domenica 25 settembre 2022

Ritorno a casa

 


Cristiani, atei ed ebrei

convertiti alla fede cattolica


MARíA BENEDICTA DAIBER (1913-1971) racconta la sua conversione nel suo scritto E io ti vincerò. I suoi genitori erano di origine tedesca, protestanti, benché avessero perduto la fede e fossero andati a vivere in Cile, dove suo padre fu medico di un piccolo villaggio chiamato Porto Octay. Ci narra:

A otto o dieci anni ero un’atea provetta. Mio padre ripeteva continuamente in mia presenza: Non c’è Dio... Dato che a Porto Octay la maggior parte degli abitanti erano cattolici, sentivo parlare qualche volta della Santissima Vergine... Un giorno, mossa da un impulso misterioso, ripetei tre volte il nome misterioso: “Maria, Maria, Maria”. Per lungo tempo stetti come assorta in qualcosa che, di fatto, non sapevo definire... A dodici anni giunse tra le mie mani una Bibbia. Debbo confessare che, letteralmente, divorai i Vangeli e, per la prima volta, compresi il vuoto immenso che lascia nell’anima la mancanza di fede. Mi tormentavano già queste domande: “Da dove vengo? Dove vado? Perché esisto?” E la vita mi appariva triste, senza senso e vuota... Mia madre volle insegnarmi la storia della chiesa, ma era la storia vista attraverso l’odio per la Chiesa e io bevevo a torrenti questo odio negli insegnamenti di mia madre. Era l’odio verso il Papa, il clero... I sacerdoti, mi diceva mio padre, sono degli ipocriti, che sfruttano il popolo e non credono a ciò che insegnano...

Un giorno, avevo approssimativamente quindici anni, mio padre mi portò all’ospedale e mentre lui visitava i suoi ammalati, io andai in un salottino. C’era lì un quadro del Sacro Cuore di Gesù, che mio padre derideva continuamente. Questo quadro incarnava per me, detto chiaramente, tutto quanto odiavo nel cattolicesimo. Cosicché, quel giorno, mi posi di fronte all’immagine di quel Cuore, che tanto ama gli uomini, e minacciandolo con ambo le mani, gli dissi che l’odiavo, che odiavo la sua Chiesa, i suoi sacerdoti e che ero risoluta a far tutto il male possibile a questa Chiesa. Nello stesso istante, risuonarono nel fondo della mia anima queste parole: “E io ti vincerò”. Atterrita e presa da spavento, girai le spalle al quadro e per la prima volta compresi che un giorno io, che odiavo tanto la Chiesa, sarei divenuta cattolica.

Non raccontai a nessuno quanto era successo; ma per diversi mesi mi rifiutai di accompagnare nuovamente mio padre all’ospedale. Non volevo trovarmi un’altra volta sola con Gesù.

Nel marzo del 1922 (a diciotto anni), mio padre mi portò a Santiago (Cile) per farmi studiare al Liceo... Volli assistere all’ora di religione, ma una delle professoresse, sapendo che non ero cattolica, me lo impedì... Un buon sacerdote cercò di provarmi l’esistenza di Dio, ma tutto fu inutile. Quindi, imparai il Padrenostro, l’Avemaria, il Salve Regina, il “Ricordati”... Volevo solo che mi insegnasse preghiere per la Vergine e, nel pomeriggio, facevo la mia visita alla Madre di Dio, mi inginocchiavo di fronte al suo altare e le ripetevo diverse volte le preghiere che avevo imparato.

Se quel sacerdote non riuscì a convincermi dell’esistenza di Dio, ottenne senza dubbio un risultato che non sospettò mai. Mia profonda convinzione era che i sacerdoti non credessero e che sfruttavano solo la credenza del popolo, e potei osservare che egli si sacrificava per me, senza che io lo ripagassi... Lo vedevo frequentemente nella chiesa vicino al Liceo immerso in un’intensa preghiera e questo mi impressionava profondamente. E pensai: non è certo che tutti i sacerdoti cattolici siano degli ipocriti, i miei genitori mi hanno ingannato su questo punto. Sarà la religione cattolica quella vera?

Cominciai a recitare questa preghiera: “Dio mio, se per caso esisti, dammi fede.” Nel settembre del 1922 si celebrò il Secondo Congresso Eucaristico nazionale a Santiago. La mia madrina mi portò alla piazza Brasile perché vedessi passare Nostro Signore. Così vidi per la prima volta Gesù ostia e al vedere l’ostia santa, ebbi la certezza assoluta: “Là sta Dio”. Sentii talmente forte la presenza di Dio che trascinai la mia povera madrina al seguito di Gesù Sacramentato fino alla chiesa dove era diretta la processione.

