Necessità della Grazia
La precedente meditazione getta luce sulla riflessione di domani. Se non sono niente nell'ordine della natura, che cosa sarò nell'ordine della Grazia? La Grazia non mi è affatto dovuta. Se mi è data, non fa mai parte della mia sostanza, resta una ricchezza divina di cui posso vedermi spogliato ad ogni istante.
D'altra parte, se la vita naturale nei suoi più piccoli atti ha bisogno del concorso di Dio per ogni movimento, che dire della dipendenza a cui mi costringe l'esercizio della vita soprannaturale, i cui atti partecipano tutti del divino?
La Grazia non è solo, come credono falsamente molti cristiani, un completamento delle forze; è il principio primo di tutta l'attività soprannaturale, di quegli stessi atti che una lunga abitudine o una attrazione personale rendono estremamente facili. Scrutando il mio nulla e la mia situazione da questo nuovo punto di vista, non mancherò di considerare che almeno qui la mia dipendenza è garanzia della mia grandezza: la vita soprannaturale è essenzialmente una vita di dipendenza, poiché partecipa della stessa vita di Dio, che è il solo a poterla mantenere viva.
Questa è la mia condizione costitutiva in modo tale che mi seguirà perfino nella vita eterna. Anche là Dio resterà il principio di tutti i miei atti. Oh, dipendenza deliziosa! Sarà Dio stesso a farsi adorare, amare, cantare dai suoi eletti in una unione indicibile, prossima all'unità.
Col cuore animato da tale speranza, mediterò domani sulla necessità della Grazia:
1. necessità della Grazia attuale in genere;
2. necessità della Grazia preveniente;
3. necessità della Grazia concomitante.
1. Necessità della Grazia attuale in genere
Nell'ordine soprannaturale l'incapacità dell'uomo è assoluta. La Grazia attuale gli è indispensabile per l'opera più semplice come per la più difficile: «Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12, 3).
Ecco una espressione che ho spesso sentito e che ho accettato allo stato di formula passiva. La Chiesa ne ha fatto un articolo di Fede; io la credo fermamente, ma forse non ne misuro la portata.
Per valutarla convenientemente, mi metterò in un punto elevato e prenderò come riferimento delle mie osservazioni un perfetto cristiano, oppure un santo religioso o sacerdote.
Costui ha conservato l'innocenza battesimale, ha servito Dio con fedeltà costante; ora è pieno di meriti, di virtù e di fervore. I meriti hanno procurato alla sua Grazia santificante degli accrescimenti meravigliosi; le virtù hanno sottomesso perfettamente la sua natura; il fervore mette in azione ogni energia del suo cuore. Eccolo, in fondo, capace di tutti gli eroismi. Eppure senza una Grazia attuale immediata non è in grado, per quanto santo egli sia, di pronunciare con merito il nome di Gesù.
«L'occhio meglio conformato - dice Agostino - non può vedere niente senza l'aiuto della luce. L'uomo più santo non può fare il bene senza l'aiuto divino dell'eterna luce della Grazia».
2. Necessità della Grazia preveniente
Ecco un'arpa perfettamente in ordine, che contiene all'infinito, per così dire, melodie nascoste; eppure per sprigionarle avrà sempre bisogno della mano dell'artista. Prima è inerte e silenziosa; poi quando riceve i tocchi, vibra meravigliosamente.
Così l'anima non vibra che mossa dalla Grazia. All'origine di tutti i suoi atti soprannaturali c'è l'azione di una Grazia preveniente. Questa Grazia muove il pensiero, il desiderio, risveglia il volere e provoca l'attività. In questo volere, che determina l'azione, si ritrova ancora la Grazia attuale, che lo completa misteriosamente, senza privare del suo ruolo la libertà umana. Io voglio ed è Dio che, più di me, vuole con me.
L'arpa del più grande maestro, strumento docile delle sue più belle ispirazioni, lasciata a se stessa, non è migliore di un'arpa qualunque nell'eseguire l'accordo più elementare. È totalmente inerte e resta muta. Così è e così resta, senza la Grazia, l'anima perfetta di un santo.
La corda dell'arpa pizzicata dall'artista entra in vibrazione. Allo stesso modo, l'anima del giusto, mossa dalla Grazia, comincia il suo agire soprannaturale. Nell'arpa l'intensità del suono, qui l'intensità dell'atto non saprà mai superare la forza dell'impulso ricevuto. Quale la mozione, tale l'effetto. La persona che dà il suo consenso non vi apporta e non vi aggiunge nulla: come l'arpa.
Dove sta, dunque, la mia parte? Io coopero, mi presto, faccio mio l'impulso ricevuto. In fondo, sono un nulla da cui Dio trae qualcosa.
3. Necessità della Grazia concomitante
C'è un aspetto sotto il quale la mia impotenza appare più grave di quella dell'arpa. Questa, messa in movimento, prolunga le sue vibrazioni. L'anima, mossa dalla Grazia, s'arresta all'istante nel suo agire soprannaturale se con lei non continua a muoversi la Grazia, che qui prende il nome di Grazia concomitante.
Ho cominciato - per esempio - un atto di amor di Dio; le mie labbra stanno per terminare le parole. Se la Grazia si ferma, la mia formula può continuare, ma si fa vuota.
Non posso allora attribuirmi niente di mio? Neppure la volontà o il semplice desiderio? No, assolutamente niente; sarebbe contrario alla Fede. Come? Neppure il potere di meritare questo desiderio e di conquistarlo, in tutta giustizia, con degli sforzi naturali di ragione e di volontà? No, tale pretesa sarebbe contraria alla Fede.
Ma almeno mi sia riservata una parte, per quanto minima! Non dice s. Paolo: «La grazia di Dio che è con me»? (1 Cor 15, 10). Dunque, partecipo anch'io all'atto soprannaturale, e vi ho la mia parte! Sì, ma questa parte è di tale natura che non può inorgoglire, altrimenti l'Apostolo non avrebbe detto: «Chi dunque ti ha dato questo privilegio?» (1 Cor 4, 7). Io ricevo da Dio perfino quanto liberamente faccio: «È Dio infatti che suscita in voi - ripete l'Apostolo - il volere e l'operare» (Fil 2, 13).
Se è vero che sono un essere creato, è rigorosamente vero che rimango un essere che porta il nulla nella sua attività e nella sua essenza.
Come non meravigliarmi allora di sentire in me la superbia? Come non riconoscere la menzogna e l'ingiustizia di questo vizio? E come non vedere che alla base di ogni atto e di ogni virtù ci vuole l'umiltà? La sua necessità non è necessità morale, sinonimo di grande importanza, ma necessità assoluta. E dal momento che l'umiltà partecipa alla necessità della Grazia, anche la sua necessità è assoluta.
Dio ha diritto di esigere da me l'umiltà, perché ha il dovere di mantenere l'ordine delle cose; non ha, dunque, il diritto di permettermi un atomo di superbia.
Davanti a Lui mi farò molto piccolo e resterò del tutto sottomesso e dipendente; sarà mio piacere piegarmi nella più profonda adorazione, non solamente nei luoghi di preghiera, ma anche nel segreto della casa: è l'atteggiamento più conveniente. Se non potrò farlo in pubblico, conserverò almeno quel vivo senso di abbassamento che saprà tenermi a freno.
Leopold Beaudenom
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