venerdì 29 aprile 2022

I gusti, la sensibilità, i sentimenti

 


Si tratta di passioni, perché appunto fanno patire. Un affetto umano, naturale e forse innocente  è comunque una tirannia e una tortura per il povero cuore umano; così dice Luisa e ne parla per  esperienza. Che è sicuramente un’esperienza universale. Un sentimento, un’inclinazione che diventa  una sorgente di ansietà e di tormento, anche quando la volontà vuole dominarlo, fino a quando non lo  domina ed esso si calma e tace. Non è possibile amare persone con affetto speciale e avere pace.  

E questo succede ugualmente anche negli affetti leciti di famiglia o della semplice amicizia:  devono essere sostenuti da una grazia del Signore per passare dal livello naturale, dove il peccato  originale ha messo disordine ed egoismo, al livello soprannaturale, dove s’innesta con l’Amore  Divino. Solo così si comprende ciò che ha detto il Signore: 

“Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e  disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona” (Mt 6,24). “Sono venuto infatti a  separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo  saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi  ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi  segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua  vita per causa mia, la troverà”  (Mt 10,35-39). 

Come si spiega questo problema, così universale e così assilante, dei propri gusti e sentimenti?  

E’ una guerra nella quale, o vinco io e domino questa mia sensibilità e non do spazio ai miei gusti,  o sono essi a vincermi e a dominarmi, a rovinarmi. E’ la guerra tra il fare il proprio volere o il far  vincere il Volere Divino, “perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la  propria vita per causa mia, la troverà”. (Mt 16,25).  

Gesù e Maria, per primi, hanno negato se stessi per affermare il diritto assoluto di Dio, in ogni  cosa della loro vita; hanno accettato di perdere fin dal primo momento la loro vita, la loro volontà  umana, e così hanno trovato immediatamente la Vita e la Volontà del Padre come la loro vita. 

Che cosa rimprovera Gesù e la nostra stessa coscienza? Quell’attaccamento alla creatura oggetto  dell’amore, nel quale Egli è messo in disparte, un amore separato dal Suo Amore. Addirittura un  “amore” spesso contrario alla sua Volontà, che offende perciò il suo Amore, che Gli nega il suo  diritto. Vediamo al riguardo, negli scritti di Luisa, questi argomenti correlati:  

- la carità perfetta ha come unica intenzione far piacere a Gesù (Vol. II, 12.5.1899);  

- Gesù, unendo in Sé la sua Natura Divina e la natura umana, ha unito l’amore a Dio, dandogli  soddisfazione, e l’amore al prossimo, salvandolo, e ne ha fatto un solo precetto (Vol. III, 18.6.1900);  

- il vero amore deve essere forte, costante e vincolante Dio e il prossimo (Vol. IV, 10.9.1902);  

- l’anima deve fare dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo un solo amore, rettificando tutto per Dio (Vol. VI, 4.3.1904), ecc.  

Luisa racconta  nel suo “Quaderno di memorie dell’infanzia”:  

“Ricordo che, da ragazza, avevo quasi una smania di volermi far suora, e siccome andavo  dalle suore a scuola, io sentivo un affetto un po’ spinto per loro, ma però volevo loro bene,  perché volevo essere come una di loro; ma nel mio interno mi sentivo rimproverare di questo  affetto, e mentre promettevo di non amare altro che Gesù, ricadevo di nuovo, e Gesù  ritornava a darmi amari rimproveri. Unico affetto, ricordo, che ho sentito in vita mia in modo  speciale, ché poi non mi sono sentita più amore verso nessuno. Che tirannia è un affetto  naturale e forse anche innocente, al povero cuore umano! Lo ricordo con terrore; i  rimproveri interni mi mettevano in croce; mi sembrava che il mio affetto teneva in croce  Gesù, e Gesù per ricambio metteva in croce me, e perciò non godevo la vera pace, perché è   la natura dell’amore umano guerreggiare un povero cuore. Avere pace ed amare persone con  modo speciale, non esiste nel mondo, e se esiste significa non avere coscienza, ancorché fosse  con fine santo o indifferente. 

