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domenica 28 febbraio 2021

SULLA PREGHIERA

 


LA CONTEMPLAZIONE 


1. La Contemplazione e la Meditazione 

         

a)   Confronto tra la contemplazione e la meditazione 

 

          Come abbiamo detto prima, ci sono due tipi di preghiera mentale: la meditazione e la contemplazione. La meditazione appartiene alla vita ascetica. Questo è già chiaro nell’etimologia dei due termini ‘meditazione’ e ‘ascesi’, perché meditazione nella sua radice latina, quella del verbo meditari, ha lo stesso significato che ascesi nella sua radice greca, quella del verbo askéin: ossia ‘esercitare’. 

           La contemplazione invece non è una specie di preghiera attiva da parte del soggetto, bensì passiva; appartiene non alla vita ascetica, bensì a quella mistica. Nella contemplazione non è il soggetto che opera dunque, bensì Dio Stesso.  

           Qual è il ruolo del soggetto? Il soggetto si lascia afferrare e muovere liberamente da Dio come l’infante si lascia portare nelle braccia di sua madre con un consentimento libero ed allegro. Egli è dunque allo stesso tempo passivo ed attivo: passivo in quanto non può più esercitare le sue facoltà in modo discorsivo, attivo in quanto guarda ed ama Dio. 

Più precisamente, spiega san Tommaso, ‘Dio interviene nel libero arbitrio [del soggetto] dandogli la capacità di agire; e affinché agisca effettivamente, gli lascia la determinazione dell’atto ed il suo fine. Il libero arbitrio rimane dunque il maestro dell’atto, anche se non ne è l’agente primario’. 

Così la contemplazione è piuttosto una preghiera di riposo, di riposo in Dio. Anzi, è una preghiera di riposo in un senso duplice, perché nella contemplazione l’anima si riposa nell’opera di Dio, e l’opera di Dio è riposo. Semper tranquilla Trinitas, tranquillus Deus, tranquillat omnia (san Bernardo). 

Secondo l’ immagine classica, la meditazione è come un tragitto su una barca a remi che richiede uno sforzo da parte del viaggiatore; mentre la contemplazione è come un tragitto su una barca a vela che lascia il viaggiatore riposare. Occorre solo il vento da fuori, che soffi nella vela per far avanzare la barca: il vento è qui l’immagine di Dio Spirito Santo. 

 

b)  Il passaggio dalla meditazione alla contemplazione 

 

Il fatto che la contemplazione sia più perfetta della meditazione non significa però che occorra abbandonare la meditazione prima che Dio lo voglia, prima che Egli ci dia la capacità di contemplare: se ho in mano un biglietto di treno per Roma, non mi presento all’aeroporto. Ciò che importa in questo, come in ogni cosa, è fare la volontà di Dio. 

Come posso sapere che Dio vuole che si inizi a contemplare? San Giovanni della Croce ci fornisce delle indicazioni, di cui la principale è la facilità di pregare in un modo piuttosto che in un altro. Se la meditazione diviene pesante, faticosa, difficile, o complicata, e la persona non riesce a seguirla né a concentrarsi, questo può essere un’indicazione (negativa) che Dio non vuole che lei continui a meditare (a meno che non sia una manifestazione della depressione). Se invece una preghiera più astratta le diviene più facile, come per esempio l’adorazione, la pratica della presenza di Dio, o il ringraziamento dopo la Santa Comunione, questo può essere un’indicazione (positiva) che Dio vuole che la persona inizi a contemplare. 

Padre Tommaso di Gesù OCD fa notare che l’indole più adatta alla contemplazione è quella calma, tranquilla, ed ammiratrice, e che, come abbiamo notato sopra, una persona entrata nella via dell’orazione risolutamente e coraggiosamente, ben decisa a ‘non abbandonarla mai, qualunque siano le sofferenze, le difficoltà, o le tentazioni che si presentano’, raggiungerà la perfetta contemplazione.   

Poiché la contemplazione è più perfetta della meditazione, bisogna lasciare da parte la meditazione quando si riesce a contemplare. Questo non significa però che bisogni lasciare da parte gli oggetti che formavano la materia delle nostre meditazioni, come i misteri della Fede, e soprattutto il Signore Stesso e la Sua Dolorosa Passione e Morte. Questi possono divenire il tema della nostra lectio divina e della nostra lettura spirituale, che possiamo fare anche in modo meditativo; possono divenire altrettanto l’oggetto della preghiera vocale interna, ogni volta che vediamo il crocifisso o la croce.

Padre Konrad zu Loewenstein 

sabato 19 dicembre 2020

SULLA PREGHIERA

 


La meditazione discorsiva e la meditazione affettiva


Vantaggi e svantaggi della meditazione affettiva 


Vantaggi 

Il vantaggio principale è un ’unione più intima e più abituale a Dio. Gli affetti nascono dall’amore per Dio, e poi lo perfezionano, poiché le virtù crescono per mezzo della ripetizione degli stessi atti. Come dice san Bonaventura: ‘La maniera migliore di conoscere Dio è di sperimentare la dolcezza del Suo amore’. Questo modo di conoscenza è molto più eccellente, nobile, e dilettevole che la ricerca per via di ragionamento. 

Aumentando la Carità, l’orazione perfeziona la conformità alla Volontà di Dio, il desiderio della gloria di Dio e della salvezza delle anime, l’amore del silenzio e del raccoglimento, il desiderio della Santa Comunione frequente. Perfeziona altrettanto lo spirito di sacrificio, perché non ci si può unire al Divin Crocifisso né a Dio Stesso se non nella misura in cui si rinunzia a sé stessi e ai propri agi, al fine di portare la propria croce senza cedimento, e di accettare tutte le prove che ci può inviare la Divina Provvidenza. 

Un altro vantaggio è la consolazione spirituale. Infatti non c’è una gioia più pura né più dolce di quella che si trova in compagnia di un amico; e siccome il Signore Gesù è il più tenero e il più generoso degli amici, si gusta nella Sua Presenza qualcosa delle gioie del cielo: esse cum Jesu dulcis paradisus. 

Infine la meditazione affettiva è più semplice e più riposante che la meditazione discorsiva, e in questo modo forma un ponte tra la meditazione discorsiva e la contemplazione acquisita. 

 

Svantaggi 

Ci sono tre svantaggi eventuali, o pericoli, nella meditazione affettiva.  

Il primo è la violenza che un’anima può fare a sé stessa nel produrre slanci di amore. Potrebbe esserci una conseguenza malsana se la sensualità si mescolasse con l’amore verso Dio. In un tale caso l’anima deve capire che l’amore vero verso Dio consiste più nella volontà che nella sensibilità, come abbiamo già detto, e che la generosità di questo amore non si trova negli slanci violenti, ma nella determinazione calma e posata di non rifiutare niente a Dio. Gli affetti devono divenire spirituali e calmi per essere messi al servizio della volontà. In questo modo si gusterà una pace che sorpassa ogni sentimento. 

Il secondo pericolo è l’orgoglio e la presunzione. La persona che cade in questi peccati durante l’orazione, non essendo avanzata molto sulla via della perfezione, deve con urgenza tornare alla pratica dell’umiltà e alla sfiducia in sé stessa. 

Il terzo pericolo è la ricerca della consolazione spirituale e la negligenza dei doveri del proprio stato di vita e della pratica delle virtù comuni. Questo accade a coloro che ritengono di essere già perfetti se fanno delle belle orazioni. Di queste persone il Signore disse: ‘Non chiunque dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la Volontà del Padre mio che è nei cieli’.       

*

Concludiamo questo capitolo con una parola sull’atto di unione. Nella meditazione l’anima si eleva alla conoscenza di Dio, nell’affetto si applica all’amore per Lui, ma come deve fare se vuole salire ancora più in alto nell’orazione, se vuole unirsi a Lui più intimamente ed immergersi in Lui completamente? Per fare questo nell’ambito dell’orazione deve riunire le sue due facoltà principali, l’intelligenza e la volontà, nell’atto più puro e distaccato dalla materia che le sia possibile. Questo si fa sia tramite la via dell’affermazione sia tramite la via della negazione.  

La via dell’affermazione consiste nell’attribuire a Dio in grado eminentissimo tutte le perfezioni che noi percepiamo nelle creature; la via della negazione, invece, consiste nel sottrarre a Dio tutte le perfezioni che vediamo nelle creature, di modo che l’anima sia condotta a sprofondare nell’oscurità della Fede e del puro amore.  

Per parte sua, l ’anima vuol staccarsi da tutte le sue imperfezioni, da tutte le creature e da tutto il creato; moltiplica le proteste della sua Carità, ripetendo a Dio che lo vuole amare di un amore sovrano, puro, disinteressato, di un amore eterno ed esclusivo. Questa pratica, che costituisce la cima della meditazione, porta l’anima fino alla porta di ingresso della via mistica: la via unitiva; purifica l’anima dall’attaccamento alle creature, le dà una grande facilità di raccoglimento e la capacità di sviluppare in sé la virtù della discrezione. Se l’anima ha messo in questo atto d’unione tutte le risorse del suo amore, potrà acquistare una purezza tale che, richiamata in quell’istante a Dio, forse non passerebbe neanche per il Purgatorio. Un esempio notevole di questa pratica è l’unione con l’Ostia Divina durante l’Offertorio e l’immolazione assieme a Lei nel corso della Santa Messa. 

