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lunedì 10 aprile 2023

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

Caratteri dello spirito divino circa i moti o atti del nostro intelletto. 

§. I. 

60. Bisogna che io fin dal principio avverta il direttore, che non basta un carattere solo di quelli che esporrò nel resto di questo libro, per decidere, se lo spirito proprio, o l’altrui, sia santo oppure perverso: perché siccome una rondine che si vegga andare vagabonda per l’aria, non è segno bastante a decidere che già regni tra noi la primavera: una hirundo non facit ver; così un carattere buono che si scorga nelle azioni di alcuno non è indizio bastevole a definire che in lui regni lo spirito buono, e viceversa, un carattere non buono non sarà sempre contrassegno sufficiente a dire che vi domini lo spirito pravo: ma per stabilire un giudizio retto e giusto (come ci insegna Gersone) vari caratteri si richieggono, almeno tanti che bastino a formare un prudente giudizio di un tal spirito (Gers. Tract. de prob. spir..). Bisogna anche avvertire, che i contrassegni che in avvenire daremo per la discrezione degli spiriti, servono e per quelle mozioni che accadono in modo ordinario, come quando per interna inspirazione siamo incitati al bene, o per istigazione maligna siamo spinti al male: ed anche per quegl'impulsi che succedono in modo straordinario, come quando Iddio ci suggerisce alcuna cosa per via di visione, di locuzione, o per la luce di qualche altra straordinaria contemplazione; o come quando il demonio c'insinua qualche falsità per viste o per parole ingannevoli, o per altri modi non naturali, ed insoliti. E però potranno tali segni servire allo scoprimento di qualunque sorta di spiriti. Posto questo, vediamo ora quali siano i caratteri per cui le cognizioni che muove Iddio, si distinguono da quelle che ingerisce il demonio. 


§. II. 

 61. Primo carattere dello Spirito divino circa le cognizioni della mente. Lo spirito divino sempre insegna il vero, né può in alcun caso suggerire il falso: perché Cristo stesso ci ha assicurati di propria bocca, ch'egli è spirito di verità. “Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza” (Gv.15, 26). E di nuovo torna il Redentore ad inculcarci, che essendo lo spirito divino spirito di verità, non può insegnarci se non il vero (Gv.16, 13). Giustissimamente, dice Cornelio A-Lapide, compete al divino spirito l'essere spirito di verità; perché egli è la sorgente da cui sgorga ogni verità, e che quasi per rivoli diffonde sopra di noi tutte le verità schiette e pure le quali ci conducono all'eterna salute, e che ci libera da tutti gli errori e da tutte le falsità le quali ci impediscono il conseguimento dell'eterna felicità (Cornel. A.Lap. In Joan. 14, 17). 

 62. Quindi segue, che qualunque pensiero ordinario o rivelazione straordinaria che in qualche modo si opponga a qualche detto della Sacra Scrittura, o a qualche definizione de' concili, o a qualche tradizione apostolica o ai sentimenti della Chiesa cattolica, non può essere suggerita da Dio, e deve riputarsi spirito falso: perché la Sacra Scrittura, come dice l'apostolo S. Pietro, è stata inspirata dallo stesso Dio.  

(2Pt 1,21). Ai concili, come attesta lo stesso principe degli apostoli, presiede lo Spirito Santo (At, 15,28). Le tradizioni sono state a noi tramandate dagli apostoli, i quali le riceverono dalla bocca del Redentore. 

E la santa Chiesa non può errare, perché Cristo stesso ha impetrata l'infallibilità alla fede di Pietro: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc. 22, 31,32). Dunque, ogni atto dell'intelletto che si opponga a queste regole d'infallibile verità, è bugia e menzogna; né può essere inspirato da Dio, anzi dovrà anche aversi per fallace, se sia contrario al comune sentimento de' santi padri e de' dottori che tanto furono illuminati da Dio. 


§. III. 

63. Carattere secondo. Lo spirito divino non suggerisce mai alle nostre menti cose inutili infruttuose, vane ed impertinenti; poiché se non converrebbe ad un re della terra parlare con i suoi sudditi di tali cose, molto più disdice al Monarca de' cieli. Perciò dice il profeta Geremia: Il profeta che ha avuto un sogno racconti il suo sogno; chi ha udito la mia parola annunzi fedelmente la mia parola. Che cosa ha in comune la paglia con il grano? La mia parola non è forse come il fuoco e come un martello che spacca la roccia? (Ger. 23, 28-29). Le mie parole, dice Iddio, sono fuoco che bruciando purifica, sono un martello che percuotendo spezza ogni durezza, che battendo stritola ogni vizio, ogni colpa, ogni difetto e lo riduce al nulla; insomma son parole di gran peso e di grande utilità. 

Deduca da ciò il direttore, che se un'anima riceve nelle sue orazioni pastura di cognizioni che a niente giovano, quelle non son da Dio: se poi avesse alcune locuzioni piuttosto curiose che fruttuose, oppure visioni non indirizzate al profitto o proprio o di altrui, quelle non sarebbero certamente mandate da Dio, a cui non conviene operare senza frutto. 

64. Dice Iddio in Ezechiele ai profeti falsi i quali non erano mossi da buono spirito: Hanno avuto visioni false, vaticini menzogneri coloro che dicono: Oracolo del Signore, mentre il Signore non li ha inviati. Eppure confidano che si avveri la loro parola! (Ez.13, 6) vedono cose disutili e vane, e perciò profetizzano menzogne: per significarci, ch'è una stessa cosa avere visioni infruttuose, (lo stesso dicasi di ogni altra cognizione) che aver visioni bugiarde che non traggono da buon principio l'origine. Quindi deduca il direttore qual concetto debba formare delle rivelazioni di certe donne, che sono facili a profetar sulla vita, sulla morte e sulla guarigione or di questo, or di quello; di predir l'esito de' matrimoni o di altri affari temporali. Vada cautissimo in dar loro fede, perché Iddio non rivela se non di rado, e per cose di gran profitto altrui, e di molta sua gloria. 


§. IV. 

 65. Carattere terzo. Lo Spirito divino porta sempre luce alle nostre menti. Iddio spesso si dichiara nelle sacre scritture, ch'egli è luce senza mescolamento di tenebre e di oscurità. “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre”. (1 Gv.1,5) Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo (Gv.9, 5): «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». (Gv.8, 12). Inoltre, si protesta, che essendo egli una pura luce, ha proprietà, a guisa di sole materiale, di illuminare chiunque vive nel mondo: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv.1, 9). E volendo Gesù Cristo significare, che gli uomini non ubbidivano all’istinto di quelle cognizioni, ch'egli loro infondeva nella mente, dice, che non amavano la luce, ma le tenebre: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie (Gv.3, 19). E di nuovo torna a ripetere: Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce» (Gv.12,36); mentre avete luce di cognizione circa la mia divina persona, credete a quella luce, acciocché diventiate figli di me che sono fonte di vera luce. Tanto è vero che la luce è inseparabile da quelle cognizioni che sveglia Iddio nell’intelletto umano. Onde io credo che Sia più facile ad accadere che sorga il sole sopra il nostro emisfero senza illuminarlo, che operi Iddio nel nostro intelletto senza illustrarlo. Con questa diversità però, come dice S. Agostino spiegando le parole di S. Giovanni: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv.8, 12), che la luce del sole visibile, tramontando questo all’occasione, si dilegua dagli occhi nostri; ma la luce del sole divino invisibile, seguitando noi le sue tracce, mai non abbandona le nostre menti (S. August Tract. 34. in Ioan). 

E però, come ci insegna lo stesso santo dottore, a questa luce divina dobbiamo sempre aspirare, questa dobbiamo amare, dietro questa dobbiamo andare ansiosi e sitibondi, acciocché giungiamo ad acquistarla; e vivendo con essa mai non moriamo (Ibid.). 