Ma il benedetto Gesù la fece subito finire, ed ecco come. Una mattina pregai la mamma  che mi mandasse a far visita alla Superiora e l’ottenni con stento e sacrificio. Mentre andai  domandai che mi facessero uscire la Superiora, e dopo mi fu risposto che stava occupata e  non poteva uscire; io restai come ferita nel sentire ciò. Andai in chiesa e sfogai la mia pena  con Gesù, e Lui prese occasione da ciò per farmela finire. Mi parlò del suo Amore e del-l’incostanza dell’amore delle creature, e come voleva che assolutamente la finissi, dicendomi  che “quando un cuore non è vuoto, Io lo rifiuto, né posso incominciare il lavorio che ho  disegnato di fare nel fondo dell’anima”... Ma chi può dire tutto ciò che mi disse nel mio  interno? Ricordo che la finii ed il mio cuore restò impavido, senza sapere amare più nessuno.”  

 (Ovviamente, in quel modo disordinato). 


La purezza di cuore fa vedere Gesù e davanti a Lui, coperto di dolori e di umiliazioni, si considerano tutte le altre cose come spazzatura: 

«Trovandomi nel solito mio stato stavo pensando a Nostro Signore, quando giunto sul  monte Calvario fu spogliato del tutto e amareggiato col fiele, e lo pregavo dicendogli:  

“Adorabile mio Signore, non vedo in Te che veste di sangue, abbigliato da piaghe, e per  gusto e piacere, amarezze di fiele, e per onore e gloria confusione, obbrobri e croce. Deh, non  permettere, dopo che Tu hai tanto sofferto, che io guardi le cose di questa terra se non come  sterco e fango; che non mi prenda altro piacere che in Te solo e che tutto il mio onore non sia  altro che la croce”. E Lui, facendosi vedere, mi ha detto: “Figlia mia, se tu facessi diversamente  perderesti la purità dell’occhio, perché formandosi un velo alla vista perderesti il bene di  vedermi, perché quell’occhio che si bea delle sole cose del Cielo ha la virtù di vedermi e chi si bea delle cose della terra ha la virtù di vedere le cose della terra, perché l’occhio,  vedendole diversamente da quel che sono, le vede e le ama”.»  (Vol. 4, 1-5-1904) 

 

La vera felicità, la beatitudine eterna incomincia dal perdere ogni gusto proprio, anche spirituale,  acquistando  i gusti divini: 

«Figlia mia, coraggio, il principio della beatitudine eterna è il perdere ogni gusto proprio,  perché a seconda che l’anima va perdendo i propri gusti, così i gusti divini vi prendono  possesso, e l’anima, avendo disfatto e perduto se stessa, non si riconosce più, non trova più  niente di suo, neppure [nel]le cose spirituali. Dio, vedendo che l’anima non ha più niente di suo, la riempie di tutto Se stesso e la ricolma di tutte le felicità divine, e allora l’anima può dirsi  veramente beata, perché finché aveva qualche cosa di proprio non poteva essere esente da  amarezze e timori, né Dio potrebbe comunicarle la propria felicità.  

Ogni anima che entra nel porto della beatitudine eterna non può essere esente da questo  punto doloroso, sì, ma necessario, né può farne a meno. Generalmente [le creature] lo fanno in  punto di morte ed il purgatorio vi mette l’ultima mano. Perciò, se si domanda alle creature  che cosa è gusto di Dio, che significa beatitudine divina, sono cose a loro sconosciute e  non sanno articolar parola. Ma alle anime mie dilette, essendosi date tutte a Me, non voglio  che la loro beatitudine abbia inizio lassù nel Cielo, ma che abbia inizio quaggiù in terra. E non  solo voglio riempirle della felicità, della gloria del Cielo, ma voglio riempirle dei beni, dei  patimenti, delle virtù che ebbe la mia Umanità in terra; perciò le spoglio non solo da gusti  materiali, che l’anima tiene in conto di sterco, ma [anche] dei gusti spirituali, per riempirle  tutte dei miei beni e dare loro il principio della vera beatitudine.» (Vol. 4, 6-12-1904) 