Padre Konrad zu Loewenstein

mercoledì 30 settembre 2020

SULLA PREGHIERA

 


iii)  Metodi di meditazione affettiva ignaziani 


 Ci sono tre tipi di meditazione affettiva ignaziani. 

Il primo tipo si chiama ‘la contemplazione’, in un senso diverso però dalla contemplazione di cui tratteremo più avanti. La contemplazione ignaziana è una meditazione sulle persone coinvolte in un mistero, per esempio: la Santissima Trinità, il Nostro Signore, la Santissima Vergine Maria e gli uomini. Si meditano dall’ esterno e dall’interno, si sentono le loro parole, si considerano le loro azioni, si immagina la scena come se fosse davanti ai propri occhi. Non si agisce come spettatore, ma come qualcuno che prende parte attiva, per esempio: unendosi ai sentimenti della Madonna nel momento della nascita dell’Infante Dio. Si cerca inoltre un risultato pratico, per esempio: una conoscenza più intima del Signore, un amore più generoso verso di Lui. Se si arriva a raggiungere questo risultato prima della fine della meditazione progettata, si può riposare su di esso e non passare oltre, seguendo così il consiglio di sant’Ignazio. 

Il secondo tipo di meditazione ignazi ana è quello dell’applicazione dei cinque sensi. Prendiamo come esempio il mistero del Natale: l’applicazione della vista: vedo il piccolo Infante nel presepio; l’applicazione dell’udito: sento piangere il Divin Bambino; l’applicazione dell’odorato: respiro il profumo delle virtù del presepio, chiedo al Salvatore di concedermi di respirare il profumo della Sua umiltà; l’applicazione del gusto: gusto la felicità di essere con il Signore Gesù Cristo, con la Madonna, con san Giuseppe e per gustarla meglio, rimango in silenzio tutto raccolto vicino al mio Salvatore; l’applicazione del tatto: tocco con le mie mani il presepio e la paglia dove il Signore giace, e se l’Infante me lo vuole permettere, bacio con profondo rispetto i Suoi sacri piedi, dice sant’Ignazio. 

Il terzo tipo di meditazione consiste nel percorrere lentamente una preghiera vocale come il Padre Nostro, l’Ave Maria, il Salve Regina, per considerare e gustare il significato di ogni parola e ivi dimorare fino a quando vi si trovi la luce, la forza, o la consolazione. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

lunedì 14 settembre 2020

SULLA PREGHIERA



La meditazione discorsiva e la meditazione affettiva 

***

b)  La meditazione affettiva 

i) In genere 
  
Mentre il tipo di meditazione che ha come scopo principale il conoscere Dio si chiama ‘meditazione discorsiva’, la meditazione che mira principalmente ad amare Dio si chiama ‘meditazione affettiva’, ‘orazione affettiva’, o semplicemente ‘orazione’ 2 .  

Il primo tipo di meditazione, come abbiamo accennato sopra, caratterizza soprattutto la via purgativa, dove l’anima si sforza di combattere i peccati. Il secondo tipo di meditazione, invece, caratterizza la via illuminativa, dove l’anima, essendo riuscita sostanzialmente a superarli, ha cominciato a condurre una vita di Carità. Come uno specchio oscurato dalla polvere riflette spontaneamente, non appena è pulito, gli oggetti che si trovano davanti ad esso, così lo spirito umano, appena purificato dalle tenebre in cui i suoi peccati lo immergevano, riflette subito i raggi inviati su di lui dal Sole di Giustizia. 

Questo sole difatti non oscura mai, brilla sempre, è presente in tutto l’universo spirituale, penetra dappertutto dove non viene impedito da nessun ostacolo. Si tiene incessantemente davanti all’anima, anche quando questa rifiuta di lasciarlo entrare, come il sole naturale davanti agli scuri chiusi. Il Signore dice di Sé Stesso nel libro dell’ Apocalisse (3.20): ‘Ego sto ad ostium et pulso’, e, quando la finestra si apre e l’anima si libera dall’attaccamento al peccato, entra immediatamente. 

ii)  Il genere di amore che caratterizza la meditazione affettiva  
  
Si distinguono due generi d’amore: l’amore sensibile , che è un’emozione, e l’amore razionale che è una virtù. L’amore razionale è di ordine sovrannaturale, cioè, per i cristiani nello stato di Grazia, è la Carità. Questo è l’amore che caratterizza la meditazione, come caratterizza anche la vita cristiana tutta intiera. Può ridondare sulla sensibilità dell’anima suscitando l’emozione dell’amore, ossia l’affetto verso il Signore, ma questo dipende dalla persona che medita, e non è un tratto essenziale dell’amore in questione. L’amore razionale informato dalla Grazia, che è la Carità, è un atto della volontà che mira a darsi al Signore, cioè che mira al dono di sé. Nel Salmo 65 il salmista dice (v. 15): ‘Vi offrirò olocausti pingui di midollo’. Ora l’olocausto era un sacrificio nel quale la vittima veniva intieramente consumata dal fuoco. L’autore sacro promette qui, nel senso spirituale, di offrire a Dio sull’altare del suo cuore olocausti pieni di midollo: cioè slanci d’amore che salgano dal più intimo di sé stesso, in cui egli si offrirà a Dio tutto intiero, senza riserva alcuna. 

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Padre Konrad zu Loewenstein

sabato 1 agosto 2020

SULLA PREGHIERA



LA MEDITAZIONE


Preparazione alla meditazione  

La meditazione, come abbiamo detto, si basa sulla lettura. Il tema della lettura deve essere scelto e preparato per tempo, altrimenti lo spirito rimarrà in un’indecisione che porterà quasi infallibilmente il più grande pregiudizio alla sua preghiera. La negligenza a questo riguardo da parte di innumerevoli anime viene segnata dai maestri della vita spirituale come uno dei motivi principali dell’aridità di cui soffrono nella loro meditazione. Difatti il tema di meditazione deve essere scelto e preparato già alla veglia della preghiera. 


La meditazione discorsiva e la meditazione affettiva 

Ciò che abbiamo scritto sulla meditazione si riferisce a tutti e due i suoi tipi. Questi due tipi corrispondono a due vie spirituali. Come abbiamo già accennato, la meditazione discorsiva corrisponde alla via purgativa; la meditazione affettiva corrisponde alla via illuminativa. Il fedele che cammina sulla prima via sta lottando contro il peccato, è moralmente instabile, e non ha purificato ancora la sua volontà, cioè il suo amore. Il fedele che cammina sulla seconda via, invece, ha superato il peccato, almeno quello deliberato, è radicato nelle virtù, e ha liberato la sua volontà per poter amare Dio.  

Una conseguenza di questa distinzione è che, malgrado il fatto che tutti e due i fedeli, in quanto meditano, godono sia della conoscenza che dell’amore di Dio, il primo fedele riesce a meditare coll’intelletto meglio che colla volontà, ossia conosce Dio tramite la meditazione discorsiva; il secondo fedele invece si sente piuttosto portato a meditare colla volontà, ossia ama Dio tramite la meditazione affettiva. Un’altra conseguenza è che il primo fedele parte spesso da uno sguardo su sé stesso, sulla propria peccaminosità, per poi salire alla meditazione di Dio; mentre il secondo è in grado di indirizzare subito il suo sguardo verso Dio.  


a)  La meditazione discorsiva 

i) In genere 

La meditazione discorsiva conviene a coloro che iniziano la vita spirituale. In vista dei bisogni particolari di costoro, l’oggetto più adatto della meditazione è il peccato in tutta la sua malizia, le cause dei loro errori, la mortificazione, i doveri del loro stato di vita, la Grazia, e Nostro Signore Gesù Cristo Stesso come modello dei penitenti.  

In questa ottica, possono meditare la Caduta e la Redenzione dell’uomo; la giustizia, la misericordia, e la santità di Dio; la radice triplice del peccato: cioè il mondo, la carne, e il demonio; la penitenza, i vizi, soprattutto quelli propri; i doveri della religione e quelli verso il prossimo; la vita della Grazia; e la povertà, l’obbedienza, la penitenza, e la Passione e la Morte del Signore. 

ii)  Metodo della meditazione discorsiva ignaziana 

A parte i metodi generali di meditazione ai quali abbiamo appena accennato, occorre brevemente esporre quello di sant’Ignazio. Con i suoi famosi Esercizi spirituali egli stabilisce un programma intenso di meditazioni discorsive che si può estendere su un periodo di giorni o anche settimane. Questi esercizi convengono soprattutto ai principianti, a persone recentemente convertite, e a coloro che cercano di approfondire la loro vita spirituale, ad esempio in vista di un’eventuale vocazione. 

La meditazione ignaziana comincia con una preghiera in cui si chiede che tutte le proprie intenzioni ed azioni siano indirizzate al servizio e alla lode della Divina Maestà. Seguono due preludi. Il primo è ‘la composizione del luogo’ che serve a fissare l’immaginazione o lo spirito sul soggetto della meditazione. Occorre rappresentarsi questo soggetto il più vividamente possibile, anche immaginando sé stessi presenti ad una determinata scena: alla caduta degli angeli per esempio. Il secondo preludio consiste nel chiedere a Dio la grazia che si vuole, per esempio la vergogna dei propri peccati passati. 