66. Non nego però, che Iddio talvolta pone in tenebre profonde certe anime a lui dilette e care e ve le lascia lungamente immerse. Ma si avverta, che in questi casi tutta l'oscurità sta nella fantasia: a cui non passa la luce intellettuale, ma tutta si contiene nell'intelletto: e ben questa sia alle volte sì spirituale, e sì pura che non si conosce da quegl'istessi, che la posseggono; pur non lascia di regolare la potenza intellettiva, e indirizzarla a Dio. Ed infatti si vede chiaramente, che la cosa passa così: perché questi tali, benché involti fra folte tenebre, seguono come prima ad operare con molta perfezione, regolati senza fallo dalla divina luce. Da questo prenda il direttore argomento a conoscere se il suo discepolo sia nelle sue operazioni mentali mosso da Dio: mentre scorgendo in lui una mente, che proceda con rettitudine, e santità di pensieri, può credere giustamente che ivi regni il Padre de' lumi.

 

§. V. 

 67. Carattere quarto. Lo spirito divino porta all'intelletto docilità. La luce soprannaturale che operando Iddio nell'intelletto v' infonde, non lo rende attaccato alle verità ch'egli intende, né tenace del suo parere; anzi lo fa pastoso, flessibile e pieghevole agli altrui sentimenti, specialmente se il sentimento contrario al suo venga dai superiori che hanno da Dio l'autorità di giudicare. (Psal. 38,10) Non aprii la mia bocca, ammutolii perché l'hai fatto tu, diceva il santo David. E il profeta Isaia diceva (Is.50,5): Iddio mi aprì la mente, io più non contradico, né più mi oppongo. Ecco la docilità che reca lo spirito di Dio alle nostre menti. Ognun sa con quanta fierezza pigliasse Saulo ad impugnar la persona di Cristo e la sua santa legge; mentre non contento di contrariarlo con le parole, si diede ad oppugnarlo con i fatti: e mosse ai suoi seguaci aperta guerra, risoluto di sterminarli a costo di qualunque suo incomodo. E pure appena penetrò nella di lui mente un raggio della divina luce, che deposto ogni odio, subito a Gesù Cristo si arrese:  

(At. 9,6) Cosa volete da me, o Signore? eccomi pronto a tutto: e incominciò tosto nella pubblica sinagoga a promulgarne le glorie. Se poi giunga la persona ad avere stabilmente e per abito, una tale flessibilità di mente, sicché non abbia più proprio parere e le sia facile soggettarlo all’altrui, porta seco un gran carattere di, santità: perché è sì grande l'inclinazione naturale che abbiamo tutti di aderire alle nostre opinioni e di difenderle contra chi osi impugnarle, che solo Iddio con la sua luce pieghevole può svellerle dalle nostre menti. 

68. A questa perfezione era giunto quel devoto solitario che in vita sua non aveva mai conteso con alcuno, e né più sapeva ciò che volesse significare il nome di litigio. Invitato pertanto da un altro buon romito a contender seco circa il possesso di una certa pietra, ma solo per far prova di un tal atto litigioso a lui affatto ignoto, non poté egli mai adattarsi ad un tale contrasto: poiché ogni qual volta il compagno diceva che quel sasso era suo, egli portato dal buon abito di soggettarsi all'altrui parere, subito rispondeva che lo prendesse pure, che egli di buon grado glielo cedeva. Se poi il direttore trovasse una tale docilità di un intelletto colto, aperto, discorsivo e addottrinato, avrebbe senza fallo un carattere più chiaro di buono spirito, anzi d'uno spirito grande, per il maggiore attacco che questi sogliono avere al proprio giudizio, proceda con rettitudine, e santità di pensieri, può credere giustamente che ivi regni il Padre de' lumi. 


§. IV. 

 69. Carattere quinto. Lo spirito divino rende l'intelletto discreto. Riccardo di San Vittore sopra quelle parole del salmo: Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia (Psal. 143, 1); riconosce in queste dita cinque doti di discrezione, che lo spirito divino conferisce con la sua luce all'intelletto umano. 

Primo, giudizio giusto, con cui rettamente decida ciò ch’è lecito, e ciò che non è lecito ad operarsi. Secondo, deliberazione retta, con cui sappia conoscere tra le cose lecite ciò che ne' casi particolari è spediente, per abbracciarlo, e ciò che non è spediente, per rigettarlo. Terzo, buona disposizione, con cui alle cose spedienti che devono eseguirsi sappia dare un ordine convenevole, e contenersi ne' modi più retti, e più regolati. Quarto, saggia dispensazione per cui conosca quando nelle presenti circostanze debba temperare il rigore, o debba accrescerlo. Quinto, prudente moderazione. per cui intenda, come conforme l'esigenza del tempo, del luogo, e delle occasioni occorrenti, convenga praticar le virtù (Rich. In psal. 143).  

Or se il nostro intelletto sia fornito di queste cinque doti di giudizio in decidere ciò che è lecito, di retta deliberazione in eleggerlo e buona disposizione in ordinarlo, di giusta dispensazione in temperarlo, di prudente moderazione in eseguirlo, ognun vede ch'egli possiede una perfetta discrezione, mentre discerne con tutta rettitudine le opere che hanno da intraprendersi, ed il modo con cui hanno da effettuarsi. Questi, dunque, sono i preziosi effetti che lo spirito divino di sua natura produce negl'intelletti in cui opera; ma non però in tutti egualmente: in altri più, in altri meno, secondo la maggiore o minor luce che loro comparte. 

70. Inoltre si vede manifestamente, che lo spirito di Dio porta sempre agl'intelletti umani questo spirito discreto: perché operandovi con la sua luce si accomoda sempre all'età, allo stato ed alla condizione delle Persone. Altre cognizioni infonde Iddio in un giovanetto di fresca età, altre in un vecchio in età matura. Altre idee pone in testa di un religioso, altre in un secolare. Altre specie sveglia in mente di una persona libera, altre di un coniugato. Altri pensieri ispira a chi comincia a correre l'arringo della perfezione, altri a chi si trova vicino alla meta. Lo stesso dico circa la pratica delle virtù particolari, almeno in quanto all'esteriore. Tutti devono, a cagione di esempio, esercitarsi nella virtù della santa umiltà ma altre umiliazioni esterne suggerisce il Signore a un principe, altre ad un plebeo; altre a chi vive ne' chiostri sequestrato dal secolo, altre a chi mena sua vita fuori de' chiostri in mezzo al secolo. Insomma, è purtroppo vero ciò che dice il sopracitato Riccardo di S. Vittore, non esser possibile procedere nelle sue operazioni con giusto giudizio di discrezione, se la mente non sia rischiarata dalla divina luce (Rich. In psal. 90). Se dunque il direttore scorgerà ne' suoi penitenti, massime di spirito elevato, cognizioni rette, convenevoli, prudenti, discrete e sante, avrà tutto il fondamento a credere, che lo spirito del Signore risegga nelle loro menti. 


§. VII. 

 71. Carattere sesto. Lo spirito divino infonde sempre nella mente pensieri umili e bassi. È vero che Iddio nobilita il nostro intelletto con la sua luce, e l'innalza a cognizioni che sono superiori alla sua sfera, e talvolta con modi che vanno fuori dell'ordinario; ma nel tempo stesso v'infonde pensieri bassi con cui conosca l'anima il suo nulla la sua bassezza, la sua miseria, anzi veda che in quelle stesse cognizioni luminose niente vi ha del suo; onde si abbassi in mezzo alle sue stesse esaltazioni. Comparisce Iddio a Mosè nel roveto in sembianza di splendidissime fiamme, lo fa suo ambasciatore a Faraone, e lo elegge per liberatore del popolo Israelitico dalla tirannia di quel barbaro re. Ad una vista sì bella, ad un'ambasceria sì illustre, ad un impiego sì onorevole, Mosè invece di esaltarsi si riempie di pensieri bassi, conosce la sua insufficienza e la confessa con sincerità: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?». (Es.3,11). E chi son io, che debba accingermi ad una impresa sì gloriosa, e trattare con il Faraone affari di sì alto rilievo? E perché proseguì Iddio a stimolarlo e con parole, e con prodigi ad accettare l'onorevole incarico, proseguì egli a protestare la sua inabilità, fino a dichiararsi tardo ed impedito di lingua, balbuziente, scilinguato ed incapace di maneggiare col popolo, e col re un sì grave negozio. «Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». (Es.4,10). Ecco le cognizioni che inspira Iddio, quando è presente alle nostre menti. 

