mercoledì 14 febbraio 2024

TEMPO ED ETERNITÀ

 


Il valore dell'eternità è incalcolabile. 


In tutte le opere nostre dovremmo sempre pensare: Per sempre dovrò essere premiato per quello che faccio di bene e castigato per quello in cui pecco gravemente. Con questo pensiero il cristiano si animerà a compiere sempre opere buone e a compierle bene. Scrive Eliano d'Ismenia, ambasciatore dei Tebani (Lib. I Variar. hist.. cap. 2) presso il re della Persia, che “avendo egli da esporre la sua ambasciata al re gli conveniva, prima di dir parola, di adorarlo; sembrandogli però che questo onore fosse soverchio per un re barbaro, ma non potendo sottrarsene, si valse del seguente partito. Preso l'anello dal suo dito che anticamente era un grande distintivo di stima e segno di autorità di chi lo portava, lo gettò vicino ai piedi del re, dicendo tra se stesso, mentre stava prosteso dinanzi al re: Non a te, ma all'anello”. Se noi altri in tutte le nostre azioni mirassimo all'eternità, non troveremmo difficoltà in nessuna opera buona. In tutte le opere nostre fissiamo dunque i nostri occhi nell'eternità che ci si dà in premio per quello che facciamo in un momento. Benedetto sia Dio per tutta la eternità che ci darà un premio senza fine per fatiche così brevi, che appena si può dire che abbiano principio. 

Si lamentò una volta Euripide, insigne poeta dei Greci, perché in tre giorni interi non poté comporre che tre versi e con grande fatica. Stava presente un altro poeta, per nome Alcestide, il quale  disse che per far cento versi gli bastava un giorno e senza difficoltà. Gli replicò Euripide: “Non fa meraviglia, perché i tuoi versi non hanno vita che per tre giorni, mentre i miei sono per l'eternità”. 

Nella stessa maniera Zeusi, pittore famoso, ma lentissimo, interrogato perché tanto tardasse a terminare le sue tele, rispose: “Dipingo adagio perché dipingo per l'eternità". S'ingannò certamente questi, poiché non vi ha traccia di sua pittura e di Euripide si sono perdute molte opere, mentre nessuna opera del giusto si perderà. 

Per guadagnare un'eternità non c'è bisogno di spendere un giorno, perché con un atto di contrizione che si fa in un momento guadagnarne il gaudio senza fine. Perciò dobbiamo far profitto della considerazione di Euripide e di Zeusi, non solamente per fare opere buone, ma per compierle bene, giacché non operiamo soltanto per questa vita, bensì per l'eternità, che sempre deve stare nella nostra memoria. 

Il profitto che la considerazione dell'eternità produsse nel reale Profeta Davide fu la risoluzione di cambiare vita, mutandosi in un altro uomo, animandosi alla più esatta osservanza e alla più alta e celestiale perfezione. Così in quel salmo in cui dice che pensava ai giorni antichi e agli anni eterni, aggiunge subito l'effetto della sua meditazione, dicendo che aveva da incominciare di nuovo, perché la mutazione che sperimentò nel suo cuore, era effetto della potentissima mano di Dio. Considerando che l'eternità non finisce mai e sempre incomincia e tutto è principio senza fine, si decise di dare tale principio a nuovo fervore e vita più perfetta, che giammai venisse meno nel suo proposito, volendo in questo imitare l'eternità. Come questa sempre incomincia, così egli voleva sempre incominciare a meritarla. Come si ha sempre da incominciare da principio ciò che abbiamo da godere o da soffrire, così sempre principiamo a eritare l'uno e a Subire l'altro. Il riposo non avrà mai fine ed il merito deve sempre essere come nel suo principio. Di questa considerazione fece molto tesoro Sant'Arsenio, facendo conto anche dopo moltissimi anni di vita santissima, che allora incominciava, ripetendo il detto di Davide: Dissi, ora comincio. [Ego dixi, nunc coepi (Ps. 76, 11)] Non dobbiamo voltare gli occhi a quello in cui ci siamo affaticati, ma animarci a lavorare sempre più per Dio, come faceva l'Apostolo San Paolo (Ad Philipp. 3) il quale disse di sé che si dimenticava di tutto il passato ed allargava il suo cuore stendendolo nell'avvenire. 

Ciò disse l'Apostolo quando già aveva fatto tanto progresso e dopo aver sostenuto tante fatiche nel servizio di Dio e per il bene delle anime, più che non tutti gli altri Apostoli insieme, affrontando tanti pericoli di vita e soffrendo tale persecuzione a Damasco, che, se non si fosse fatto calare dalle mura, lo avrebbero ucciso; dopo che in Arabia aveva convertito molta gente, dopo aver convertito molti a Tarso ed Antiochia, dopo esser stato rapito fin al terzo cielo, dopo esser stato scelto dallo Spirito Santo per Apostolo ed aver fatto grandi miracoli e grandi prodigi, dopo aver perlustrato più volte l'Asia Minore, tutta la Grecia e la miglior parte dell'Europa, dopo aver fatto grandi elemosine, raccogliendole con gran fatica sua e portandole ai poveri di Gerusalemme, dopo aver patito innumerevoli persecuzioni ed essere stato depredato molte volte, dopo essere stato flagellato e fatto prigioniero più volte, dopo aver reso infiniti servizi alla Chiesa; dopo tutto questo gli sembrava di non aver fatto nulla per Cristo. Di tutto dimenticandosi, si comportava come il primo giorno della sua conversione ed era deciso di far di più, di soffrire di più, di faticare maggiormente e di cominciare di nuovo, ritenendosi dopo tante fatiche e tanti servizi per servo inutile, come ci consigliò Cristo quando disse: Dopo di aver fatto tutto quello che vi ho comandato, dite: Siamo servi inutili, abbiamo fatto ciò che dovevamo fare (Lc 17, 10). Paragoni uno i suoi lavori, il suo zelo, la sua predicazione, la sua carità con quelli dell'Apostolo, e troverà di non aver neppure cominciato. Infatti, se l'Apostolo, dopo di essere giunto a meriti così sublimi, si dimenticò di essi e giudicò di non aver fatto nulla, noi che non ancora abbiamo incominciato, perché abbiamo da stancarci prima d'incominciare? Cominciamo sempre di nuovo, giacché l'eternità che ci aspetta è sempre nuova e sempre sull’incominciare [Non gloriemur in meritis vitae prioria, nec aliquid aestimemus nosmetipsos, sed quotidie tam recenter tamque frequenter agamus, ac si eodem die primum inchoaremus, atque morituri essemus (DIONYS. CARTH., in Ps. 76)]. 

P. Gian Eusebio NIEREMBERG S. J. 

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