Il corpo della meditazione consiste nell’applicazione delle tre facoltà dell’anima – la memoria, l’intelletto, e la volontà – sui diversi elementi da meditare. Colla memoria si medita il soggetto nell’insieme; coll’intelletto lo si medita nel dettaglio; colla volontà si eccitano pii affetti, e si formulano buoni proponimenti di ammigliorarsi. Questi devono essere pratici e corrispondere alla nostra situazione attuale, proponimenti da porre in atto il giorno stesso, fondati su motivi solidi e umili, ed accompagnati dalla preghiera. Non è necessario applicare le tre facoltà su tutti i punti della meditazione, ma l’applicazione della volontà non deve mancare: anzi, è la parte la più importante dell’esercizio. 

La meditazione si conclude con una ricapitolazione dei proponimenti; con pii colloqui con Dio Padre, Nostro Signore Gesù Cristo, la Madonna, o qualche santo; e colla revisione della meditazione stessa o con un esame della maniera in cui si è svolta, di modo da accorgersi delle sue imperfezioni e per poterle rimediare in futuro. 

iii)  Le difficoltà della meditazione discorsiva 

La difficoltà della meditazione per coloro che iniziano deriva dalla mancanza di esperienza e di generosità, e dalle distrazioni.

L’inesperienza inclina tali persone all’eccessiva astrazione. Contro questa tendenza devono coinvolgersi più personalmente nella preghiera, esaminandosi sulle virtù in questione, compiendo atti di adorazione, di amore e di riconoscimento a Dio, atti di contrizione, e proponimenti di fare meglio moralmente nel corso della giornata.  

La mancanza di generosità le porta allo scoraggiamento se non ricevono subito consolazioni sensibili. Devono capire che ciò che Dio ci richiede nella meditazione non è il successo, bensì lo sforzo, e che sarebbe pusillanimità arrendersi senza impegno. 

Le distrazioni costituiscono la difficoltà più grande, poiché coloro che iniziano sono ancora in balìa delle loro fantasie e sensazioni, e dei loro attaccamenti troppo umani a persone e cose, così che sono soggetti ad una molteplicità di pensieri, immagini, ed idee inutili, se non proprio peccaminosi. Qui bisogna capire che solo le distrazioni volontarie sono peccaminose, e che, contrastandole prontamente, energicamente, e costantemente, si guadagnano molti meriti per il Cielo: più, di fatti, che se la preghiera fosse stata senza distrazioni. 

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Padre Konrad zu Loewenstein

venerdì 12 giugno 2020

SULLA PREGHIERA



Metodi formali di Meditazione 

I metodi formali di meditazione ovvero ‘le meditazioni metodiche’ risalgono al Cinquecento. Ne specificheremo due tipi. 

Il più semplice è quello di san Pietro di Alcantara, molto raccomandato anche dalla sua figlia spirituale santa Teresa d’Avila. San Pietro dà le indicazioni seguenti: ‘La lettura non deve essere fatta in maniera sbrigativa, né alla leggera, ma con attenzione e calma, cosicché l’intelletto si applichi ad afferrare ciò che legge e la volontà a gustarlo. Quando si arriva ad un mistero, una circostanza o un passo della lettura che porti alla devozione, ci si fermi un poco di più per penetrarne il contenuto più profondamente; che la lettura non sia troppo lunga per lasciare più tempo alla meditazione’. 

Un altro metodo di meditazione è quello di san Sulpice. Esso comprende tre punti: l’adorazione, la comunione, e la cooperazione. Nell’adorazione, l’anima afferrata dall’amore di Dio, ammira, adora, loda, benedice e ringrazia il Signore. Nella comunione fa un colloquio con Dio ovvero il Nostro Signore chiedendo il Suo aiuto per perfezionarsi nella carità e in ogni virtù. Nella cooperazione si esprime una risoluzione sottomessa al Signore, collo scopo di imitarLo più perfettamente; si può aggiungere a questa risoluzione un’invocazione pia che si ripete spesso nel corso della giornata, che ci aiuta a mettere in pratica quella risoluzione e a ricordarci affettuosamente di Colui che ce l’ha ispirata. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

mercoledì 27 maggio 2020

SULLA PREGHIERA



LA MEDITAZIONE


Metodi informali di Meditazione  

L’oggetto più adatto della meditazione è dunque Nostro Signore Gesù Cristo Stesso. 

Possiamo meditare sulla nostra incorporazione in Cristo e il Suo ruolo nella nostra vita cristiana, la Sua vita, i Suoi misteri, e soprattutto la Sua dolorosa Passione e la Sua Carità nella Santissima Eucaristia. Possiamo meditare sull’inabitazione delle Tre Persone Divine nella nostra anima e sulla Loro azione paterna su di noi; o sulle preghiere vocali come il Pater Noster, l’Ave Maria e l’Adoro Te devote, che ci conducono all’amore, alla gratitudine e alla conformità alla Volontà di Dio. Si può anche meditare sulla Santissima Vergine Maria, gli Angeli e i santi che ci conducono a Dio, o sulla penitenza, la mortificazione, il peccato e i Novissimi, come mezzi per unirci a Nostro Signore Gesù Cristo, e per assicurarci la grazia di una buona morte e un bel posto in Paradiso vicino a Lui. 

Un altro oggetto di meditazione consiste nelle virtù del Signore, dove offriamo al Padre il tesoro infinito delle perfezioni di Quel Suo Figlio, in Cui Lui ha messo tutto il Suo compiacimento. E questo lo facciamo in compensazione ed in espiazione della nostra povertà e delle nostre concupiscenze: gli sguardi e le parole inutili, le nostre molteplici ricerche di sensualità.  

Presentiamo a Dio il comportamento della Sacratissima Umanità del Signore che esercitava sui Suoi sensi l’intiera dominazione ed era infinitamente perfetto in tutte le Sue parole come in tutte le Sue azioni. Per compensare la nostra tiepidezza, offriamo questo Cuore in Cui bruciava sempre la fiamma di uno zelo così puro e una sì ardente carità. Cercheremo di entrare in questo Cuore e di farci uno con Esso, cercheremo di sciogliere nel Suo ardore la durezza del nostro cuore, di appropriarci dei Suoi propri moti, desideri, slanci e delle Sue intenzioni, per spogliarci di noi stessi e per poter dire, in verità, con l’Apostolo Paolo: ‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (Gal. 2.20). 

Meditiamo sulle virtù di Nostro Signore anche per poterle imitare, per rafforzare la determinazione dell’anima, e per confermarla nelle virtù che desidera praticare. Così la preghiera, invece di rimanere nel campo intellettuale o sentimentale, diverrà la fonte di progressi spirituali. Così consideriamo le virtù non in modo astratto, secondo la pratica dei moralisti pagani, ma come animate, colorate, e vissute nella Persona del nostro modello divino. Così esse eserciteranno sul cuore un’attrazione più potente. Come si legge nel Cantico dei Cantici: ‘Attirati dietro a voi, corriamo verso la fragranza dei vostri profumi’. 

Possiamo scegliere una virtù che dovremmo particolarmente praticare, soprattutto quella opposta al nostro difetto dominante. Questo difetto dominante è l’ostacolo principale ai progressi dell’anima nelle vie che conducono a Dio. Questo difetto dissimulato con attenzione e fortemente radicato nella volontà, tiene l’anima inchiodata alla terra. Quando abbiamo identificato questo nostro difetto dominante, sceglieremo una scena del Vangelo per la nostra meditazione, dove brilla particolarmente la virtù opposta del Signore. Per esempio, nel presepio di Betlemme brillava particolarmente la povertà, nella casa di Nazaret la Sua obbedienza, nelle lunghe orazioni di notte il Suo amore per la solitudine, nell’espulsione dei venditori dal tempio il Suo zelo per la gloria del Padre, nella Sua delicatezza verso santa Maria Maddalena la Sua misericordia, nell’istituzione della Santa Eucaristia la Sua Carità, nel lavare i piedi dei discepoli la Sua umiltà. 

Scrive la beata Maria M addalena Martinengo della meditazione: ‘Questo è uno specchio nel quale si mira Dio come un oceano di tutta la santità; qui l’anima orante si specchia e rispecchia, mira ed ammira una sì incomprensibile bontà, l’ama, l’adora, la prende per esemplare e modello d’ogni sua operazione. In questo specchio ancor voi altre vedrete e conoscerete ogni vostro difetto; e se con fedeltà vera e solida persevererete a rimirarvi in quello, resterete finalmente limpide come un cristallo; perché lo specchio è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo perfettissimo, anzi la perfezione stessa’. 

In alternativa, possiamo meditare sulla virtù divina, cioè la virtù tale e quale la si trova in Dio, fonte di ogni perfezione. Là brilla nella sua purezza essenziale, nella sua bellezza primordiale ed eclatante. Da lì sgorga per gettarsi sulla gerarchia degli esseri creati: gli Angeli, gli uomini, ma soprattutto sull’Uomo-Dio, il Verbo Incarnato, immagine del Padre, splendore della Sua gloria e figura della Sua sostanza. La virtù divina, noi la adoriamo e la ammiriamo per provocare nel nostro cuore uno slancio che ci porti ad un sacrificio più generoso della nostra vita a Dio. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

lunedì 11 maggio 2020

SULLA PREGHIERA



L’oggetto della meditazione 

La meditazione si basa sulla lettura, ma quale lettura è adatta per la meditazione? Le vite dei santi, i trattati spirituali dei dottori della Chiesa come sant’Agostino, san Bernardo, san Bonaventura; gli scritti dei mistici come santa Geltrude e santa Teresa, l’Imitazione di Cristo, ma soprattutto le opere sulla Vita e la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Dal tempo dei Padri del deserto, infatti, la lettura classica per la meditazione, alla quale san Benedetto ha dato il nome di Lectio Divina, è la Sacra Scrittura stessa. 