72. Vediamo lo stesso in altri profeti. Parla Iddio a Geremia: e nel primo discorso gli fa sapere che lo ha scelto per suo profeta, e lo ha destinato a portare le sue imbasciate a re, a principi, a sacerdoti, a regni ed a popoli interi. E ciò che più rileva, gli palesa il singolare privilegio che avevagli concesso di santificarlo nel seno di sua madre. «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». (Ger.1,5). Intanto che fa Geremia a sì gloriosi annunzi? s'innalza forse con i suoi pensieri? forse forma di sé alto concetto proporzionato alla gloria de' suoi natali e dei suoi impieghi? Tutto l'opposto. Si veste di pensieri bassissimi, e risponde al Signore ch'egli non è abile ad esser profeta, perché è un bambino che ancora non sa parlare: Risposi: «Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane». (Ger.1,6). Comparisce Iddio ad Isaia nello splendore della sua gloria, sopra soglio elevato ed eccelso, cinto da serafini che gli danno lode con dolci canti. Ed Isaia è tanto lungi dal riputarsi simile nella mondezza a quei puri spiriti tra cui vedesi ammesso, che anzi alla prima comparsa di quel teatro di gloria, si dichiara ch’egli è immondo di labbra: “E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». (Is.6,5). Se poi in conferma di tal verità volessi riferire altri fatti presi dalla vita de' santi, innumerevoli sarebbero gli esempi che ne potrei addurre. Ma basti un solo per tutti, perché di tutti è il più illustre. Sia questo, la risposta che diede Maria Vergine all'angelo Gabriele, allorché questi l'assicurava esser ella già eletta tra mille e mille per madre dell'Altissimo, posto il più sublime a cui possa giungere una pura creatura; poiché la Vergine ad un tale annunzio, non solo non si esaltò nella sua mente con pensieri eguali a quella eccelsa dignità a cui vedeasi sublimata, ma formando umilissimo concetto di sé, si protestò ch'ella era serva e vile ancella di Dio: Ecce ancilla Domini (Lc 1,38). Dunque, dubitar non si può, che lo spirito di Dio nel tempo stesso che innalza il nostro intelletto a cognizioni divine, v'instilli cognizioni umili e dimesse; e tanto più umili, quanto vi opera in modo più straordinario e più eminente. Di un carattere, dunque, sì chiaro e sì sicuro si prevalga il direttore per conoscere se le menti de' suoi discepoli (quantunque fossero sollevate a visioni, ad estasi, a rivelazioni e ad altre contemplazioni) siano mosse dallo spirito divino. 

 G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

martedì 14 febbraio 2023

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Si espongono i mezzi per cui il direttore può acquistare la predetta discrezione degli spiriti. 


§. VIII. 

 59. Finalmente l'ultimo mezzo per l'acquisto della discrezione degli spiriti, si è, che il direttore sappia quali sono i caratteri dello spirito buono, e quali i caratteri dello spirito cattivo; perché poco gli gioverebbe conoscere le azioni esterne e gl'impulsi interni de' suoi figliuoli spirituali, se poi non sapesse discernere quali tra questi siano ispirati da Dio, quali suggeriti dal demonio e quali mossi dalla natura corrotta. Ma perché alla notizia di questi caratteri ben applicata ne' casi particolari si riduce alla fine tutta la discrezione degli spiriti, perciò procurerò di esporli, almeno in qualche parte, ne' seguenti capitoli. Così risparmierò ai direttori una più lunga fatica di rintracciarli tra le sacre carte della scrittura, de' santi padri e de' dottori: giacché, come dissi di sopra, queste sono le miniere da cui devono estrarsi le regole caratteristiche dello spirito. Prego intanto i direttori delle anime a non sgomentarsi, e a non perdersi di animo in vedere le tante parti che si richiedono per un buon maestro di spirito, perché Iddio non lascerà di donar loro tutte quelle doti che sono necessarie per il loro sacro ministero: purché essi, diffidando di sé, si appoggino solo a lui. Anzi prendano animo grande riflettendo, che non vi è forse cosa più gradita a Dio, che un buon discernitore degli spiriti, il quale con giusto giudizio appaia conoscere le anime e con prudente regolamento sappia condurle a lui (Ger. 15,19). Or chi è quegli che sa destramente separare il prezioso dal vile, se non il direttore discreto che sa avvedutamente discernere lo Spirito prezioso di Dio dallo Spirito vile del mondo, della carne, dell'uomo e e del demonio? E ad esso appunto dice Iddio che pronunzierà sentenze degne della sua bocca. Quasi os meum eris. 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

venerdì 9 dicembre 2022

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


§. VII. 

55. Settimo mezzo sia l'esaminare esattamente le cose. Ponderarle bene, prima di darne giudizio. Giosue, quel gran capitano di Dio in vedersi comparire avanti un uomo armato, ch’era l’ angelo del Signore sotto sembianze umane fissogli lo sguardo in fronte, e lo interrogò con quelle parole: «Tu sei per noi o per i nostri avversari?» ed in questo modo scoprì ch'era l'angelo santo, mandato da Dio in difesa delle sue truppe: Rispose: «No, io sono il capo dell'esercito del Signore. Giungo proprio ora». Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò e gli disse: «Che dice il mio signore al suo servo?». (Jos. 5, 13,14). Ecco ciò che deve fare un direttore sollecito della salute o perfezione de' suoi discepoli: fissare sopra le loro operazioni l'occhio della mente, ed esaminare, se siano sante, e se appartengono a noi ch'essendo ministri di Dio siamo confederati con lui, o pure appartengono ai nostri nemici, mondo, carne, e demonio? Perciò non deve subito pronunziare sentenza e definire o contro o a favore del penitente (se pure non fosse uno spirito chiaramente buono o manifestamente cattivo), ma prima indagarne attentamente i moti, gl'impulsi, le azioni, gli andamenti e le circostanze che vi concorrono. 

 56. È necessario, dice S. Gregorio, che in tutte le nostre azioni ponderiamo con gran cura da quale impulso siamo spinti ad operare, se da inclinazione di carne, o da impeto di spirito (S. Greg. In Ezech, lib. I, homil. 5.). 

E ne arreca la ragione, perché spesso avviene, che l'impulso carnale si ricopre e si pallia sotto il manto dell'affetto spirituale: onde pare alla persona di operare spiritualmente, mentre illusa dalla falsa apparenza della interna mozione, opera carnalmente (Ibid.). Ma se sì diligente esame richiede il santo dottore per il retto discernimento de' propri affetti, quanto maggior ricerca, e ponderazione richiederassi per la discrezione degli altrui? mentre è molto più facile discernere le qualità de' moti, che insorgono nel nostro cuore, che di quelli che si nascondono ne' cuori altrui. 

 57. Vuole S. Ambrogio, che debba esser tale l’accuratezza di questo esame, che arrivi ad insinuarsi nell'intimo delle anime e delle loro coscienze per non errare ne' suoi giudizi. A questo fine apporta la saggia decisione, che diede Salomone su la controversia che vertea tra due donne sopra un tenero bambinello di cui ciascuna pretendeva esser madre. Gridava una, che quegli era il suo figliuolo. Menti, diceva l'altra, questo è parto delle mie viscere. Lo sanno gli occhi miei ripigliava quella, quante notti vegliarono per allevarlo. Lo sa il mio petto, soggiungeva questa, quanto latte gli somministrò per nutrirlo. In mezzo a questi clamori profferì la sentenza il savio re: Orsù, disse, giacché ambedue siete madri, si divida in due parti il bambino, ed a ciascuna se ne dia una metà (1Re 3,25). Dividetelo, dividetelo, - esclamò la falsa madre, che io son contenta. 

