mercoledì 2 ottobre 2024

IL PECCATO

 


Che cos'è il peccato? È un'offesa a Dio.  

Si disobbedisce ai santi voleri di Dio, e si obbedisce ai voleri della carne, del demonio, del mondo. Il peccato ci fa calpestare i Comandamenti di Dio e ci fa amare le voglie dei nostri istinti e delle nostre passioni. «Il peccato - insegna il Catechismo - è un abuso di quella libertà che Dio dona alle persone create perché possano amare lui e amarsi reciprocamente» (n. 387).  

Il peccato porta disordine, squilibrio, rovina, nell'uomo e nelle cose, anche se il peccatore si illude di trovare un bene nel peccato.  

Basti pensare al primo peccato, quello di Adamo ed Eva. Dietro la seduzione di far diventare «come Dio», il peccato portò la rovina a tutta l'umanità e a tutto il creato (Gn.3).  

Perché il diluvio sulla terra? Per il peccato (Gn.6 e 7).  

Perché Sodoma e Gomorra incenerite? Per il peccato (Gn.1,1-29).  

Perché Tiro, Sidone, Corazin, Cafarnao e Gerusalemme furono distrutte? Per il peccato.  

Perché le guerre e le devastazioni fra i popoli? Perché in tante famiglie c'è l'inferno?  

Perché ci sono uomini che vanno all'inferno? Per il peccato. Sempre per il peccato.  

Avevano ragione alcuni Santi a tremare al sentir solo nominare la parola peccato.  

 

Il peccato mortale  

Il peccato è mortale, se l'offesa a Dio è grave; è veniale, se l'offesa a Dio è leggera.  

La sciagura più grande che possa capitare all'uomo è quella di commettere un peccato mortale. San Pio da Pietrelcina era solito esclamare «Sciagurato!» a chi si accusava di una colpa mortale. Nessuna disgrazia è paragonabile al peccato mortale. Anzi, sarebbe preferibile ogni altra disgrazia.  

Scrisse san Cipriano: «Osserva i guasti che cagiona la grandine alle messi, il turbine agli alberi, la pestilenza agli armenti e agli uomini il vento e la procella alle navi ... Essi non sono che una languida figura dei danni che il peccato porta all'anima nostra: esso distrugge tutti i frutti delle buone opere, corrompe tutte le nostre facoltà e guida l'uomo a morte sicura».  

Faceva benissimo, perciò, il piccolo e coraggioso san Domenico Savio, a sostenere la sua bella massima: «La morte, ma non peccati».  

La morte, infatti, è solo un fatto fisico che riduce il corpo dell'uomo a cadavere. Il peccato, invece, è un fatto spirituale che riduce l'anima dell'uomo a cadavere, fino a quando non si recupera la grazia con il sacramento della Confessione. Un cristiano con l'anima cadavere: ecco la mostruosità del peccato mortale.  

 

È spaventoso ...  

Per comprendere meglio la mostruosità del peccato mortale bisogna guardare al Calvario. Il peccato ha reso Gesù «l'uomo dei dolori» (Is.53,3), è costato la morte di Gesù sulla croce (1Pt 1,19; Ap.5,9), ha «trapassato l'anima» della divina Madre Corredentrice (Lc 2,35). E chiunque commette di nuovo il peccato mortale «crocifigge di nuovo il Figlio di Dio nel proprio cuore» (Eb.6,6).  

Per questo, il peccato mortale fa perdere all'anima la vita soprannaturale, ossia la grazia divina, le fa perdere i meriti e le virtù infuse, lasciandole solo la Fede e la Speranza; infine, le toglie la rassomiglianza con Cristo e le imprime l'immagine del demonio. È spaventoso!  

Aveva ragione santa Teresa d'Avila di dire che la visione di un’anima in peccato mortale l'atterrì al punto tale da supplicare Dio di interromperla.  

Ma quanti sono i cristiani in peccato mortale, che si rendono conto di avere un'anima cadavere e di somigliare a demoni? E come possono credere di amare Dio, di amare la Madonna, se con il peccato si dimostrano «odiatori di Dio» (Rm.1,30) e «trapassano l'anima» della Madonna (Lc 2,35)?  

  

Il peccato veniale  

Non bisogna farsi ingannare. Anche il peccato veniale offende Dio e rovina l'uomo, sebbene non provochi gli effetti disastrosi del peccato mortale.  

San Tommaso d'Aquino ci ammonisce: «Bisognerebbe piuttosto morire anziché commettere un solo peccato veniale»; e santa Gemma Galgani esclamava: «Mille volte la morte, piuttosto che commettere un peccato veniale».  

I Santi avvertono la bruttezza del peccato veniale secondo la misura del loro amore ardente a Dio. Per questo, diceva san Giovanni Crisostomo, sono pronti a temere più un'offesa leggera a Dio, che l'inferno stesso. Difatti, santa Caterina da Siena diceva di sé: «Vorrei essere piuttosto nell'Inferno senza peccato, che trovarmi in cielo macchiata di cosa lievissima che dispiaccia al Signore ...».  

Come faremo noi che ci macchiamo forse ogni giorno di colpe veniali, con tanta superficialità? Sappiamo stare attenti a evitare ogni malanno fisico (anche un raffreddore), e intanto non ci curiamo dei malanni spirituali (impazienze, bugie, negligenze) che offendono Dio e deturpano l'anima.  

Un giorno santa Francesca di Chantal volle mettere con le sue mani il cadavere di un lebbroso nella bara. Qualcuno tentò di impedirglielo, per timore del contagio della lebbra. Ma la Santa disse con decisione: «Non temo altra lebbra che il peccato!». Impariamo.  

  

La piccola Giacinta 

La più piccola dei tre pastorelli di Fatima, Giacinta, fu la più ardente vittima per i peccatori. Era diventata per lei una passione: salvare i peccatori dall'inferno, offrendo sacrifici di ogni specie. E andava alla ricerca di ogni sacrificio con industria sempre nuova.  

Incontrava i poverelli per la strada e dava a loro la sua colazione, restandosene digiuna fino a sera; aveva una sete ardente nel mese di agosto, e rinunciava a bere ad ogni costo; il fratello Francesco raccoglieva ghiande più dolci da un albero, ed ella gli raccomandava di darle le ghiande più amare, per offrire un sacrificio; aveva un brutto mal di testa, e il gracidare delle rane le dava un forte fastidio, ma ella impedì al fratello di disperdere quelle rane, per offrire un altro sacrificio in più.  

Dobbiamo imparare da questa fanciulla ad ascoltare le richieste della Madonna sulla necessità di salvare i peccatori dall'inferno, collaborando alla loro conversione con la preghiera e la penitenza.  

Padre Stefano Manelli


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