La Sacra Scrittura è l’opera più utile alla meditazione perché tratta direttamente dell’oggetto della preghiera, cioè Nostro Signore Gesù Cristo Stesso. Difatti in queste pagine ispirate e composte dallo Spirito Santo si trova Nostro Signore Stesso, nascondendosi nell’Antico Testamento sotto le figure le più pellegrine e le storie le più diverse, e rivelandosi nel Nuovo Testamento nella piena luce del giorno, perché è il fine proprio dell’Incarnazione di rivelare Dio a noi. 

Secondo il Deuteronomio (32.13) Dio vuole che il Suo popolo raccolga il miele dalla rupe e l’olio da una roccia durissima. Questa rupe da cui bisogna raccogliere la dolcezza è Nostro Signore Gesù Cristo; la roccia durissima su cui bisogna raccogliere l’olio, che è l’unzione della vera devozione, è ciò che manifesta Gesù Cristo, ossia il corpo della Dottrina Cattolica che nel suo splendore e nella sua inassalibile solidità assomiglia ad una roccia di diamante. Solo su questa base si può erigere quella casa o torre forte e stabile che è la preghiera fervente ed efficace. 

Se non meditiamo sul Signore Stesso, rischiamo di perderci nei sogni, nella sentimentalità, e nell’illusione. In una parola, la lettura adatta ci serve sia come oggetto di meditazione, sia come scudo contro le distrazioni. 

La Sacratissima Umanità di Gesù Cristo, la creatura la più perfetta e gloriosa di Dio, costituisce l’oggetto più nobile che l’intelligenza umana si può proporre, ed ad essa si applica la parola seguente del profeta Geremia (9.23): ‘Così, dice il Signore, non si vanti il saggio della sua saggezza e non si vanti il forte della sua forza, non si vanti il ricco delle sue ricchezze, ma chi vuol gloriarsi si vanti di questo: di sapere chi sono Io e di conoscere Me’. 

Meditando sulla Sacratissima Umanità di Nostro Signore ci uniamo a Lui e siamo portati a praticare tutte le Sue virtù come leggiamo nel libro della Sapienza (15.3): ‘Conoscere Voi, infatti, è giustizia perfetta, conoscere la Vostra potenza è radice di immortalità’. 

Ma oltre a questo, la meditazione sulla Sua Sacratissima Umanità ci porta alla Sua Divinità, la divinità di cui abbiamo tutti sete, e non c’è altra via a Dio, perché Nostro Signore Gesù Cristo Stesso ci dice: ‘Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me’. ‘Ego sum ostium’ dice il Signore: ‘Io sono la porta’. Egli è la porta per cui bisogna passare tramite i sacramenti e tramite la nostra preghiera per raggiungere Dio, per unirci a Dio, perché Egli è l’Uomo - Dio, e come ci dice san Paolo nell’epistola ai Colossesi (2.3-9): ‘In Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità’. 

E così il Prefazio di Natale può essere inteso anche in riferimento alla preghiera mentale: ‘Per incarnati Verbi mysterium nova mentis nostrae oculis lux tuae claritatis infulsit: ut dum visibiliter Deum cognovimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur’: ‘per il mistero del Verbo Incarnato una nuova luce della Vostra gloria ha brillato agli occhi della nostra mente, così che, conoscendo Dio visibilmente, siamo rapiti tramite Lui all’amore delle cose invisibili’. 

Ogni azione, ogni parola che è simbolo di Nostro Signore Gesù Cristo, manifestato nella sacra Scrittura, ci porta ad imitarLo e ad unirci a Lui, ma niente fa questo con più grande potenza che la Sua Passione e Morte. In una parola, la meditazione di Cristo Crocifisso è il segreto della santità, come anche della vera devozione e gioia spirituale. Il profeta Isaia ci insegna: ‘Attingerete acque con gioia alle sorgenti del Salvatore ’. Le acque sono le lagrime della compunzione; attingerle alle sorgenti del Salvatore significa considerare le Sue Sante Piaghe, dalle quali si è riversato il Suo Sangue Preziosissimo in flutti sul mondo. 

Lasciando tutta la scienza umana imparata ai piedi dei maestri più illustri, l’apostolo Paolo dichiara di ‘non sapere altro se non Gesù Cristo e Questi crocifisso’, e la dottrina unanime di tutti i maestri della vita sovrannaturale, fin dall’origine del Cristianesimo, è che la meditazione sulla Passione del Signore è la pratica la più adatta per avanzare sulle orme della santità e per raggiungere la vera contemplazione.  

Scrive il venerabile Louis de Blois: ‘In essa si trova una dolce consolazione per l’anima, un incendio inestinguibile del Divin Amore, un balsamo per tutte le sofferenze, la sorgente dove attingiamo tutte le virtù e il modello di ogni perfezione’. 

Scrive s anta Camilla Battista da Varano: ‘La memoria della Passione di Cristo è come un’arca dei tesori celesti, una porta che dona l’accesso per entrare a gustare il glorioso Gesù, ed una perfetta maestra di tutte le arti spirituali: una fonte inesauribile d’acqua viva, un pozzo profondissimo dei segreti di Dio’. 

Meditiamo un giorno sulla Sua agonia nell’orto del Getsemani, un altro giorno sulla flagellazione, un altro sulla crocifissione; torniamo nel corso del giorno alla scena che abbiamo meditato la mattina e ricordiamo alle tre del pomeriggio ciò che ha fatto a quell’ora sul monte Calvario per amore nostro.  

Meditiamo sull’Uomo sofferente che è allo stesso tempo Dio, quell’immensa, eterna, incomprensibile, onnipotente Maestà Incarnata, secondo le parole attribuite a san Bonaventura: ‘Passiamo dalla porta della Sua umanità per raggiungere la Sua divinità, affinché possiamo conoscerLo e amarLo in tutto ciò che ha detto, ha fatto e soprattutto in tutto ciò che ha sofferto; non aveva altra intenzione che questo: di mostrarci quanto ci ama e di chiamarci ad amarLo in cambio della nostra eterna beatitudine’. 

Padre Konrad zu Loewenstein

domenica 26 aprile 2020

SULLA PREGHIERA



La conoscenza e l’amore nella meditazione 

Posuit tenebras latibulum suum: Dio si avvolge di tenebre come Suo nascondiglio, cioè per costringere l’uomo a cercarLo con lo sforzo della sua intelligenza. È questa ricerca che costituisce il fine proprio della meditazione. Il lavoro principale spetta all’intelligenza, il cui ruolo è di illuminare la volontà per condurla all’amore. Perciò, san Paolo scrive nell’epistola ai Colossesi (2.2) che i suoi discepoli, oltre ad essere istruiti nella Carità, ‘acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza’. 

Se la prima parte della preghiera mentale in genere, e della meditazione in particolare, è conoscere Dio, la seconda parte è amarLo. Senza l’amore la meditazione è sterile. San Paolo (1Cor. 13,2) dice: ‘Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza..., ma non avessi la carità, non sono nulla’. L’amore è il fine della preghiera, com’è il fine della vita interiore tutta intiera, ed il fine della nostra vita cristiana quaggiù e nel Cielo. ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza, e con tutta la tua mente’ (Lc. 10.27). 

Padre Konrad zu Loewenstein 

lunedì 6 aprile 2020

SULLA PREGHIERA



LA PREGHIERA MENTALE / ORAZIONE 


La Natura della Preghiera Mentale 

a)  La conoscenza e l’amore 

Abbiamo descritto la preghiera mentale come ‘un’operazione della mente senza parole’. Di quale tipo di operazione della mente si tratta qui? Si tratta dell’operazione della conoscenza e della volontà. La conoscenza in questione è la Fede; la volontà in questione è la Carità. Così possiamo mettere a confronto la preghiera vocale e quella mentale non solo per la presenza o assenza delle parole, ma anche per le virtù che le caratterizzano: la giustizia nel primo caso, e la Fede e la Carità nel secondo.  

All’inizio di questo saggio abbiamo definito la preghiera come ‘l’alzare il cuore a Dio’. Nella preghiera mentale alziamo il cuore a Dio colle facoltà della conoscenza e della volontà. In questo modo, dunque, lo spirito umano si unisce allo Spirito divino, non però in un’unione sostanziale tra la sostanza dell’anima e la sostanza di Dio, bensì in un’unione delle facoltà dell’anima a Dio: in un’unione della conoscenza a Dio e in un’unione della volontà a Dio. 

La preghiera mentale ha per iscopo dunque di conoscere ed amare Dio, e come tale è un modo puramente spirituale per compiere, almeno in parte, il fine della nostra vita terrena, ed un modo inoltre per anticipare già sulla terra la nostra vita come sarà nella gloria del Cielo. 