   

Chi va inseguendo il proprio gusto converte i doni di Dio in idoli, offendendolo e costringendolo         a non darli.  Dove c’è il proprio  gusto difficilmente ci può essere il gusto divino: 

«Figlia mia, è tanto l’attaccamento delle creature al proprio gusto, che sono costretto a  contenere i miei doni, perché invece di attaccarsi al Donatore, si attaccano ai miei doni,  idolatrando i miei doni con offesa al Donatore, sicché, se trovano il proprio gusto fanno, cioè  non fanno se non soddisfano il proprio gusto; se non c’è gusto, non fanno niente. Sicché il  proprio gusto forma una seconda vita nelle creature. Ma misere, non sanno che dove c’è il  proprio gusto, difficilmente ci può essere il gusto divino, anche nelle stesse cose sante.  Sicché ricevendo i miei doni, le grazie, i favori, [la creatura] non deve appropriarsene come  cose sue, formando un gusto proprio, ma devono tenerli come gusti divini, servendosene per  amare maggiormente il Signore, pronta a sacrificarli allo stesso amore.» (Vol. 7, 10-1-1907) 

 

L’unione  con  Gesù  toglie  ogni   impressione  da  parte  delle  cose  esterne: 

«Figlia mia, ci sono certe regioni dove le piante non sono soggette a freddi, a brine, a nevi,  quindi non sono spogliate da foglie, da fiori e da frutti, e se fanno sosta è per breve tempo, per dar luogo a che, quando si colgono i frutti, abbiano il tempo necessario a [far] crescere altri,  perché il caldo le feconda mirabilmente e non sono soggette a lungaggini, come sono soggette  le piante nelle regioni fredde, dove le povere piante per le brine e nevi sono soggette per lunghi  mesi a dare per breve tempo pochissimi frutti, quasi stancando la pazienza dell’agricoltore che  li deve raccogliere.  

Così sono le anime che sono giunte alla mia unione: il caldo della mia unione dissipa da  loro il freddo delle umane inclinazioni, che come freddo le rende sterili e spogliate di foglie e  di frutti divini. Le brine delle passioni, le nevi dei turbamenti, arrestano nell’anima i frutti della  Grazia. Stando all’ombra della mia unione, niente fa loro più impressione, nessuna cosa  entra nel loro interno che disturbi la nostra unione e il nostro riposo, tutta la loro vita si  svolge nel mio centro, sicché la loro inclinazione, la loro passione, è per Dio; e se qualche  volta si fa un po’ di sosta, non è altro che un mio semplice nascondimento, per dar loro una  sorpresa di maggiori consolazioni e quindi poter gustare in loro frutti più squisiti di pazienza e  di eroismo che hanno esercitato nel mio nascondimento.  

Tutto all’opposto succede alle anime imperfette. Sembrano loro proprio le piante nate nelle  regioni fredde, sono soggette a tutte le impressioni, sicché la loro vita vive più d’impressione  che di ragione e di virtù; le inclinazioni, le passioni, le tentazioni, i turbamenti e tutti gli eventi  della vita sono tanti freddi, nevi, brine, grandine, che impediscono lo sviluppo della mia unione  con loro, e quando pare che hanno fatto una bella fioritura, basta un nuovo successo, una cosa  che fa loro impressione, per fare sfiorire questa bella fioritura e farla andare per terra. Sicché  sono sempre in principio e pochissimi frutti cacciano da loro, e quasi stancano la mia pazienza  nel coltivarle.» (Vol. 8, 13-3-1908) 

 

Più  di  terra  si  lascia,  più  di  Cielo  si  prende:  