Oh questo no, ripigliò la madre vera, dura sentenza è questa per me. Stia piuttosto vivo il pargoletto tra le braccia della mia rivale, che morto nel mio seno. Allora Salomone, questa, disse è la vera madre: non si uccida il bambino: a lei si consegni (1Re 3,27). Allegato il fatto, soggiunge per nostra istruzione, il santo dottore che è proprio dell'uomo savio distinguere i moti occulti delle coscienze, e con la sottigliezza del suo spirito, quasi con una spada acuta, penetrare fin nelle viscere delle altrui anime, per separare il vero dal falso, il buono dal cattivo e ricavarne la verità (S. Ambr. De offic. min. lib. 2, cap. 8). Ma per far questo (chi non lo vede?) non può bastare un esame superficiale e precipitoso, ma si richiede una molto esatta e diligente perquisizione. 

 58. Ma perché è di pochi il penetrare nel segreto degli altrui cuori; per esaminare i moti e gl'impulsi quali sono in sé stessi, è necessario che osserviamo le operazioni esteriori, e negli indizi che queste ci danno, fondiamo il giudizio delle mozioni interiori dell'animo, in cui consiste la discrezione degli spiriti. Questa regola ce la dà il Redentore (Mt. 7, 17,18,20). Non possiamo, volle dire il divino Maestro, entrare nelle viscere dell’albero o nelle sue radici a mirare le qualità di lui: onde abbiamo ad osservare le frutta che quello produce, e dalle qualità di queste arguire se esso sia buono o pur cattivo. E conclude, che l'istessa regola dobbiamo tenere con le persone, cioè, arguire da ciò che apparisce al di fuori, quello che si cela di dentro. Dice Sant'Agostino, i tuoi pensieri; perché sebbene non penetrò con lo sguardo della mia mente dentro la tua coscienza, veggo però le tue opere che sono il frutto, cioè l'effetto, de' tuoi pensieri (S. August. In psal. 149). In questo, dunque, ha da impiegare il direttore tutta la sua accortezza e diligenza, in osservare attentamente le opere esterne de' suoi discepoli, per intendere da ciò che si vede, ciò che non può vedersi. ma che pur deve da esso giudicarsi. Deve anche indagare i fini a cui sono indirizzati i movimenti interiori dell'animo: perché siccome dal fine deriva tutta la malizia o la bontà de' nostri atti, così dal fine si arguisce rettamente quali essi in sé stessi siano, se buoni o rei. Sopra tutto deve accuratamente esaminare le circostanze: perché da queste rimangono spesso viziate o perfezionate le nostre operazioni. In somma siccome ne' proverbi una moglie diligente si chiama corona del suo marito (Prov.12, 4): così può dirsi, che un direttore diligente ed accurato in esaminare gli andamenti del suo discepolo, gli sia corona di meriti, perché lo conduce sicuramente ad una grande perfezione. 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

domenica 20 novembre 2022

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Si espongono i mezzi per cui il direttore può acquistare la predetta discrezione degli spiriti. 


Notino l'avvertimento, che premette il Blosio al suo Monile spirituale. Questo dotto e devoto ascetico premunisce il lettore del suo libro, che non imiti il giudizio perverso di alcuni uomini che disprezzano le rivelazioni e le visioni come sogni vani, mostrandosi in tal modo poco umili, e meno spirituali: poiché non devono aversi in poco conto quelle rivelazioni divine, da cui è mirabilmente illustrata la Chiesa di Dio (Blosio, In monil. spirit. proem.). 

53. Né egli proferendo sì grave sentenza parla a capriccio, ma parla fondato nella dottrina irrefragabile della Sacra Scrittura. Infatti il profeta Joele, alludendo ai nostri tempi, dice, che Iddio ne' tempi avvenire diffonderà il suo spirito sopra ogni sorta di persone; che profeteranno uomini, e donne, e riceveranno da Dio vere visioni (Gl.2,28): e S. Paolo con più chiara espressione dice al nostro proposito. (1Ts.5, 19,20). Non vogliate estinguere ne' fedeli lo spirito del Signore: non vogliate avere in dispregio le profezie. 

Il dotto espositore Estio interpretando tali parole, dice, che pecca contro questo precetto dell'apostolo chiunque senza esame né circa le persone, né circa il modo con cui procedono tali cose straordinarie, le disprezza, e alla cieca le rigetta (Estius in tex.). 

 54. Non voglio però significare con questo, che il direttore debba essere facile in dar fede a cose insolite e straordinarie; anzi lo avverto ad esser cauto e ritenuto in prestare loro credenza; e voglio che si tenga sempre un passo indietro, per il gran pericolo che vi è d'inganni, d’illusioni, e talvolta ancora di finzioni e d'ipocrisie, specialmente quando si tratta di visioni, di rivelazioni e di locuzioni, che più di ogni altra cosa sono soggette alle frodi de' nostri nemici. Dico solo, che non proceda con prudenza umana, ma divina, che non sia miscredente, che non si appoggi a massime mal fondate, né per esse cerchi credito di accortezza: ma con più sano consiglio esamini diligentemente le cose se vadano conformi o pur discordino dalle regole che abbiamo dalla divina scrittura, dalla Chiesa cattolica, e da' santi; e al lume di quelle dia un giudizio non evidente (giacché questo in tali cose non è possibile averlo), ma prudente circa la rettitudine o falsità degli spiriti che prende a governare rimanendo sempre persuaso, che se questo o quello spirito particolare non è buono, non ne mancano nella santa Chiesa altri che sono buoni; poiché come dice l’Angelico e lo provano le sopraddette scritture, in niuno tempo sono mancate anime elette che hanno avuto spirito di rivelazione (lo stesso si intenda di altri favori soprannaturali), non per introdurre nuove dottrine nella Chiesa, ma per dare buon regolamento alle operazioni de' fedeli (Thom, 2, 2 quaest. 174, art, 6, ad 3.). Tenga dunque la via di mezzo chi vuol essere direttore, e non distruttore degli spiriti. 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

venerdì 11 novembre 2022

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Si espongono i mezzi per cui il direttore può acquistare la predetta discrezione degli spiriti. 


§. V. 

48. Quinto mezzo: che il direttore non si affezioni soverchiamente ai suoi penitenti; altrimenti deciderà sempre a favor loro, mosso più dall'affetto che dalla ragione; né certamente sarà sempre retta la sua decisione. Già si sa, che non può dar giusta sentenza un giudice appassionato: perché, come dice Cornelio A-Lapide, spiegando il detto di Malachia (Malach. 3, 3), l'uomo giudica secondo l'affetto; e secondo l'inclinazione dell'animo o benevolo, od avverso ascrive a vizio ciò ch'è atto di vera virtù; od attribuisce a virtù ciò ch'è vizio abominevole (Cornel. A- Lap. in textu). 