Come funziona la conoscenza? La conoscenza attira il suo oggetto a sé, e cerca di comprenderlo, di assorbirlo, di farlo entrare in sé stessa. Ora, nella preghiera, Dio Stesso è l’oggetto della conoscenza. Sapendo questo, possiamo concludere che la conoscenza non può mai afferrare più che solo un poco di questo oggetto che è Dio, perché Dio è infinito e non può essere compreso: l’infinito non può essere contenuto nel finito. Comunque la conoscenza, anche se non può mai comprendere il suo oggetto che è Dio, si indirizza verso di Lui e Lo medita nei misteri della Santissima Trinità e nella Persona del Dio-Uomo Gesù Cristo. La volontà, poi, procede ad amarLo. 

Come funziona la volontà? La volontà è una forma d’amore, ossia l’amore razionale. Ora, l’amore entra nel suo oggetto: non tenta di contenerlo come la conoscenza, ma s’immerge e si perde in esso, come una spugna immersa nel mare ne viene penetrata completamente. Vediamo che è soprattutto mediante la facoltà della volontà che possiamo unirci con Dio, ma che la conoscenza è necessaria per dare l’orientamento e l’oggetto alla facoltà della volontà, che è di per sé stessa cieca. 

b)  Tipi di preghiera mentale 
  
Ora, la preghiera mentale si divide in due tipi: la meditazione e la contemplazione. A sua volta, la meditazione si suddivide in meditazione discorsiva e meditazione affettiva. La meditazione è caratterizzata dall’esercizio dell’anima, mentre la contemplazione è caratterizzata da una visione semplice di Dio. 

Questi vari tipi di preghiera corrispondono alle tre vie o tappe della vita spirituale: la via purgativa, la via illuminativa e la via unitiva. La meditazione discorsiva corrisponde alla via purgativa, che è la prima tappa della vita spirituale, dove l’anima lotta per purgarsi e purificarsi dal peccato; la meditazione affettiva corrisponde alla via illuminativa, dove l’anima cerca di perfezionarsi nelle virtù; la contemplazione corrisponde alla via unitiva, dove l’anima in tutte le cose non aspira che all’unione intima con Dio. 

Vorremo nel seguito esporre la natura della meditazione, dapprima in generale e poi secondo i due tipi individualmente. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

domenica 15 marzo 2020

SULLA PREGHIERA



LA PREGHIERA MENTALE / ORAZIONE 

Se la preghiera vocale è caratterizzata dalle parole, la preghiera mentale si caratterizza piuttosto come un’operazione della mente senza parole, benché, come vedremo più avanti, si possa appoggiare su parole, specialmente per iniziare il processo della preghiera.  

Il beneficio di questo genere di preghiera viene espresso da santa Teresa d’Avila quando dice: ‘Un quarto d’ora d’orazione al giorno e ti prometto il cielo’. In altre parole l’orazione ci santifica. In questo senso possiamo intendere le parole seguenti di san Paolo in 2Cor. 3.18: ‘Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore’. 

1.  Difficoltà della Preghiera Mentale ed i suoi rimedi 

a) Difficoltà della Preghiera Mentale 

Ciò che diremo adesso si riferisce alla preghiera mentale, anche se – mutatis mutandis – può riferirsi altresì alla preghiera vocale, benché ad un grado minore. 

Ora, ci sono tre cause della difficoltà della preghiera. 

i)  La Debolezza dell’Anima  
          
L’anima è la più debole dei tre esseri spirituali: il primo essere spirituale essendo Dio, lo Spirito perfetto ed infinito; il secondo nell’ordine di perfezione essendo l’angelo; il terzo l’anima umana. L’anima umana è, per la sua propria natura, indirizzata verso il corpo, indirizzata ad esserne la forma, a costituire con esso una sola sostanza. Può esistere fuori del corpo, ma solo in modo imperfetto. A causa della sua fragilità, l’anima non può stare a lungo in contemplazione delle cose celesti ma cade sempre verso le cose inferiori e in divagazioni. 
        
Scrive s an Gregorio: ‘L’anima non può restare fissata a lungo nella soavità di un’intima contemplazione, perché l’immensità della luce che la colpisce la richiama a sé stessa: e allorché gusta le delizie interiori, brucia d’amore e si sforza di elevarsi al di sopra di sé, essa ricade nelle tenebre della sua debolezza e comprende che non può vedere ciò che ama così ardentemente’. 

ii)  La Natura Caduta 

A causa del Peccato Originale, i sensi e l’immaginazione hanno una certa indipendenza dalla ragione e cercano le loro proprie soddisfazioni. Occorre dunque un lavoro di disciplina per controllarli e sottometterli ai dettami dello spirito. 

iii)  Il Demonio 

Se un’anima consacra tempo e sforzo alla preghiera, essa è persa per il demonio. Per questo il demonio fa il possibile per sviare una persona che prega da questo così santo esercizio.  

b) Rimedi alle difficoltà della Preghiera Mentale                           

       ‘Osservate colui che s’arrampica su una montagna’ dice sant’Alberto Magno, ‘e seguite il suo esempio. Se la nostra anima si lascia incantare e sedurre dalle cose che incontra sul suo passaggio, spesso si smarrisce in sentieri ignoti, si sfibra e si divide in tante frazioni quanti sono i suoi desideri. Segue allora un movimento senza scopo, una corsa senza profitto, una stanchezza senza riposo. Se, al contrario, il nostro corpo ed il nostro spirito, sedotti dall’amore e dal desiderio, si liberano dalle distrazioni di quaggiù, abbandonano a poco a poco le cose umane per raccogliersi nel solo bene immutabile e vero, vi si fissano coi vincoli dell’amore, essi si fortificano, e il loro raccoglimento sarà tanto maggiore quanto più in alto si eleveranno sulle ali della conoscenza e del desiderio’. 

i)  La Mortificazione  

Per arrivare al raccoglimento che lo spirito dell’orazione richiede, è indispensabile sorvegliare i sensi esterni ed interni. Questi, difatti, in virtù delle loro concupiscenze incessanti e della loro sregolatezza naturale impediscono allo spirito di unirsi a Dio. Per questo bisogna mantenerli rigorosamente sotto il controllo della ragione. 

Il senso della vista, quello più nobile di tutti, è anche il più pericoloso; più strettamente unito all’anima, ne è come la porta, e se mal sorvegliato la consegna ai suoi nemici che la depredano senza misericordia; perciò il profeta Geremia dice: ‘Il mio occhio ha depredato la mia anima’. 

Innumerevoli sono i peccati che hanno per origine l’imprudenza degli sguardi, soprattutto nel campo della collera, della gelosia, della gola, e della sensualità. A questo riguardo possiamo citare le seguenti parole del Signore: ‘La luce del tuo corpo è l’occhio. Se il tuo occhio è semplice, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è cattivo, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. Se il tuo corpo è tutto luminoso senza aver alcuna parte nelle tenebre, tutto sarà luminoso, e illuminerà te come la luce della folgore’ (Lc. 11.34-36). 

Dopo la vista, il senso più utile all’intelligenza, dice san Tommaso, è l’udito, perché è esso che percepisce le parole che servono come veicoli alle concezioni intellettuali. È per questo canale che la Dottrina di Dio, il Verbo, la Saggezza Eterna, penetrano nelle nostre anime. Occorre tenerlo puro, dunque, e per questo evitare non solo le conversazioni cattive, ma anche le chiacchiere frivole, dove la Carità è troppo spesso ferita. 

Insieme alla mortificazione dell’udito viene quella della lingua, che san Giacomo chiama ‘l’università dell’iniquità: un male inquieto, pieno di veleno mortale’. 

Ed infine c’è la mortificazione dei pensieri. I salti continui dell’immaginazione sono uno dei tormenti della vita contemplativa. I più grandi santi, loro stessi, non ne erano esenti. La mortificazione dell’immaginazione consiste nel non trattenersi su cose pericolose o inutili, su cose che possano sviare l’anima dal pensiero di Dio, e trascinarla ai piaceri dei sensi, che alterano la sua purezza. L’esperienza ci mostra che è un lavoro non trascurabile. 

‘ Mi sono alzata per aprire al mio amato’ dice la sposa nel Cantico dei Cantici, esprimendo con queste parole il proponimento dell’anima che decide di intraprendere lo sforzo necessario perché il Nostro Signore venga ad abitare in essa. Ella aggiunge subito: ‘Le mie mani hanno distillato la mirra e le mie dita sono piene della mirra più fine’. Ora la mirra, che ha un profumo amaro, è il simbolo della mortificazione. La sposa dice dunque che le sue mani distillano la mirra per mostrare che ella cerca senza pausa di mortificarsi, e che le sue dita, cioè le sue più piccole azioni, sono bagnate di questo liquore amaro. Ella dice difatti che questo profumo piace a Dio e che Lui vuol vederne penetrate le anime che tendono al Suo amore. Sì, questo è il dono che Lui aspetta dalle anime regali, le anime abituate, come i Re Magi, a contemplare le stelle e a cercare la luce della vera saggezza. La mirra è uno dei tre doni che Dio aspetta da loro assieme all’incenso della loro preghiera ed all’oro della loro Carità. 

ii)  La Perseveranza 

Chi vuol impegnarsi nella vita dell’orazione, deve sapere che intraprende un lavoro penoso e che dovrà passare attraverso un cammino stretto e difficile. Incontrerà molto più spesso l’aridità, il disgusto, e la desolazione, che non la consolazione e la gioia. Il lavoro che lo aspetta è simile a quello che deve affrontare l’uomo che vuole trasformare un terreno coperto di spine in un giardino pieno di fiori: gli occorrerà molto sudore e molta pazienza per ottenere un risultato. 

