sabato 10 settembre 2022

IL CUORE DEL PADRE

 


La paternità integrale

Nel dramma del peccato e della redenzione il Padre si è comportato secondo il principio dell'amore più grande: per gli uomini peccatori egli ha avuto un affetto più ardente, donando loro, col Figlio suo, il fondo del suo cuore paterno. In questo modo aveva esecuzione il suo disegno grandioso, concepito sin dall'origine, di diventare il Padre degli uomini a un titolo superiore e completo, comunicando cioè loro la vita divina e facendoli propri figli nel suo unico Figlio e mediante lui.

In Cristo risuscitato, che riunisce in sé l'umanità, si rivela il compimento magnifico di questo progetto del Padre, compimento che è esso stesso l'inizio di un nuovo sviluppo. Infatti, è in Cristo glorioso che viene data concretamente agli uomini la qualità di figli di Dio. Dal momento della risurrezione, Cristo possiede nella sua natura umana tutto lo splendore della filiazione divina, mentre prima, durante la vita terrena, aveva rinunciato a far apparire quello splendore rimanendo nell'umiltà di una comune condizione umana. San Paolo dichiara che Cristo Gesù, Figlio di Dio nato in una debole carne umana, ha ricevuto la sua potenza di Figlio di Dio in virtù della sua risurrezione da morte. In quell'istante egli ha rivestito nella sua carne trasformata e rinnovata tutte le prerogative della sua filiazione divina ed è stato investito del suo potere di santificare l'umanità. Possedendo ormai nella sua natura umana il pieno splendore della divinità, egli ci fa partecipi della sua vita divina e della sua filiazione nei confronti del Padre.

La comunicazione agli uomini di questa filiazione integrale è il primo risultato del suo sacrificio, ed egli si affretta ad annunciarlo fin dalle prime parole che pronuncia subito dopo la risurrezione. A Maria Maddalena, che pochi istanti prima lo aveva ancora cercato nello stato di cadavere, egli sottolinea intenzionalmente che la nuova vita che lo anima significa nuove relazioni con i discepoli: « Va' dai miei fratelli e dì loro: io salgo verso il Padre mio e Padre vostro ».

Gesù aveva già avuto con i suoi discepoli relazioni veramente, amichevoli, anzi fraterne; d'altronde non chiamava egli col nome di fratello l'ultimo degli uomini, quello che pareva il più trascurabile? 3. Ma è chiaro che qui egli dà un nuovo valore alla parola fratelli, designando espressamente con essa i suoi discepoli. È vero che anche in precedenza egli aveva detto indicando gli apostoli: « Ecco mia madre e i miei fratelli. Perché chiunque farà la volontà del Padre mio che è nei cieli è mio fratello, mia sorella, mia madre ». Ma egli si riferiva allora alla particolare situazione in cui si era trovato quando i membri della sua famiglia erano venuti a lui durante la, sua vita pubblica per ricondurlo alla casa di Nazareth, e dicendo che la sua vera famiglia erano i suoi discepoli, non intendeva ancora porre l'accento su di una particolare relazione di fraternità; del resto, egli non parla soltanto di fratello, ma di sorella e di madre, e attribuiva tutte insieme queste qualità ai suoi discepoli. Non dava quindi ancora loro il nome di fratelli come un attributo caratteristico, esprimente il suo legame con essi.

Con quella dichiarazione egli annunciava tuttavia che il legame che lo univa ai suoi discepoli passava per il Padre celeste: solo quelli che facevano la volontà del Padre diventavano fratello, sorella e madre suoi; e questo vincolo è posto in modo nuovo e definitivo al tempo della risurrezione. Col sacrificio del Calvario il Padre ha riconciliato l'umanità con se stesso ed ha mandato ad effetto il perdono che aveva progettato di concedere agli uomini. Avendo distrutto in linea di massima il regno del peccato nel mondo, egli ha vinto le forze che gli erano ostili ed estirpato quello stato di inimicizia verso di lui, nel quale l'anima dell'uomo era stata posta a causa del peccato originale. Non vedendo i peccatori che attraverso il Figlio immolato sulla croce, egli li considera come assolti e riscattati da lui. Per questo vota loro l'amore paterno più completo, circondandoli dell'affetto che porta al Figlio: ed è questo nuovo amore paterno, preparato da lungo tempo ma realizzato di recente, che Cristo risuscitato reca ai suoi discepoli e che annuncia con il suo primo messaggio.

Dicendo « fratelli miei » e usando l'espressione « il Padre mio e Padre vostro », è come se Gesù dichiarasse: « Il Padre vi ama. Vi ama come figli suoi. È vostro Padre come è mio. Ecco perché siete diventati miei fratelli » .