Quella notte mi misi a letto con il rosario tra le mani, tranquilla e felice, perché avevo trovato la fede. Nel cuore della notte mi destai presa da un’angustia indicibile. Pensai ai miei genitori, rammentai le loro idee ostili verso la Chiesa, mi raffigurai il profondo dolore che avrebbe loro causato la mia conversione e come questa mi separava interiormente da loro. Si scatenò nella mia anima una lotta incredibile, che terminò al sorgere del sole con la scelta di Dio. Decisi di divenire cattolica e lo comunicai alla mia madrina... Furono settimane e mesi di indicibile sofferenza, nelle quali la mia sola consolazione consisteva nel passare lunghe ore in adorazione ai piedi del Santissimo. Assistetti a tutte le messe alle quali potevo andare, di volta in volta, al convento dei cappuccini. Lì un anziano sacerdote cercava con una bontà paterna di sostenermi nelle mie lotte e di consolarmi...

Tornai a Porto Octay per passare le mie vacanze (con i miei genitori). Una delle sofferenze più vive fu l’assenza della santa messa. In essa trovavo luce, consolazione, forza e pace. Una sola volta strappai loro il permesso di andare a messa... Ma tutti i pomeriggi, nella mia stanza, facevo una visita spirituale al Santissimo e ammiravo dalla finestra il campanile della chiesa parrocchiale... Per trovare un pretesto che giustificasse la mia disposizione (di non farmi cattolica) consideravo l’infallibilità papale, unico dogma di cui non ero convinta. L’errore di molti protestanti, insegnatomi da mia madre, è pensare che infallibile significhi non essere soggetto a nessun errore ed essere impeccabile.

Io avevo creduto che ogni parola pronunciata dalla bocca del Papa dovesse accettarsi come infallibile. Una volta che mi venne spiegato il vero significato del dogma, lo accettai senza alcuna difficoltà.

Infine, l’8 settembre, data che io stessa fissai per la festa della santissima Vergine, mi battezzarono sotto condizione... Il giorno seguente feci la mia prima comunione nella cappella dell’Università cattolica. Senza dubbio, benché io nutrissi quella tranquillità che si sente quando si compie la volontà di Dio, né il giorno del mio battesimo, né quello della mia prima comunione trovai effettiva consolazione. Solamente, comunicandomi la seconda volta, il giorno del dolce Nome di Maria, sperimentai in tutta la sua portata la felicità immensa di essere cattolica e questo sentimento durò per settimane e per mesi... Nessuno d’ora innanzi potrà impedirmi di comunicarmi. Semplicemente, vidi dinnanzi a me un compito, una missione: quella di riuscire a far partecipare anche i miei genitori della mia felicità e far sì che divenissero cattolici... Scrissi a tutti i conventi di carmelitane per sollecitare orazioni e percorsi quasi tutta Santiago chiedendo preghiere alle comunità religiose. Mi pareva che il risultato di tante preghiere dovesse essere immediato, ma Dio volle insegnarmi ad essere più paziente e ad aspettare con tutta la speranza, poiché per vari anni le preghiere non ebbero alcun risultato... Ma alla fine si convertirono.

Che felicità vedere mio padre fare la comunione silenzioso e raccolto, gioioso per la presenza del suo Dio! Come ripagavano ampiamente questi momenti i quattro anni di angoscia e timori riguardo alla loro salvezza che avevo sopportato!... Mia madre si comunicava quotidianamente e si confessava tutte le settimane e mi diceva: “Sono stata tanti anni lontana da Dio, che ora voglio recuperare il tempo perduto...” Mia madre amava in modo speciale il Santissimo. Le domeniche e i giorni di festa quasi non usciva dalla Chiesa. Quando poteva, assisteva all’adorazione notturna. La notte del giorno in cui morì, la passai tra mia madre e Il Santissimo nella chiesa del collegio del Buon Pastore e la trascorsi cantando. Nessuno disturbava la mia dolce solitudine. Nel silenzio della notte mi pareva che da lontano, dagli splendori della gloria, mi rispondessero, perché per l’anima che vive di fede, non c’è morte più grande del peccato. Quella che il mondo chiama morte è l’inizio della vera vita. Perché dovevo io piangere ora che sarebbe vissuta eternamente? Il cielo è l’ultima parola d’amore di Dio per gli uomini e laggiù spero di cantare anch’io la gloria del Signore per l’eternità.

María Benedicta Daiber scrisse il suo Diario, pubblicato dall’arcivescovado di Barcellona, con il titolo La forza dell’amore. è in corso il suo processo di beatificazione. 

Padre ángel Peña


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