immagine idealizzata che si è formato da sé, ma risiede molto più in profondità e può essergli rivelato solo da un'altra persona e in un clima di amore. Spesso il padre spirituale è il primo che incontra sul suo cammino: molto dipenderà dal contatto che si stabilirà con lui. Attraverso le parole della guida, riflesse nel suo sguardo e nel suo amore, il discepolo potrà assumere il proprio essere profondo; non per perdersi nella guida, ma per esserne assunto, capito e confermato in quanto c’è di migliore nella sua identità reale. Allora una parola, un'autentica parola sarà non solo possibile ma anche assolutamente richiesta. Abbiamo già detto come, nei primi momenti del colloquio, le parole vanno utilizzate con circospezione da entrambi gli interlocutori: in genere arrivano troppo presto e danneggiano il dialogo, quando addirittura non lo interrompono definitivamente. Una volta instaurato il clima di fiducia e di amore ed espressi e liberati dall'angoscia e dalla vergogna i sentimenti e i desideri, a quel momento scocca l'ora di una parola che, per quanto discreta, è ormai in grado di dare frutto. Una sola parola, pronunciata con amore e con il tono appropriato, nella maggior parte dei casi è più che sufficiente. Sulla bocca del padre la parola ritrova la forza primitiva che dovrebbe sempre essere la sua: è creatrice, portatrice di vita, come la Parola di Dio. Possiede la forza di destare un uomo nuovo. Una parola simile ci colpisce alla sorgente stessa della nostra libertà, che è anche la sorgente di ogni amore in noi; essa scava e sprigiona la nostra libertà. E alla luce di questa libertà così acquisita, tutto il resto sarà ormai valutato nella giusta misura. Così sarà infine possibile discernere correttamente dove può nascondersi il peccato, operazione spesso non esente da sorprese: ciò che sembrava male appare assolutamente innocente, mentre ciò che veniva preso per virtù si scopre essere illusione. Molto orgoglio nascosto si rivela improvvisamente in modo inatteso, così come la mancanza di amore e di fiducia filiale in Dio. Ma colui che è capace di valutare nella giusta misura il peccato, è anche pronto a lasciarsi inondare dalla misericordia e a trovare la propria gioia più profonda nelle lacrime del pentimento. Eccoci nuovamente alle lacrime: nulla è più liberante delle lacrime. Non per niente gli autori spirituali, già i più antichi, hanno paragonato le lacrime del pentimento all'acqua di un secondo battesimo nel quale dobbiamo essere nuovamente battezzati affinché il primo battesimo dia tutti i suoi frutti.
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