Santa Teresa d’Avila, parlando della difficoltà dell’orazione, scrive le p arole seguenti nella sua Vita (cap. 8): ‘Sì! In verità tanto violento era il combattimento a cui mi ha consegnato il demonio o forse la mia cattiva natura per impedirmi di recarmi all’orazione, tanto profonda era la tristezza con cui mi sono sentita presa fin dalla mia entrata in oratorio, che avevo bisogno, per vincermi, di raccogliere tutto il mio coraggio che è, si dice, non poco’. 

Possiamo dedurre dalle parole della santa che la disposizione principale richiesta dalla preghiera mentale è un coraggio risoluto e una ferma volontà di continuare fino alla fine, una volta cominciato lo sforzo: costi quel che costi. Ma la ricompensa di questo lavoro sarà grande. 

Osserva Padre Tommaso di Gesù OCD: ‘Quando si è entrati nella via dell’orazione risolutamente e coraggiosamente, e si è ben decisi a non abbandonarla mai, qualunque siano le sofferenze, le difficoltà, o le tentazioni che si presentano, non si tarda di solito ad essere gradualmente elevati da Dio Stesso fino ad una perfetta contemplazione’. 

Quanto all’aridità interiore in particolare, è precisamente per mezzo di questo cammino che l’anima fa i più grandi progressi e merita i più alti favori. ‘Quando fai un passo per andare a Dio nello stato di abbandono’, dice un certo padre Giuseppe, ‘questo vale mille a causa della sua forza e della sua purezza’. 

Due sono di fatti i vantaggi della preghiera nell’aridità: il primo è che una preghiera del puro amore non cerca le consolazioni, che non vengono date, ma solo Dio; il secondo vantaggio è che l’anima deve entrare nella conoscenza del suo nulla davanti a Dio, della sua miseria e impotenza, e questo aumenta grandemente la sua umiltà. 

Possiamo imparare da queste considerazioni che ciò che aspetta Dio da noi, ciò che costituisce il nostro merito ai Suoi occhi, è la nostra fedeltà a questa pratica, la volontà energica di dimorare nella Sua Presenza durante il tempo che ci siamo stabiliti, malgrado tutte le difficoltà che la natura o il demonio ci possono suscitare. 

iii)  La Grazia 

Abbiamo appena parlato della mortificazione e della perseveranza; più sopra abbiamo accennato alla purezza ed all’umiltà; più avanti (nella sezione sulla contemplazione) parleremo del distacco (un frutto della mortificazione). Tutte queste virtù sono utili per la meditazione, mentre per la contemplazione sono essenziali, in quanto la contemplazione è per i perfetti (o almeno per coloro che si stanno perfezionando) e dunque richiede niente di meno che la perfezione (in quel senso) da parte del soggetto.  

Come raggiungiamo queste virtù e la loro perfezione che consiste nel dono totale di sé a Dio? Osserva Dom Jean de Monléon (op. cit.) che non possiamo fare niente nell’ordine della nostra santificazione senza la Grazia. Cita san Paolo (Rom. 9.16): ‘Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla. Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia’, e commenta: ‘Se i santi sono divenuti santi, non è che fossero fatti di una natura diversa da quella degli altri uomini, bensì, secondo l’esempio dell’Apostolo san Giovanni (1Gv. 4.16), hanno compreso l’amore di Dio per l’uomo, e si sono affidati ciecamente a quell’amore’.  

Dom de Monléon si riferisce a s anta Teresa d’Avila (Vita, cap. 8): ‘Supplicavo il Signore di venire in mio aiuto, ma una cosa mi mancava senza dubbio… cioè non mi affidavo intieramente alla Sua Maestà, e non diffidavo del tutto di me stessa...’ Ne consegue, dunque, che per ottenere questo distacco da tutte le cose, questa autodonazione totale, bisogna ricorrere alla preghiera (Mt. 7.7): ‘Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto’. 

iv)  La Preparazione alla Preghiera 

Chi vuol fare orazione si deve ritirare in una chiesa o in un luogo solitario e là, lasciando da parte ogni ricordo delle creature e del mondo presente, si deve mettere nella condizione di conversare con Dio solo, come se fosse già sull’orlo dell’eternità. Però, se la casa dove dimora è calma e la persona gode di una libertà sufficiente, sarebbe meglio non uscire, e fare la propria orazione subito dopo essersi alzati, prima di incontrare qualcuno.  

L’ora più adatta alla preghi era è subito dopo essersi alzati, l’ora che precede il pasto di sera, ed a mezzanotte; da evitare sono le ore dopo i pasti, quando lo spirito non ha l’agilità necessaria per alzarsi verso Dio. 

Si può pregare in qualsiasi posizione del corpo, ma la postura non deve essere troppo rilassata o comoda, per evitare che l’intelligenza e il cuore perdano la loro vivacità normale, e per non raffreddare nell’anima l’azione divina che porta a non soddisfare i sensi, ma piuttosto alla mortificazione. 

Per la preparazione immediata alla preghiera, due atteggiamenti sono particolarmente utili: il primo è il ricordo della Maestà di Dio e il secondo è il ricordo del nulla del soggetto. Per il primo basta normalmente uno sguardo verso il Crocifisso; per il secondo, la considerazione dei nostri peccati. In merito, dice santa Teresa nella sua Vita, cap. 13: ‘La considerazione dei nostri peccati e la conoscenza di noi stessi sono il pane con cui bisogna, nella via dell’orazione, prendere ogni altro nostro nutrimento, per quanto squisito sia: senza esso l’anima non si potrebbe sostenere’. 

San Benedetto enumera tre elementi di riflessione utili alla preghiera: il primo è la purezza del cuore, ossia la volontà di staccarsi da tutto ciò che contamina l’anima; il secondo elemento è la compunzione delle lagrime, ossia il pentimento d’aver offeso Dio; il terzo elemento è ‘l’intenzione del cuore’, espressione che significa la conversione del cuore verso Dio come verso il Suo fine ultimo, con la ferma volontà di raggiungerLo e di unirsi a Lui. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

lunedì 24 febbraio 2020

SULLA PREGHIERA



LA PREGHIERA VOCALE 

***
I quattro tipi di preghiera vocale 


a)  L’Adorazione 

Magnus Dominus et laudabilis nimis, et magnitudinis eius non est finis: Grande è il Signore e grandemente da lodare, e della Sua grandezza non c’è fine (Sal. 144). Il primo sentimento che ci è necessario, quando innalziamo il cuore a Dio, è l’adorazione, perché l’adorazione è nient’altro che ‘il riconoscimento della Sua altissima sovranità e della nostra più profonda dipendenza’ (Bossuet in conformità alla Tradizione). 

Dio ha creato tutto per Sé Stesso ( Prov. 16.4). Per questo, tutto ciò che esiste, esiste unicamente per Lui: per glorificare la Sua infinita grandezza. L’universo irrazionale Lo glorifica partecipando alle Sue infinite perfezioni – come il Suo essere e la Sua bellezza – mentre gli esseri razionali Lo glorificano anche, e soprattutto, adoperando le loro facoltà spirituali, che sono l’intelligenza e la volontà, per conoscerLo e per amarLo. L’adorazione è un tipo di amore per Dio; di fatti, come abbiamo appena accennato, è il primo atto che conviene a colui che prega. 

Gli essere razionali sono in dovere di adorare e di lodare Dio non solo per conto loro, ma anche in nome dell’universo irrazionale intiero, prestandogli una lingua, per così dire, per glorificare il loro Creatore e Dio in modo più adeguato e degno. I santi del Cielo, prostrati davanti al trono del Padre Eterno, tremando di un santo e gioioso timore, Gli offrono onore e gloria per tutta l’Eternità; gli angeli, velandosi la faccia colle ali, tutti penetrati di uno spirito irresistibile di amore e riverenza, cantano l’inno che non cadrà mai silenzioso: Sanctus Sanctus Sanctus! Finalmente la santissima Madre di Dio, l’Immacolata e tutta Pura Madonna, Regina degli uomini e degli angeli, canta il Magnificat, Lei il cui essere tutto e la vita tutta non fu, e non è altro che un unico atto di adorazione umile e reverenziale di Dio (Padre Nikolaus Gihr nel suo libro insigne Il Santo Sacrificio della Messa). 

‘Glorificate il Signore quanto potete, poiché Egli supererà la nostra lode di gran lunga, e la Sua magnificenza è ammirevole. Benedicendo il Signore, esaltateLo quanto potete, poiché Egli è al di sopra di ogni lode’ (Ecclesiasticus 43.32-33). Dio merita di fatti un’adorazione infinita, che può offrirGli solo il Suo Divin Figlio. Le Sue creature, essendo finite, non sono in grado di prestarGliela, ma solo di unirsi all’atto di adorazione infinita del Padre da parte del Figlio Suo, ossia a quell’atto che è la Santa Messa: il Santo Sacrificio del monte Calvario prolungato attraverso il tempo, dove l’adorazione culmina nel suo atto principale che è il sacrificio. 