La nuova paternità non si manifesta soltanto con un amore integrale da parte del Padre, ma anche col dono integrale della vita divina, che Cristo glorioso ha ricevuto dal Padre per trasmetterlo a noi. Noi non possediamo dunque la qualità di figli semplicemente a titolo morale di rapporti affettuosi, ma perché dal profondo del nostro essere scaturisce la vita stessa di Dio. Il Padre ha fatto ben più che considerarci figli: egli ci ha creati o ricreati dall'interno, affinché la sua vita diventi la nostra. L'essenza della paternità consiste nella generazione o comunicazione della vita; e appunto questa paternità essenziale il Padre ha voluto assumere quando, ridando vita al corpo di Gesù, ha profuso nel Figlio incarnato una pienezza di vita divina, che doveva esserci comunicata. Facendo di Cristo, mediante la risurrezione, « il primogenito dei redivivi », egli ci elargiva una nuova nascita. Per farsi integralmente nostro Padre, ci elevava all'altezza del suo essere divino.

Se Cristo risuscitato fa in primo luogo allusione a questa nuova paternità, ciò è dovuto, tra l'altro, senza dubbio al tatto che egli amava il Padre sopra ogni cosa e perciò desiderava farci partecipi della felicità che ci viene dall'essere suoi figli, mostrandoci la gioia che provava il Padre dall'aver elargito il suo amore paterno e introdotto l'immensa famiglia umana nella famiglia divina. Infatti, tutta la gioia della risurrezione, nata il mattino di Pasqua e destinata a diffondersi nel mondo e attraverso i secoli, era sbocciata dal cuore del Padre.

Ma se Cristo fa consistere tutto il suo primo messaggio nella notizia della nuova paternità di cui beneficiavano ora i suoi discepoli, è anche perché quel privilegio implicava o portava con sé tutti gli altri. La filiazione rispetto al Padre è il privilegio fondamentale, quello che coglie l'anima umana nella sua intimità più profonda. Siamo figli del Padre attraverso ciò che abbiamo di più profondo; e questa filiazione e all'origine e alla base della nostra vita soprannaturale di cristiani, perché in essa il Padre ci ha dato tutto il resto. Dalla nostra dignità di figli deriva tutto ciò che vi è di bello e di grande nella nostra vita, tutte le grazie che trasformano la nostra esistenza, la nobiltà del nostro destino e le gioie che l'accompagnano. Tutto poggia sulla nostra qualità di figli, che ci schiude senza limitazioni i tesori dell'amore del Padre. Con la risurrezione di Gesù l'universo ha mutato volto, perché gli uomini hanno ricevuto definitivamente il loro volto di figli.

Elevando la nostra riconoscenza verso Cristo glorioso, che ci ha meritato con le sue sofferenze la felicità di questa filiazione, noi non dobbiamo trascurare di volgerci al cuore del Padre, prima sorgente del nostro nuovo stato. « Vedete, scriveva san Giovanni, quale amore ci diede il Padre, affinché noi portiamo il nome di figli di Dio e lo siamo veramente ».

Ciò che si è rivelato in piena luce fin dal giorno di Pasqua è quest'amore, questa predilezione con la quale il Padre « ci aveva predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché. egli sia un primogenito tra i molti fratelli ». E come fratello maggiore Cristo risuscitato è ritornato tra gli uomini, per dare a tutti gli altri l'impronta di sé, che altro non è se non l'impronta del Padre. Perché Cristo « è l'immagine del Dio invisibile ». Dandoci Cristo e imprimendo su di noi la sua immagine, il Padre ci rendeva dunque uguali a lui.

La sua paternità integrale era un dono di sé integrale: il Padre ci arricchiva di tutto ciò che possedeva, facendoci partecipi della sua vita divina. Egli arrivava fino a far riflettere in noi il suo viso paterno, fino a far risplendere la sublimità del suo volto divino nella debolezza del nostro essere umano. Pronunciando all'indirizzo dei discepoli le parole: « il Padre mio e Padre vostro », Cristo li vedeva già con gli occhi dello spirito portare nel loro volto umano il riflesso del volto del Padre. Egli contemplava in essi quel volto che conosceva così bene; lo contemplava imprimendolo in essi in modo invisibile. E in un segreto stupore diceva: « Padre mio e Padre vostro », riconoscendo in essi il Padre suo e loro.

In fondo, questo stupore dovrebbe essere il nostro; con gli occhi della fede dovremmo riconoscere in ciascuno dei nostri fratelli il riflesso del volto del Padre e partecipare senza posa alla gioia che provò Cristo risuscitato a ritrovare nei suoi discepoli la somiglianza sorprendente del volto paterno.

Di Jean Galot s. j.


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