49. Per questo stesso motivo non deve mai prendere alcun'anima sotto la sua direzione per alcun lucro temporale che glie ne possa risultare: perché se grande è la forza che ha l'interesse di corrompere i giudici terreni, non l'ha minore in alterare il parere de' giudici spirituali delle anime. S. Bernardo scrivendo al pontefice Eugenio, con formole di gran lode gli riferisce un fatto illustre del cardinale Martino, Questi, terminata la legazione di Danimarca, tornava in Italia, ma sì sprovveduto di danari e di cavalli, che giunto a Firenze non aveva modo di proseguire il suo viaggio. Il vescovo della città gli donò un cavallo. E perché aveva una lite con un suo avversario il giorno seguente si portò in Pisa, dove erasi portato il porporato, e lo pregò del suo voto a favore della propria causa. Il santo cardinale in sentire che aveva ricevuto un donativo da persona sopra cui aveva a dire il suo parere e proferir sentenza: mi hai ingannato, gli rispose, io non sapeva che tu avessi questa lite; ripiglia il tuo cavallo che sta in istalla: ed ordinò che tosto gli fosse restituito (S. Bern. De Consid. lib. 4. cap. 5). L'istessa lode fa il santo di Gaufrido anch'esso legato apostolico, narrando di lui esempi singolarissimi di disinteresse in ricusare qualunque benché minimo donativo: ed afferma di lui che poteva dire con Samuele allorché rinunziò la giudicatura del popolo: se v'è alcuno dalle cui mani abbia io ricevuto qualche dono, parli pure, mi accusi, che io son pronto a fargliene intera restituzione (Ibid.). Finalmente conclude con queste notabilissime parole: Oh se avesse molti di questi ministri la santa Chiesa! a questi vorrei palesare tutti i miei pensieri, a questi vorrei svelare tutti gli arcani del mio cuore, nelle mani di questi vorrei tutto abbandonarmi come ad un altro me stesso. Oh quanto mi terrei sicuro sotto tali custodi e direttori della mia vita! Oh quanto mi riputerei beato! (Ibid.). Tanto è vero che il procedere con totale disinteresse nella direzione delle anime dà sicurezza ai direttori, e quiete alle anime dirette circa il regolamento delle proprie coscienze. E però chi desidera formare degli spiriti altrui retto giudizio, e dar loro buono indirizzo, altra mira non deve avere nel suo sacro ministero, che il profitto delle anime e la pura gloria di Dio; né deve nutrire nel cuore affetto alcuno soverchio che gli alteri la estimazione. 

§. VI. 

50. Sesto mezzo sia, che il direttore abbia un intelletto addottrinato, ma non sofistico. Io non nego che le scienze speculative, e specialmente la teologia sia il fondamento a cui si appoggia tutta l'ascetica e la mistica, e che senza di essa non possano acquistarsi con perfezione queste due facoltà. Dico solo, che il teologo, volendo esaminare le opere dello spirito, non debba essere troppo riflessivo, e quasi pretendere di ridurne le cose a dimostrazione; altrimenti non formerà mai un giudizio pratico, saggio e discreto. Osserva il p. La Croix nella sua morale, che lo stesso acume della mente, e lo stesso sapere è ad alcuni teologi d'impedimento ad udire le confessioni anche ordinarie, e a giudicare rettamente delle altrui coscienze: perché con le loro soverchie sottigliezze, ed acute riflessioni imbrogliano sé, e confondono i loro penitenti (Claud. La-croix -Theol. morat. lib. 6. p. 2, n. 1787).). Procuri dunque il direttore di esser bene addottrinato nelle scienze sacre. Dovendo poi decidere circa gli altrui spiriti, non si curi di troppo sottilizzare, né sia incontentabile, per non dare in cavilli ed in sofisticherie: ma quando avrà sufficientemente conosciuto essere le altrui operazioni o conformi o difformi alle massime della fede e delle regole della cristiana morale, proferisca il suo giudizio ed applichi il suo regolamento; ricordandosi, che il giudizio della discrezione non ha da essere evidente, ma umano, ma ragionevole, cioè appoggiato a motivi ragionevoli. 

51. Inoltre, se brama avere il direttore buon discernimento degli spiriti, è necessario che non si muova a giudicare dalle ragioni terrene, ma dalle divine: perché dice il Crisostomo: non v'è cosa peggiore che dar sentenza circa le cose spirituali dipendentemente dalle ragioni umane (S. Io. Chrys. Hom. 25 [in edit. maurina ad. 24] In Joan.).). 

Ho osservato più volte, che molti confessori, anche dotti, si recano a punto di riputazione il non credere cosa alcuna di quelle, che nella linea soprannaturale hanno dello straordinario, o sia visione, o sia rivelazione, o sia estasi, o sia altra comunicazione di spirito: e, ciò che è peggio, si vantano di questa loro miscredenza, come se il dar fede ad alcune di queste cose fosse una semplicità, e il non crederne alcuna fosse una grande avvedutezza, ed una grande prudenza. Chi si regola con queste massime umane. anzi erronee, non è possibile che abbia la discrezione degli spiriti: perché è cosa certissima che questo spirito straordinario vi è stato sempre nella Chiesa di Dio, e sempre vi sarà.

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 


domenica 16 ottobre 2022

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Si espongono i mezzi per cui il direttore può acquistare la predetta discrezione degli spiriti. 


47. Quarto mezzo: che il direttore nella guida delle anime proceda con umiltà, altrimenti non coglierà in dare retto giudizio e giusto regolamento: e questo per due motivi. Il primo, perché, come ho detto di sopra, per una buona discrezione degli spiriti è necessaria la luce di Dio (benché non importi che questa sia strada ordinaria): né Iddio gli concederà questa luce s'egli confidi nel suo sapere, nella perspicacia della sua mente, nella sua prudenza, e nella sua molta esperienza: se egli si compiaccia della buona condotta che gli pare di tenere sopra il governo delle anime, se se ne vanti, se se ne glori; se non si guardi da una certa interna vanità e superbia di credersi idoneo a guidar anime di sublime virtù, e di comparire tale su gli occhi altrui; in una parola, se non proceda con umiltà, sperando ogni buon successo da Dio, e riconoscendolo come favore compartitogli dalla sua benefica mano: giacché è pur troppo vero, che “Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia.”(Gc.4,6). Il secondo motivo si è perché non vi è direttore sì esperto, che non abbia spesso bisogno di ricorrere per consiglio a persone dotte, a persone esperimentate, e se si possono avere, a persone dotate del dono della discrezione infusa; specialmente ne' casi dubbi, negli avvenimenti strani, e nella guida di coscienze straordinariamente intrigate, o di anime grandemente elevate. Ma s'egli non sarà umile, e fidandosi troppo della sua prudenza, non vorrà cercare gli altrui consigli, né soggettarsi all'altrui parere, prenderà 'g.avi abbagli con pregiudizio delle anime a lui soggette. Dice lo Spirito Santo: non ti appoggiare alla tua prudenza (Prov.3,5): perché, come dicono i savi, vera prudenza è, non sì fidare di sua prudenza: ma prender sempre da persone sagge consiglio, massime in cose di rilievo, quali sono sempre quelle che riguardano il bene spirituale delle anime. E di fatto invitando il S. Giobbe gli uomini alla sapienza, non vuole, che alcun di loro sia sapiente (Gb.17,10): cioè non vuole, come spiega S. Gregorio, che alcuno si reputi sapiente, che si appoggi con fiducia alla sua sapienza: in una parola, che sia sapiente appresso di sé (S. Greg. moral. 13. cap. 14). Ma se egli è Vero che quegli solamente è savio e prudente, che non si reputa tale e che non si fida di sé e di sua prudenza; converrà dire, che quegli solo sia prudente, il quale è umile, e però è facile a chieder consiglio a persone dotte o discrete ed a sottoporsi al loro giudizio. 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

domenica 4 settembre 2022

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Si espongono i mezzi per cui il direttore può acquistare la predetta discrezione degli spiriti. 


45. Il terzo mezzo si è, che il direttore abbia in sé stesso almeno qualche sperienza delle diverse qualità degli spiriti; perché come dice egregiamente Gersone, le sacre scritture, i padri, i dottori ci hanno date regole generali, le quali difficilmente possono applicarsi ai casi particolari se la persona non gli abbia sperimentati in se stessa (Gerson. De probat. spirit.). E prima di lui avevaci insegnato lo Spirito Santo, che da noi stessi abbiamo a prendere regole per intendere ciò che passa negli animi altrui (Eccl. 31,18). Quindi segue, che un direttore deve seriamente attendere allo studio dell'orazione, e particolarmente della meditazione; acciocché conoscendo per esperienza cosa è luce, cosa è tenebre; cosa è moto santo, e moto falso; cosa è consolazione, e desolazione di spirito, sappia poi negli altri ancora giudicare con rettitudine circa tali cose: perché, come dice S. Gregorio, non può dar giusto giudizio delle tenebre, chi non ebbe mai alcuna notizia della luce (S. Gregor. Mor. lib. 5. cap. 27). Come, dunque, saprà distinguere le opere tenebrose del nemico infernale un padre spirituale, che non è avvezzo a ricevere la luce divina che d'ordinario nell'orazione s'infonde? 