Ripetiamo ora ciò che abbiamo già scritto nel prefazio, che cioè ciascuno dei tipi di preghiera si può concretizzare anche in modo puramente meditativo, cioè come intenzione di azione. Scrive Padre Gihr in merito all’adorazione in particolare: ‘In tutti i tempi ed in tutti i luoghi bisogna tenere Dio davanti agli occhi, essere consapevoli della Sua benedetta presenza, ed in seguito essere profondamente penetrati di uno spirito di riverenza e di adorazione profondo. Allora le nostre preghiere saranno ripiene di raccoglimento e di devozione, le nostre opere perfette e sante, la nostra conversazione circospetta ed edificante, i nostri pensieri nobili e casti, i nostri desideri puri e celesti, il nostro intiero comportamento sarà modesto e senza alcuna pretesa’. 

b)  La Petizione 

i)  In genere 

Il Catechismo di Trento distingue due parti principali della preghiera: ‘la domanda ed il ringraziamento da cui, come dal capo, derivano le altre’. Questi due tipi di preghiera, uno che anticipa un beneficio di Dio, e l’altro che lo segue, sono come i due bracci di una bilancia che devono essere in equilibrio. È un difetto umano di chiedere una cosa, anche con insistenza e con fervore, e, quando viene data, di afferrarla senza molto ringraziare, o senza ringraziare affatto. Dei dieci lebbrosi è tornato solo uno per ringraziare il Signore.  

All’inizio di questo saggio abbiamo presentato come definizione della petizione la parola di san Giovanni Damasceno: ‘La preghiera è… la domanda a Dio di beni convenienti’. 

A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: ‘Dio sa tutto ed è buono; Egli sa ciò che mi occorre e vuole darmelo, perché bisogna chiederGlielo?’. Bisogna rispondere, come s’è detto sopra, che Dio ci ha comandato esplicitamente di chiedere, colle parole: ‘Chiedete e vi sarà dato’. A ciò siamo quindi obbligati in giustizia. Difatti, vi sono molte cose che Dio ci dà senza che Gliele domandiamo, ma vi sono anche molte altre cose che Dio vuole darci, ma unicamente se Gliele domandiamo. Questi benefici sono, per così dire, legati alle domande.  

Se ci chiedessimo perché Dio ha voluto così, dovremmo rispondere che è probabilmente a causa delle molte virtù che ci acquistiamo tramite la preghiera di petizione. 

Ai motivi per pregare sopra enumerati aggiungiamo questi del Beato Charles de Foucauld: ‘E’ una conseguenza dell’amore esporre con semplicità e abbandono tutte le nostre faccende, tutti i nostri pensieri al nostro Beneamato, e quindi anche i nostri bisogni e i nostri desideri; poi… è ancora una conseguenza dell’amore che si ami ricevere dal proprio Beneamato, che si ami vedere moltiplicarsi smisuratamente i propri debiti verso di Lui, che si ami dovere tutto a Lui, ricevere tutto da Lui e niente da nessun altro, il che comporta naturalmente che si chieda; poi… se il cuore che ama trova la sua gioia nel dare a quest’essere amato, gli è ancora più dolce dare a quest’essere amato quando chiede, piuttosto che quando non c’è domanda da parte sua: noi quindi dobbiamo fare questo favore al Cuore di Nostro Signore Che ci ama tanto. Il cuore di chi ama non conosce nulla di più dolce che l’esaudire le domande di colui ch’egli ama’. 

ii)  L’oggetto della Petizione 

Torniamo alla definizione di san Giovanni Damasceno e chiediamoci: cosa conviene domandare? Come abbiamo già osservato, la Gloria di Dio è il fine ultimo e la ragione di essere di tutte le cose, anche della preghiera; quindi dev’essere questo il primo scopo del nostro pregare. Ciò è già chiaro nella preghiera che il Signore Stesso ci ha dato personalmente, il Pater Noster, in cui le prime tre petizioni sono per la Gloria di Dio, e le seconde tre per le necessità degli uomini. Anche la soddisfazione di queste necessità, infatti, avrà l’effetto di accrescere la Sua propria gloria. 

Ma cosa deve chiede re per sé stesso l’uomo? Cosa gli conviene? In ultima analisi, conviene Dio Stesso, ossia, nelle parole del certosino Padre Augustino Guillerand: ‘EsserGli uniti, essere trasformati in Lui, possederLo ed esserNe posseduti, essere con Lui nei rapporti d’intimità che Lo uniscono a Lui Stesso, divenire Suo figlio attraverso una comunicazione quanto più completa possibile del Suo Spirito d’Amore, e partecipare alla gioia e alla vita che è la Loro gioia e la Loro vita, la Gioia Stessa e la Vita Stessa’. 

Questo ci conviene dunque come nostro fine ultimo (il nostro fine ultimo ‘soggettivo’); ma ci convengono anche i mezzi per raggiungere questo fine, ossia ‘la Fede, il timore, e l’amore di Dio’ nelle parole del Catechismo di Trento, o, concretamente, la Sua grazia: la Sua luce per conoscere, e la Sua forza per compiere la Sua volontà. 

In una p arola, come dice sant’Agostino: ‘Chiedi la gloria del Cielo e quelle cose che ti aiutano a raggiungerla: chi desidera altro desidera nulla’. Osserva il beato Ludolfo il certosino: ‘Dal trono della Sua gloria ci accorda tutto ciò che chiediamo nel Suo nome, ossia per la nostra salvezza, poiché il Suo nome significa Salvatore’. 

Chiaramente la Sua Volontà comprende non solo la pratica della Carità verso di Lui e verso di noi stessi, ma anche verso il prossimo. In questa ottica, il Catechismo di Trento esprime l’oggetto della preghiera di petizione nei termini seguenti: ‘Il nostro bene spirituale, e quanto utile ai comodi della vita, viene chiesto solo in quanto necessario; e chiediamo non solo per noi, ma per tutti: la Chiesa, il clero, i governanti, i parenti, gli estranei, i fedeli, gli infedeli, gli amici, e i nemici’. 

Occorre essere ambiziosi nella preghiera. Sant’Agostino domanda: ‘Quanto chiederesti se un re ti dicesse: ‘Chiedi tutto ciò che vuoi’? Ma adesso te lo chiede Iddio, Che è infinitamente potente e ricco’. San Matteo scrive (Mt. 21.22): ‘Tutto quello che chiederete con Fede nella preghiera, lo otterrete’. ‘Se non riceviamo, è perché ci è mancata la Fede’, fa notare il Beato Charles de Foucauld, ‘o perché abbiamo pregato troppo poco, o perché sarebbe male per noi che la nostra domanda venisse esaudita, o perché Dio ci dà qualcosa di meglio di ciò che chiediamo… mai però accade che noi non riceviamo ciò che chiediamo perché la cosa è troppo difficile ad ottenersi: nulla è impossibile… non esitiamo a chiedere a Dio le cose più difficili, come la conversione dei grandi peccatori, di popoli intieri: tanto più, anzi, chiediamoGliele quanto più sono difficili, con la Fede che Dio ci ama appassionatamente e che più un dono è grande, più colui che ama appassionatamente ama farlo: e chiediamo con Fede, con insistenza, con amore, con buona volontà… E stiamo sicuri che se chiediamo così e con sufficiente costanza noi saremo esauditi, ricevendo la grazia domandata oppure una migliore… Chiediamo dunque arditamente a Nostro Signore le cose più impossibili a ottenersi, quando esse sono per la Sua gloria, e stiamo sicuri che il Suo Cuore tanto più ce le concederà quanto più umanamente s embrano impossibili: perché dare l’impossibile è dolce al Cuore di Chi ama, e quanto non ci ama Lui?’ 

iii)  I benefici della Preghiera di Petizione  

Abbiamo già parlato del beneficio della preghiera in genere per il soggetto; adesso vogliamo parlare del beneficio della preghiera (di petizione) per altri. 

Nella Sacra Scrittura leggiamo come Dio ha misericordia di una moltitudine di persone a causa di un piccolo numero di giusti che trattengono la sua ira con la loro buona vita e la loro preghiera.  

Vogliamo citare due passi della Sacra Scrittura in proposito. In Genesi 18.23 leggiamo le parole seguenti sulla distruzione di Sodoma: ‘Abramo Gli si avvicinò e Gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse ci sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?» …Finalmente il Signore dice: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci»’. 

Si può osservare a quel punto che forse, se il Signore avesse trovato un giusto solo nella  città, l’avrebbe risparmiata. 

In Ezechiele 22.30-31 il Signore parla: ‘Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e lo ergesse sulla breccia di fronte a Me, per difendere il paese perché Io non lo devastassi, ma non l’ho trovato. Io rovescerò su di essi il mio sdegno: li consumerò con il fuoco della mia collera: la loro condotta farò ricadere sulle loro teste’. 

San Giovanni d ’Avila si riferisce a questo brano dicendo che nell’ora della nostra morte sapremo che, se il Signore ci ha mandato la peste, le sconfitte per mano degli infedeli, le eresie, e tanti mali corporali e spirituali, la ragione è che, avendo cercato uomini di preghiera che si mettessero tra Lui e il Suo popolo per addolcire la Sua ira, non li ha trovati. 

