giovedì 29 settembre 2022

SAN PIO V IL PONTEFICE DELLE GRANDI BATTAGLIE

 


L'AVVERSARIO DELL'ERESIA 


Lo smacco della Dieta d'Augusta accrebbe in Germania le difficoltà. L'imperatore per superarle ideò nuovi progetti. Ma, come tutti i pusillanimi, dovette cercare appoggi, da tutte le parti. Pronto alle prime iniziative, desiderava che qualcuno gliele suggerisse, per potere, tentennante com'era, gettare su altri il peso della responsabilità. Verso la fine del 1569 decise di convocare a Spira una nuova assemblea. 

   Era stato avvertito che il Commendone, sentendosi stanco per le sue legazioni, si trovava a Verona per riposarsi. Grazie a quest'assenza, Massimiliano pensava di poter facilmente influenzare gli Elettori cattolici; ma i disinganni gli vennero proprio dai suoi stessi aiutanti e amici. Augusto di Sassonia, a Dresda, non volle ricevere i suoi inviati. “Ammalato come sono, gli fece sapere, con la stanza piena di medicine e d'unguenti, non posso accordar udienza”; poi gli scrisse che sarebbe stato per lui un vero pericolo lasciar la casa, e che non si sentiva di far nuove spese. Con quale vantaggio avrebbe esposto il suo scettro e le sue sostanze in una seconda Dieta d'Augusta? 

   Massimiliano, poco soddisfatto e ferito da questa risposta, tentò di commuovere l'Elettore, informandolo ch'egli stesso sarebbe venuto presso di lui. Ma Augusto di Sassonia si chiuse nel silenzio. I duchi di Brandeburgo e l'Elettore palatino si mostrarono quasi sprezzanti. “I miei ordini, le mie preghiere, esclamava gemendo l'imperatore, non valgono più un fuscellino di paglia agli occhi della maggior parte dei miei sudditi. Tutto è insubordinazione e disordine. Che devo fare?”. 

   Malgrado la noncuranza dei principali Elettori, Massimiliano si recò a Spira, e vi portò un lungo e complicato Memoriale sullo stato attuale e il governo del Sacro Impero, nostra cara patria, che aveva fatto redigere da Lazzaro di Schwendi. Questo generale, partigiano della Confessione di Augusta, proponeva come rimedio ai mali della Germania l'emancipazione dalla tutela romana e l'abolizione del giuramento di fedeltà. 

   Anche l'imperatore si lusingò di aver scoperta la medicina, e la indicò al Santo Padre con una semplicità e un'audacia che rasentava l'incoscienza. “Siccome, diceva, dalla molteplicità delle sètte nasce una confusione che pregiudica alla fede, è necessario autorizzare ufficialmente un'eresia e abolire per forza tutte le altre. Cosi il luteranismo si troverà da solo contro il cattolicismo e la libertà di scelta tra queste due religioni assicurerà la tregua degli animi”. 

   E' facile immaginare l'indignazione di Pio V per questo ingenuo messaggio e la pronta risposta data. 

   Il progetto dell'imperatore non era che una nuova illusione. Come poter ottenere la fusione di tante menti tra loro divise? Se i Riformati s'intendevano nel negare i dogmi, erano però divisi quando si trattava di formulare un corpo di dottrina. E non era un'impudenza paragonare la Chiesa a una delle sètte ugonotte, foss'anche la meno lontana dalle credenze cattoliche? Nessun Papa avrebbe mai ammesso un simile paragone; tanto meno Pio V, il quale spedì incontanente delle lettere al Commendone, perché ripigliasse la sua legazione. Questi lasciò la sua villeggiatura e si recò a Spira. L'imperatore, invece di trovarvi gli Elettori desiderati, trovò il Nunzio che mandò a monte tutti i suoi ardenti voti. 

   L'incontro fu cordiale; perché se Massimiliano temeva l'influenza del cardinale, ne apprezzava l'affabilità. Ma, mostrandosi egli ostinato nelle sue fantastiche idee, le relazioni divennero nuovamente tese. 

   Gli ordini del Papa furono perciò più severi; egli si mostrò stanco di veder metter sempre sul tappeto le stesse questioni e sempre minacciati i diritti della Chiesa per causa dell'incostanza dell'imperatore. Nel 1566, sul principio del suo pontificato, aveva dato prova di longanimità; nel 1570, stante la grande autorità acquistatasi, volle fare un colpo d'audacia, che avrebbe dovuto avere un'efficace ripercussione su tutte le corti d'Europa. Significò dunque al legato di deporre Massimiliano, qualora questi persistesse nei suoi errori. 

   Questa grave misura, colla drammaticità delle cerimonie che l'accompagnavano, doveva rivestire una specialissima importanza. Commendone avrebbe dovuto officiare solennemente per l'ultima volta alla presenza degli ambasciatori delle potenze cattoliche, e, dopo aver letto questo versetto del Vangelo: “Se qualcuno non ascolterà le vostre parole, uscendo fuori da quella casa o da quella città, scuotete la polvere dei vostri piedi”, doveva lasciare Vienna con tutti i rappresentanti della Santa Sede. 

   Ma il Nunzio, che conosceva la suscettibilità del carattere tedesco, giudicò che quest'uso straordinario d'un potere assoluto e questa deposizione clamorosa d'un imperatore non avrebbero avuto praticamente altro risultato che di unire in un fascio compatto le sétte eterogenee e disunite. Già altra volta egli aveva rifiutato l'invito di San Carlo Borromeo e del cardo Altemps che lo sollecitavano a prender parte al Conclave, adducendo per motivo che la sua presenza in Germania avrebbe con maggior vantaggio servito la Chiesa. In questa circostanza non fece parola degli anatemi pontifici e si contentò di influire sull'indolenza di Massimiliano e accrescere la sua irrisolutezza. 

   Questo ardire del cardinale raggiungeva quasi l'indipendenza. Bisogna dire che, per agire con una tale libertà, avesse la certezza di godere grande credito presso il Santo Padre, se pure non la si deve attribuire a una certa fiducia nei propri punti di vista, nella quale non manca un po' di presunzione. Erano necessari in ogni caso la santità di Pio V, il suo disinteresse, la sua lealtà nel ritenere che si potesse pensare meglio di lui e l'apprezzamento dei servizi a lui resi dal Commendone, per non ascoltare le critiche vivaci che gli invidiosi facevano alla condotta del legato. 

   Massimiliano però non volle darsi per vinto. Egli accarezzava la sua utopia coll'amor proprio di un autore che accarezza la sua opera, e l'avrebbe senza dubbio mandata ad effetto, tanto l'esaltazione di Cosimo aveva accresciuto i suoi pregiudizi contro il Papa. Ma la morte della regina di Spagna sconvolse tutti i suoi progetti; ed egli rivolse la sua ambizione ad altre cose. Il proprio interesse lo persuase a mostrarsi cattolico; la disperazione e l'ira dei Riformati, che lo maledivano sempre più per il suo umore incostante, l'indussero finalmente a decidersi. 

Card. GIORGIO GRENTE

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