«Figlia mia, di quante più cose l’anima si priva di qua, altrettante di più ne avrà di là, nel  Cielo; sicché quanto più povero [è] in terra, tanto più ricco [sarà] in Cielo; quanto più privo di  gusti, di piaceri, di divertimenti, di viaggi, di passeggiate in terra, tanti gusti e piaceri  prenderà in Dio. Oh, come passeggerà negli spazi dei Cieli, specie nei Cieli immensurabili degli  attributi di Dio, perché ogni attributo è un Cielo, è un Paradiso di più; e dei beati [c’è] chi vi  entra dentro, si può dire, come alla punta degli attributi di Dio; chi cammina nel mezzo, chi più  su ancora, e quan o più cammina gusta di più, gode  si diverte di più; sicché chi lascia terra  prende Cielo, fosse anche in minima cosa. Onde segue [che] chi più [è] disprezzato più [sarà]  onorato, chi più piccolo [sarà] più grande, chi più [è] sottomesso più dominio [avrà], e così di  tutto il resto. Eppure, dei mortali, chi è che pensa a privarsi di qualche cosa in terra per averne  in Cielo eternamente? Quasi nessuno.»  (Vol. 8, 07-09-1908) 

  

 La  sensibilità  umana: 

«Avendo visto varie anime intorno a Gesù, specie una più sensibile, Gesù mi ha detto: 

“Figlia mia, le anime di temperamento sensibile, se si mettono al bene, fanno più progresso  delle altre, perché la loro sensibilità le porta ad imprese ardue, grandi”. 

Io l’ho pregato che le togliesse quel resto di sensibilità umana che le restava, che la  stringesse più a sé, che le dicesse che l’amava, perché a sentirsi dire che l’amava, la conquisterebbe del tutto...: “Vedrai che riuscirai. Non hai vinto me così, dicendomi che mi amavi  tanto, tanto?” E Gesù: “Sì, sì, lo farò, ma voglio la sua cooperazione, che sfugga quanto più può  dalle persone che le eccitano la sensibilità”.»  (Vol. 11, 24-2-1912) 

 

I gusti umani non saziano la fame di felicità divina ed eterna. Gesù li amareggia, per poter dare i    suoi  gusti  divini:  

«Figlia mia, la natura è portata da una forza irresistibile alla felicità, ma con ragione,  perché è stata fatta per essere felice, di una felicità divina ed eterna. Ma con suo gran danno si  va attaccando, chi a un gusto, chi a due, chi a tre e chi a quattro, e il resto della natura resta  vuota e senza gusto, oppure amareggiata, infastidita e nauseata, perché i gusti umani e anche i  gusti santi, ma mescolati con un po’ d’umano, non hanno la forza di assorbire tutta la natura e  di travolgerla tutta nel gusto. Molto più che Io vado amareggiando questi gusti per poter darle  tutti i miei gusti, perché essendo innumerevoli, hanno forza di assorbire tutta la natura nel gusto. Si può dare amore più grande, che per darle il più le tolgo il poco e per darle il tutto le  tolgo il nulla? Eppure questo mio operato è preso a male dalle creature.» (Vol. 11, 20-4-1912) 

 

La Mamma Celeste toglie ogni gusto che non sia Gesù:  

«…La Celeste Mamma mi ha preso in braccio –io ero piccina, piccina– e mi ha detto: 

“Figlia mia, voglio corroborarti in tutto”, e pareva che con la sua santa mano mi segnasse la  fronte, come se scrivesse, e vi mettesse un suggello; poi, come se mi scrivesse negli occhi,  nella bocca, nel cuore, nelle mani e piedi, e poi vi metteva il sigillo. Io volevo vedere ciò che  Lei mi scriveva, ma non sapevo leggere quello scritto. Solo alla bocca ho visto due lettere, che  dicevano «annientamento di ogni gusto», ed io subito ho detto: “Grazie, o Mamma, che mi  togli ogni gusto che non sia Gesù”. Volevo capire altro, ma la Mamma mi ha detto: “Non è  necessario che lo sappia; abbi fiducia in Me. Ti ho fatto ciò che ci voleva”. Mi ha benedetta ed è  scomparsa, e mi sono trovata in me stessa.»  (Vol. 12, 25-12-1920)   

 

Importanza dei gusti e disgusti nell’anima. Che si deve fare con essi. Il gusto, che sembra cosa da  nulla, è invece l’atto primo del bene o del male..: 

«Stavo impensierita sul perché il mio dolce Gesù non veniva; dicevo tra me: “Chissà che  starà di male nel mio interno, che Gesù, per non dispiacersi, si nasconde?”   