A questo riguardo vogliamo richiamare il libro di Esther, la regina che, solo tramite la preghiera, ha potuto salvare tutto il popolo ebreo. Secondo l’interpretazione spirituale dei Padri della Chiesa, Esther, il cui nome significa ‘nascosta’, rappresenta l’anima santa che porta tutta la sua bellezza all’interno dove è ignorata dagli uomini, e che abita nel palazzo del gran Re, cioè nell’intimità di Dio. Ogni volta che c’è bisogno, l’anima santa si reca accanto a Lui, appoggiata come Esther su una serva che è la purezza, e seguita da un’altra che è l’umiltà, e la loro potenza presso il loro Signore è tale che riescono ad ottenere ciò che sembrava impossibile agli altri. 

Nelle vite dei santi vediamo esempi notevoli della potenza della preghiera. Santa Geltrude chiese al Signore di non condannare alcuna anima in un certo giorno. Il Signore rispose: ‘Sai quanto è grande il favore che mi chiedi?’ Ma le ha accordato quel favore. Un altro esempio notevole si legge nella Vita di santa Teresa d’Avila che tramite una sola preghiera infuocata ha convertito diecimila eretici. 

Un esempio meno conosciuto è la salvezza della città francese d’Anvers nell’anno 1622, quando fu minacciata da una flotta del principe Maurizio di Nassau. La madre superiora del convento delle Carmelitane di quella città, informata miracolosamente del pericolo, chiamò le sue figlie per pregare con lei durante la notte. Dopo un certo tempo rinviò le suore nelle loro celle e continuò a pregare da sola. All’indomani mattina una delle suore andò a trovare nella sua cella la madre superiora, che le disse: ‘Ahimè figlia mia, come sono affaticata, mi pare che il mio corpo sia tutto rotto: ho combattuto tutta la notte, mi hanno sforzato a pregare; non potevo più sostenere le mie braccia verso il cielo e comunque mi ripetevano incessantemente: “Prega ancora, ancora, ancora”. Se io avessi sconfitto tutta una milizia non sarei più esaurita’. Continuò a pregare fino a quando sentì una voce dal cielo che disse: ‘È fatto’. Poi rimase calma e tranquilla. 

Due ore più tardi si venne a sapere che durante questa preghiera fervente si era alzata una tempesta così violenta ed un vento così gelido che la flotta nemica che minacciava la città era perita in un attimo. Il principe di Nassau fu stranamente sorpreso che, essendo partito con un tempo calmo e sereno, si fosse alzato in un solo attimo una tempesta così violenta ed un gelo così acuto. Il naratore di questo episodio, tratto dalla vita della venerabile madre Anna di san Bartolomeo, termina con queste parole: ‘La città di Anvers ha visto, tramite questo avvenimento felice, come un’anima santa sia più potente con la forza delle sue preghiere che una milizia con le sue armi’.  

Non pretendiamo di essere al livello di queste sante, ma occorre pregare molto, e pregare molto per la salvezza degli altri. Solo sull’orlo dell’eternità sapremo quante persone abbiamo potuto salvare in collaborazione con la Grazia di Dio. 


c)  Il Ringraziamento 

Come osserva Padre Nikolaus Gihr, ci sono varie circostanze che aumentano il valore di un beneficio ed obbligano il recipiente ad una maggiore gratitudine: la nobiltà ed il pregio del dono, la sua utilità, la frequenza con cui viene dato; la dignità, la generosità, e l’amore del donatore; la viltà, la miseria, e l’indegnità del recipiente. Tutte queste circostanze caratterizzano in modo eccelso i benefici che Dio elargisce ogni giorno sugli uomini: i benefici naturali, ma soprattutto quelli sovrannaturali che culminano nel dono del Suo Stesso Figlio. ‘Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma Lo ha dato per noi’, scrive san Paolo (Rom. 8.32), ‘come potrà non donarci ogni cosa insieme con Lui?’  

Questi benefici non ridondano in alcun modo a Suo vantaggio, in quanto Lui è infinitamente ricco di ogni bene e felicità, bensì vengono elargiti dalle viscere della Sua infinita Bontà e Misericordia unicamente per rendere felici le Sue creature nel tempo e nell’Eternità.  

L’ oggetto principale del nostro ringraziamento dev’essere dunque il dono che l’Uomo-Dio ha fatto di Sé Stesso a noi; tutte le Grazie che ci ha dato, cominciando col santo battesimo; tutti i doni naturali come la nostra famiglia, i nostri amici, i nostri talenti; tutte le nostre gioie, ma anche le nostre sofferenze, poiché anche queste vengono previste da Dio per il nostro maggior bene. 

Comunque possiamo dire con Padre Gihr (nello stesso libro) che un oggetto di ringraziamento ancor più sublime del dono del Divin Figlio a noi è la Gloria stessa di Dio. Questo è di fatti l’oggetto di ringraziamento che ci viene proposto nella preghiera Gloria in excelsis Deo durante la Santa Messa: Gratias agimus Tibi propter magnam gloriam Tuam 1 . ‘Dio è di per Sé Stesso’ scrive l’autore, ‘cioè secondo la Sua natura, infinitamente glorioso, infinitamente degno di gloria, assolutamente glorioso, la stessa Gloria increata. È questa Gloria interna di Dio eternamente immutabile ed impenetrabile che dobbiamo ammirare, lodare, adorare; può costituire anche un oggetto di ringraziamento per noi, in quanto mediante l’amore perfetto di Dio, la divina Gloria diviene in un certo qual modo nostro possesso e fonte per noi di una santa gioia… Niente piace o diletta di più un’anima amante che la considerazione dell’infinita Maestà, Bellezza, Bontà, Santità, Saggezza, Potenza, e Misericordia di Dio; quindi non ci deve sorprendere che l’anima prorompa in un canto gioioso di gratitudine a causa della grande, cioè eterna ed infinita gloria di Dio’.      

Occorre dunque ringraziare Dio, anzi ringraziarLo sempre e dappertutto: dignum et justum est, aequum et salutare, semper et ubique gratias agere; occorre vivere in un atteggiamento costante di gratitudine. ‘In ogni cosa rendete grazie’, ci ammonisce san Paolo (1Tess. 5.18), ‘questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi’.  


d)  L’Espiazione 

Da quando il peccato è entrato nel mondo, occorre espiare (o riparare) l’offesa che ha recato all’infinita Maestà di Dio. L’espiazione adeguata e definitiva per il peccato, quello Originale e tutti i peccati successivi ad esso, fu compiuta da Nostro Signore Gesù Cristo sul duro legno della Croce, ma ogni singola persona è tenuta ad espiare personalmente i propri peccati unendosi a quell’espiazione. 

L’espiazione personale si compie in primo luogo nel sacramento della Penitenza mediante la confessione e la contrizione; in secondo luogo nelle preghiere per la misericordia di Dio e negli atti di contrizione al di fuori del sacramento, come l’Atto di dolore. La contrizione si può concretizzare anche in quell’atteggiamento di umiliazione e di dolore costante per i propri peccati che si chiama ‘compunzione’: un atteggiamento salutare che fa riversare sull’anima la Misericordia infinita di Dio: Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies. 

Un altro modo per espiare è di vivere, cioè di agire e di patire, con un’intenzione espiatoria. Possiamo distinguerne due livelli. Il primo livello è la coraggiosa accettazione di tutti i disagi e contrattempi della vita, di tutte le tribolazioni e le sofferenze che Dio nella Sua Divina Saggezza vorrà mandarci; il secondo livello è l’offerta a Dio di tutte le nostre sofferenze e gioie, di tutta la nostra vita passata, presente, e futura. Si ricorda la parola di san Paolo (Rom. 12.1): ‘Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Questa offerta è un sacrificio, quindi, che si accompagna, nel caso di alcune anime generose, col voto di vittima: cioè il voto di immolarsi completamente a Dio come vittima di espiazione’.   

Il momento ed il luogo più adatti per esprimere esplicitamente l’intenzione espiatoria è il Santo Sacrificio della Messa. In questa circostanza il fedele, sia celebrante sia assistente, può unire sé stesso e tutta la sua vita all’atto supremo di espiazione del monte Calvario. L’intenzione viene espressa idealmente all’offertorio; e/o all’immolazione e all’elevazione della Vittima Divina durante il canone; e/o al tempo della Santa Comunione e del ringraziamento come scambio di amore con Dio Che a Sua volta Si è dato completamente a noi. 

Vivere coll’i ntenzione espiatoria è vivere nello spirito di sacrificio. In questo modo di vivere si uniscono due forme di preghiera vocale, cioè l’espiazione e l’adorazione, in quanto, come abbiamo già fatto notare, l’adorazione culmina nel sacrificio. 

Abbiamo già osservato che la Santa Messa è la preghiera vocale per eccellenza, in quanto comprende in modo eccelso tutti e quattro i tipi di tale preghiera. Aggiungiamo ora che essa è questo pure nell’unico modo veramente degno di Dio, cioè in modo infinito, in quanto la Santa Messa rende a Dio, da parte del Suo Divin Figlio, un’opera infinita di adorazione, di petizione, di ringraziamento, e di espiazione. Di questa opera si rende partecipe la Chiesa nella persona del suo ministro, il sacerdote. Quanto alla nostra preghiera vocale personale, essa ha valore solo in quanto unita alla Sua. Per questo conviene unirla alla Sua in modo anche consapevole: durante la Santa Messa e poi nel corso della nostra vita intiera. 

Padre Konrad zu Loewenstein