46. Segue ancora, come appunto insegna Riccardo di S. Vittore, che debba attendere di proposito all’acquisto delle cristiane virtù, affinché le conosca, dirò così, non solo di vista, ma anche in prova: sappia il modo con cui si praticano, le difficoltà che si incontrano, e le maniere con cui si superano. Reso esperto dalle proprie cadute, conosca i pericoli in cui si sdrucciola, i modi in cui si sorge, e le all'ti con cui si prende lena dalle stesse cadute per correre più velocemente alla perfezione (Rich. De praep. ad contem. cap. 67.). Se poi il direttore fosse passato per tentazioni, per scrupoli. per aridità, per desolazioni, e fosse stato posto al cimento di grandi prove, sarebbe, senza fallo, più atto a condurre altri per queste vie scabrose: giacché dice l'Ecclesiastico: che può mai sapere chi non è stato tentato? (Eccl. 34, 9) 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

giovedì 25 agosto 2022

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI



Si espongono i mezzi per cui il direttore può acquistare la predetta discrezione degli spiriti. 


§. II. 

41. Secondo mezzo sia applicarsi ad apprendere le regole discernitive dello spirito vero dal falso specialmente con la lettura e con lo studio della sacra scrittura; e per non errare nella intelligenza de' sensi più astrusi, valersi di qualche dotto ed erudito interprete. Per distinguere l'oro dall'orpello, e da ogni altro metallo vile, la natura ci ha provveduti di quella pietra che chiamasi di paragone. Le pietre di paragone con cui si discerne lo spirito vero dall'apparente, sono i documenti, i precetti, le regole che si danno per un tale discernimento. Queste in primo luogo si trovano nelle sacre scritture. nelle cui viscere Iddio sparsamente le ha poste. Là bisogna andare per iscavarle, come insegnava santamente Ugo di S. Vittore. ai monaci suoi discepoli dicendo, che in quelle sacre pagine avrebbero appreso a disprezzare il mondo, a difendersi dalle brame de' nemici infernali. a 'reprimere i malvagi desideri della carne, e che vi avrebbero acquistato la compunzione del cuore, la disciplina delle opere, l'umiltà della mente, la pazienza nelle avversità (Ugo a s. Vict. De initit. novitior. c. 8): né con ciò altro volle loro significare se non, che avrebbero con quel santo studio imparato qual è lo spirito del mondo, per dispregiarlo; qual è lo spirito del demonio, per rigettarlo; qual è lo spirito della carne, per raffrenarlo; qual è lo spirito di Dio per abbracciarlo; e che avrebbero tutto questo impallato con regole sicure ed infallibili, perché insegnate da Dio stesso. E però bisogna, che c'immergiamo nella lezione di quelle sacre carte, per cavarne anche noi i caratteri del vero spirito. 

42. È terribile la minaccia, che fa Iddio ai sacerdoti in Osea (4,6): "Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote". Dice Cornelio A-Lapide, che per quella parola "conoscenza" intende il profeta la cognizione di Dio e della divina legge non solo speculativa, ma pratica,  che i sacerdoti di quei tempi trascuravano di apprendere con lo studio della divina scrittura (Corn. A.Lap. in textu). 

E per questa loro trascuratezza dannosa a tutto il popolo minacciava Iddio di togliere ad Israele il sacerdozio ed il culto de' sacri altari (ibid.). Non voglio però significare con questo, che Iddio toglierà ai direttori che sono alieni da questo sacro studio, il sacerdozio: so che il carattere sacerdotale è indelebile: e molto meno, che toglierà dalla Chiesa l'ordine sacerdotale, come ne privò Israele. Dico bene però, che negherà loro quelle grazie speciali che sarebbero più opportune per renderli buoni sacerdoti e degni ministri de' sacri altari: e certamente con giusta pena; perché non merita aiuto particolare da Dio chi non curossi di rendersi abile ad aiutare i suoi prossimi nell'esercizio del suo sacro ministero. 

43. Dico in secondo luogo, che quelle belle pietre al cui paragone si distingue lo spirito vero dal falso, si trovano anche ne' libri de' santi padri e de' dottori, i quali le cavarono dalle divine scritture, e le proposero a noi, acciocché ce ne servissimo per nostro regolamento. Tali precetti sono anch'essi sicuri, perché presi dalle sacre carte. Sicure sono ancora le esperienze, gl'insegnamenti de' santi che si ritrovano o nelle loro vite, o nelle loro opere; perché operando essi o istruendo, erano mossi dallo spirito divino, che in modo particolare gli assisteva nelle loro operazioni. Pertanto, su questi libri devoti bisogna che studino frequentemente i direttori delle anime, per estrarne quegli aforismi di spirito, con cui hanno a discernere e regolare gli altrui interni movimenti. 

Confesso, che io ho preteso di risparmiare loro la fatica con questa mia opera, avendo in essa raccolto molte di quelle notizie con cui possono sicuramente discernere qualunque spirito se sia vero, o sia falso; se sia buono, o sia pravo: e con cui possono condurre ciascuno con rettitudine per la strada della perfezione, o almeno della salute, second'o la diversa qualità delle persone che prenderanno sotto la loro direzione. Onde spero, che queste mie povere fatiche potranno esser loro di non lieve giovamento. Con tutto ciò non devono eglino esser contenti di questo: ma procurino di avere spesso per le mani altri autori di maggior credito, e di leggerli frequentemente: perché è sempre più pura quell'acqua, che si attinge dalla fonte, che quella la quale si prende da' rigagnoli. 

44. Praticando eglino tali diligenze, non mancherà Iddio di somministrare alle loro menti lume bastevole per formare retto giudizio circa le anime de' penitenti, e circa i loro interni movimenti: perché, dice S. Agostino, che appartiene alla divina Provvidenza far sì, che alle persone devote le quali cercano piamente e diligentemente Iddio e la verità delle cose che appartengono al servizio di Dio, non manchi modo di rinvenirla (S. August. Lib. de quanto animae, cap. 14.).  

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 


lunedì 15 agosto 2022

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Si espongono i mezzi per cui il direttore può acquistare la predetta discrezione degli spiriti. 


§.1 

36. Se ogni professore è tenuto a sapere e a praticare i mezzi per cui conseguire il fine della sua arte, quanto più sarà obbligato un maestro di Spirito di sapere e mettere in pratica quei mezzi per cui può solamente (se pure Iddio non voglia con doni straordinari soccorrerlo) giungere a discernere lo spirito vero dal falso, e a dare ciascuno di essi la debita direzione; mentre questa, secondo il celebre detto di s. Dionisio Areopagita, è l’arte la più eccelsa e la più divina che possa darsi, cooperandosi con essa alla salute e perfezione delle anime per cui ha Iddio dato la vita ed ha votato del suo preziosissimo sangue tutte le vene (s. Dion. Areop. De coelen. hierarch. C. 3). I mezzi che devono usarsi sono molti; ed io tra questi sceglierò i primari e i più importanti, e brevemente gli esporrò. 

37. Primo mezzo: chiedere a Dio incessantemente lume di discrezione perché i pensieri e gli affetti de' mortali sono incerti e dubbiosi – “I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni (Sap. 9, 14): e Iddio solo che vede l’intimo dei cuori, è il ponderatore de' nostri spiriti come se ne protesta egli stesso ne' Proverbi: 

(Prov.16, 2): e però da lui solo deve sperarsi quella luce che è necessaria per discernerli senza errore. Ad esso, dice S. Lorenzo Giustiniani, si appartiene il donare una certa intelligenza per cui con guardo mentale si mirano le illusioni spirituali de' demoni, e si distinguono le diverse qualità dei moti interiori delle anime (S. Laurent. fustin. Sermo in festo Pentec.). Dunque, avvisa S. Giacomo (Gc.1,5): se alcuno ha bisogno di un certo lume di sapienza discernitivo degli altrui spiriti, lo chieda a Dio, che lo dà a mani piene. Ma avverta, soggiunge l'apostolo, di domandarlo con viva e ferma fede; perché quello che tituba, è simile alle onde del mare agitate da' venti che non hanno fermezza, sicché essendo egli fluttuante nel credere, sarà anche inabile a ricevere il bramato discernimento (Gc.1,6-7). 