E Lui, movendosi nel mio interno, mi ha detto: “Figlia mia, il segno che non ci sia nulla di  male e che l’interno dell’anima sia tutto riempito di Dio, è che nulla le sia rimasto che non sia  tutto mio e che in tutto ciò che possa accadere dentro e fuori di lei, non provi più gusto di  nulla, il suo gusto sia solo per Me e di Me, e non solo delle cose profane o indifferenti, ma  anche di cose sante, di persone pie, di funzioni, di musiche, eccetera, tutto per lei sia freddo,  indifferente e come cose che non le appartengono; e la ragione è naturale, se l’anima è tutta  riempita di Me, quindi è riempita anche dei miei gusti, il gusto mio è il suo, gli altri gusti  non trovano posto dove mettersi e perciò, per quanto belli essi siano, per l’anima non  hanno nessun’attrattiva, anzi per lei sono come morti. Invece, l’anima che non è tutta mia è  vuota   e come le cose la circondano, così sente in sé tanti gusti se sono cose che le piacciono;  se poi sono cose che non gradisce, sente disgusto, sicché sta in continua alternanza di gusti e di  disgusti, e siccome il gusto che non è uscito da Me non è duraturo, molte volte i gusti si convertono in disgusti e perciò si notano tante varietà di carattere: ora troppo triste, ora troppo  allegro, ora tutto stizzoso, un’altra volta tutto affabile: è il vuoto di Me che tiene nell’anima, che    le dà tante varietà di carattere, niente simile al mio, che sono sempre uguale e mai mi muto.   Ora, provi tu qualche gusto di ciò che esiste quaggiù? Che temi, che ci sia qualche male in te,  che Io, dispiaciuto, mi nasconda? Dove ci sono Io, non ci possono essere mali”.   

Ed io: “Amor mio, io non mi sento di prendere gusto di nessuna cosa, per quanto buona sia,  e poi Tu lo sai più di me: come posso prendere gusto di altre cose, se la pena della tua  privazione mi assorbe, mi amareggia perfino le midolla delle ossa, mi fa dimenticare tutto e  solo mi è presente e fitto nel cuore il chiodo che sono priva di Te?”  

E Gesù: “E questo ti dice che sei mia e sei riempita di Me, perché il gusto ha questo potere:  se è gusto mio, trasforma [la creatura] in Me; se è gusto naturale, la travolge nelle cose  umane; se è gusto di passioni, la getta nella corrente del male. Il gusto pare che sia cosa da  nulla, eppure non è così, è l’atto primo del bene o del male; e vedi un po’ come è così.  

Adamo, perché peccò? Perché ritirò lo sguardo dall’allettamento divino e, come Eva  presentò il frutto per farlo mangiare, guardò il frutto e la vista prese piacere nel guardarlo,  l’udito prese diletto nel sentire le parole di Eva, che se mangiava il frutto doveva diventare  simile a Dio, la gola prese gusto nel mangiarlo, sicché il gusto fu il primo atto della sua  rovina. Se invece avesse provato dispiacere nel guardarlo, noia, fastidio nell’udire le parole di  Eva, disgusto nel mangiarlo, Adamo non avrebbe peccato, anzi avrebbe fatto il primo atto  eroico nella sua vita, resistendo e correggendo Eva di aver fatto ciò, e lui sarebbe rimasto con  la corona imperitura della fedeltà verso [Colui] a chi tanto doveva e che aveva tutti i diritti  della sua sudditanza. Oh, come bisogna stare attenti sui diversi gusti che sorgono  nell’anima! Se sono gusti puramente divini, dar loro la vita; se poi sono gusti umani, o di  passioni, dar loro la morte, altrimenti c’è pericolo di precipitare nella corrente del male.”   (Vol. 15, 6-6-1923) 


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