38. Allora però conviene rinnovare le preghiere con più fervore quando il direttore si accinge all’esame di qualche anima; e più specialmente, quando si imbatte in certi punti più intrigati e più astrusi che non sa egli penetrare e distinguere col suo sapere, affinché Iddio gli rischiari la mente coi suoi celesti lumi. Allora deve dire col santo re Giosafat (2 Paralip. 20, 12): io, Signore, non so, che giudizio formare di quest'anima: altro non mi resta che alzar gli occhi e la mente a te, ed implorar la tua luce. 

39. Ma qui nasce subito un dubbio. Se anche per questa discrezione è necessaria la luce soprannaturale, non vi sarà diversità fra la discrezione che si acquista con industrie, e quella che si riceve per dono; mentre l'una, e l'altra dipendono dalla divina illustrazione. Rispondo, che bisogna distinguere due luci soprannaturali; una straordinaria, l’altra ordinaria; quella è una grazia «gratis data”; questa appartiene alla grazia, che chiamano «gratum faciens”, comune a tutti gli uomini giusti: quella si concede ai pochi; questa non si nega ad alcuno, massime se si trovi in grazia. Ora la luce che appartiene al dono della discrezione infusa, di cui parlammo nel capo terzo, non è questa seconda, è quella prima, e consiste in una illustrazione della mente pura, chiara, penetrativa, per cui vede subito la persona (o in sé stessi, o per piccoli indizi senza perquisizioni ed esami) i moti degli animi altrui, e distingue tosto la qualità di tali movimenti. 

Questa specie di discrezione (quando pure Iddio la concede) è la migliore, chi non lo vede? Perché con essa si giunge presto e con sicurezza a scoprire ciò che si nasconde negli altrui cuori. La spiega a meraviglia bene S. Giovanni della Croce dicendo così: «Si dee però avvertire, che questi, che hanno lo spirito purificato, con più facilità possono conoscere, ed uno più dell’altro, ciò ch'è nel cuore o nell'interno dell'anima, e le inclinazioni ed i talenti delle persone, e questo per indizi esteriori, quantunque siano moho piccoli, come per parole, movimenti, ed altri segni ... Laonde, quantunque naturalmente non possono le persone spirituali conoscere i pensieri o quello ch'è. nell'interno; ben lo possono conoscere mediante l'illustrazione soprannaturale per indizi» (S. G. della Croce, Sal. del mon. Car. lib. 2, cap. 26.). 

40. La luce però, che appartiene alla discrezione ordinaria degli spiriti, acquistabile da chi che sia, di cui parliamo nel presente capitolo, non è sì purificata, sì vivace, sì penetrante; ma è più bassa, più oscura e più debole, e non può, né per se stessa, né con la sola scorta di qualche indizio, penetrare l'origine delle mozioni interne. 

Ha bisogno di lunghi, diligenti e replicati esami. Ha bisogno di precetti, di regole e di ben fondate dottrine: perché alla fine il suo uffizio altro non è che, rischiarare e dirigere la mente del maestro spirituale, acciocché applichi bene ne' casi particolari le regole che si danno per la discrezione degli spiriti; onde quegli con questa buona applicazione giudicando, colga nel vero. Questa luce dunque è ordinaria. né si nega ad alcuno; che però ogni superiore, padre spirituale e direttore delle anime, ha da chiederla continuamente a 'Dio, e specialmente quando si pone ad esaminare lo spirito de' suoi discepoli, o essi gli rendano conto del loro interno; ma più particolarmente ne' casi ardui e dubbiosi: altrimenti, non ostante qualunque notizia ch'egli abbia acquistata, fallirà nell'applicazione delle dottrine, non darà giusto e vero giudizio delle altrui interne operazioni, e solo potrà dirsi di lui, che sia un buon discernitore degli spiriti in speculativa, ma non in pratica. In somma si ricordi dell'insegnamento autorevole del Concilio Tridentino: che Iddio vuole, che facciamo ciò che possiamo per abilitarci; e dove non arrivano le nostre industrie vuole che imploriamo il suo aiuto dichiarandosi pronto a somministrarcelo (Trid. sess. 6. cap. II). 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

martedì 2 agosto 2022

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Si dice qual sia la discrezione degli spiriti, in quanto è virtù acquistata con arte e con industria; e l'obbligo, che hanno i direttori di conseguirla. 


§. I. 

29. Dissi, che sono piene le sacre storie di quelli ai quali per divina virtù era concesso di penetrare con lo sguardo della mente nei segreti gabinetti delle altrui coscienze per discoprirne gli occulti moti, o che almeno potevano dare di tali movimenti retto giudizio per mezzo di una luce molto straordinaria infusa dallo Spirito santo nella lor mente. Ma pure se si mettono a paragone di quelli che san tenuti per obbligo del proprio impiego a discernere degli altrui spiriti le qualità, sono rarissimi. In quest'obbligo si trovano i padri spirituali e i direttori che si prendono a proprio carico la guida delle anime; non essendo possibile di condurle sicuramente per la strada della salute e della perfezione, se non conoscono da qual principio procedono i pensieri delle loro menti e gl'impulsi de' loro cuori, e per questa via non giungono a conoscere se siano buoni o rei. Perciò in supplemento della discrezione infusa che dal divino spirito gratuitamente si dona a pochi, è necessaria un'altra discrezione che possa acquistarsi da tutti e sia comune a tutti, giacché a tutti i confessori è comune la direzione delle anime. E di questa appunto parleremo in avvenire, insegnando il modo con cui possa dai direttori conseguirsi. 

30. La discrezione dunque degli spiriti acquistabile con industrie, consiste in un giudizio retto che formiamo degli altrui spiriti dipendentemente dalle regole e dai precetti che ci sono somministrati dalle sacre scritture, dalla S. Chiesa, dai santi padri, dai sacri dottori, dalla esperienza dei santi, e dipendentemente dal lume della propria prudenza. 

Che diasi una tal discrezione da potersi conseguire da ciascuno, non se ne può dubitare; perché chiaramente ce l’insinuano le sacre scritture. 

Il diletto discepolo ci avvisa, che non vogliamo credere agli spiriti senza farne prima la prova se siano da Dio (1Gv 4,1). L'apostolo San Paolo ci esorta a non andare alla cieca, ma a provare tutte le cose, e ad abbracciare solo quelle che al cimento delle prove si scorgono buone, ed a rigettar quelle che si scoprono cattive (1Ts 5, 21-22). Or cosa sono queste prove che tanto ci s'inculcano nelle sacre carte, se non che esami industriosi circa le azioni dipendentemente da precetti e da regole prese dalle sacre fonti delle divine scritture? Certo è che il dono della discrezione infusa non ha bisogno di prove tanto squisite: a chi ha la discrezione per grazia gratis data, basta che veda le altrui operazioni, o che gli siano palesati i moti de' loro cuori, acciocché possa decidere sulle qualità buone o male de' loro spiriti: perché la luce straordinaria che Iddio gli dona, supplisce alle umane diligenze. 

al Redentore stesso dopo averci avvertiti a guardarci dai falsi profeti che al di fuori hanno sembianza di pecore, e al di dentro sono lupi rapaci (Mt. 7, 15-16): li conoscerete dalle loro operazioni, cioè esaminando accuratamente le loro azioni: il che non può farsi senza riflettere se tali opere concordino con le regole di ogni rettitudine e santità, o pur da quelle discordino. Aggiungo, che Gesù Cristo non diede questo saggio avvertimento solo ad alcune persone straordinariamente illuminate: lo diede a tutti. Sicché tutti possono avere un tale discernimento, non certamente per dono, perché questo è di pochi: dunque per arte e per industria. 

 31. Questo volle significare l’esimio dottore padre Suarez laddove parlando della discrezione degli spiriti disse egregiamente. che da una parte tutti siamo esortati a provare gli spiriti: dall'altra parte la discrezione gratis data non si comparte a tutti: dunque siamo esortati a procurare con umana diligenza un discernimento moralmente certo non solo tra lo spirito vero o falso, ma buono o cattivo, buono, migliore, sicuro o pericoloso: il che si ottiene dai maestri di spirito per mezzo delle regole che s'assegnano da uomini spirituali e dotti, le quali, sono tutte fondate nella sacra scrittura, nella tradizione, nella dottrina della Chiesa cattolica e de' santi padri, nella esperienza de' santi, nella retta ragione illustrata dal lume della santa fede (Suar. De grat. par. 1. prolegomen 3, cap. 5, n. 40).). Il che è tutto quello che abbiamo dianzi esposto. 

32. Quindi segue, che la discrezione di cui ora parliamo, e di cui cagioneremo nel progresso del libro, non è dono, ma virtù acquistata con le proprie diligenze. Segue ancora, che i giudizi che circa gli spiriti forma questa virtù discernitiva non sono infallibili; perché sebbene sono infallibili le regole e i documenti che si danno per ben giudicare, come quelli che sono presi dalle sacre carte e da' santi dottori della chiesa. non è però infallibile che essa applichi rettamente i suoi giudizi ai detti insegnamenti. Al più potrà dirsi, che avranno una certezza morale e pratica, come dice il citato dottore, in quanto saranno fondati in ragioni che chiaramente mostrino la conformità con le dette regole, onde non si possa senza imprudenza giudicare il contrario. 

§. II. 

 33. E qui rifletta il direttore all'obbligo grave che gli corre in coscienza di procacciarsi ad ogni costo una tale discrezione degli spiriti, senza cui non è possibile ch’egli non era frequentemente nel reggimento delle anime, non senza grave loro pregiudizio. Che diremo noi di un uomo che si mettesse a curare gli infermi, senza aver mai apprese quelle regole per cui si viene in cognizione de' mali che assalgono i corpi umani, né avesse mai acquistate quelle notizie per cui una infermità si distingue dall'altra, onde possa applicarsi a ciascuna un proporzionato rimedio? 

Non diremmo noi ch’egli è inetto per un tale ministero? ch'egli è temerario in intraprenderlo? anzi che egli pecca esercitando un tal impiego; mentre invece di sanare i malati, si pone ad un evidente rischio di dar loro la morte. 

E questo è appunto il caso nostro. Un direttore che non ha acquistata una sufficiente discrezione degli spiriti, non può conoscere da quali cagioni provengono gl'impulsi e movimenti de’ nostri animi, se da Dio, se dal demonio, se dalla nostra guasta e corrotta natura; il che allora è più vero, quando le mozioni interiori sono straordinarie, come accade sovente alle persone contemplative. 

Onde si espone a manifesto pericolo di approvare ciò che è degno di biasimo, di biasimare ciò che è degno di approvazione, e di prescrivere regolamenti storti, per cui invece di promuovere le anime alla perfezione ponga loro impedimento, o forse le avvii per la strada della perdizione. 

Quindi s'inferisca che non può esimersi da qualche nota di temerità e da qualunque macchi di colpa, chiunque si pone a fare il padre spirituale delle anime senza aver acquistata la debita notizia e discernimento degli spiriti: molto più se si esponga per confessare nei monasteri delle religiose, tra le quali sempre molte ve ne sono che attendono seriamente alla perfezione, e sempre se ne trova alcuna che Dio conduce per vie straordinarie, né può con altri che con lui conferire i movimenti del suo cuore. 

34. S. Tommaso due ignoranze riconosce nell'uomo ambedue peccaminose: una la chiama diretta, ed è quando quello appostatamente non vuole intendere ciò che è obbligato a sapere; l'altra la nomina indiretta, ed è quando egli, o per sfuggire la fatica o per distrarsi in altre occupazioni, trascura di apprendere ciò che è tenuto in coscienza ad imparare: e parlando di questa seconda ignoranza che fa al caso nostro, conchiude che essa non riscusa dal peccato (S. Thom. 1-2, quaest. 76. art. 3). Dunque non può scusarsi da peccato un confessore che non procura di acquistare quei lumi che sono necessari ad un retto conoscimento degli spiriti: perché a questo l'obbliga il suo impiego, e la carità, mentre gli vieta di esporsi a pericolo di errare in materia di sì gran rilievo. 

35. Ma più strettamente S. Agostino, al proposito nostro, dice che il mancare alla debita carità sempre è peccato, o tal mancanza possa evitarsi, o pur non si possa (supponendo però, che siasi di prima data occasione colpevole al mancamento presente); perché, dic'egli, se il diletto può fuggirsi, la colpa sta nella volontà presente se non può sfuggirsi, il peccato sta nella volontà passata (S. August. Lib. de perfect. justit. Cap. 6). Dunque, se un direttore erra con pregiudizio altrui, pigliando uno spirito cattivo per buono, o uno buono per cattivo, pecca ancorché non abbia volontà di peccare: pecca, dico, non per la volontà che ha presentemente: ma per la volontà che non ebbe di approfittarsi a sufficienza prima di esporsi a tali esami. E se di ciò il lettore brama aver ulteriore ragione, gliela darà S. Giovanni Crisostomo, dicendo che non può andare esente da colpa, e forse dalla dannazione chi avrebbe avuto modo di ritrovare il vero se avesse avuto volontà di cercarlo (S. Joan. Chrys. Op, imp. in Matth. Hom. 44.) con uno studio proporzionato al suo ministero. Acciocché dunque non accada ad alcun direttore sì grave male, ma possa ciascuno esattamente adempiere gli obblighi strettissimi del suo sacro impiego: esporrò nel seguente capitolo i mezzi per cui si può conseguire quella discrezione che è tanto necessaria per la buona condotta delle anime. 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

venerdì 22 luglio 2022

Si dice che cosa sia discrezione degli spiriti, in quanto essa è grazia, gratis data.

 


IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI 

§. I. 

19. Ora che il lettore ha compreso quanti e quali siano gli spiriti che possono destarsi nei nostri cuori, e i modi con cui questi si formano dipendentemente dalle loro cagioni, non gli sarà difficile l'intendere cosa sia discrezione degli spiriti. Ma per procedere ordinatamente, bisogna distinguere due discrezioni di spiriti: una che appartiene alle grazie gratis date, ed è la settima tra le grazie che numera l'apostolo (1Cor 12, 8,9,10): l’altra che consiste in un giudizio prudente acquistato con arte e con industria, circa il proprio, e l'altrui spirito. La prima discrezione è un dono gratuito che si concede a pochi; la seconda è un industrioso discernimento che può conseguirsi da ognuno. Della prima parleremo nel presente capitolo; della seconda ragioneremo ne' capitoli che seguiranno. 

20. S. Tommaso dice che la discrezione degli spiriti, in quanto è grazia gratis data, sia una chiara cognizione degli arcani degli altrui cuori (S. Thom. 1-2. quaest. III. art. 4). Sebbene la discrezione degli spiriti dichiarata in questo modo convenga in qualche guisa con la profezia, è però da lei molto diversa: perché alla profezia compete generalmente il conoscimento di qualunque cosa occulta, e con più proprietà la notizia delle cose future contingenti; ma alla discrezione solamente si appartiene lo scoprimento de' cuori. Questa grazia da Dio si dona sempre per vantaggio spirituale dei prossimi (il che è il fine a cui sono indirizzate tutte le grazie gratis date), perché in realtà non v'è cosa che più concilii credenza alla dottrina della fede, quanto il vedere, che chi la propone svela gli arcani del cuore che sono palesi solo a Dio: né v'è cosa che più conferisca alla retta direzione delle anime fedeli, quanto il penetrare gli occulti nascondigli de' loro cuori. Non v'è dubbio che questa grazia sia stata da Dio talvolta compartita ai suoi servi fedeli, mentre alcuni di essi sapevano ad altri ridire accertatamente i pensieri che loro passavano per la mente, e gli affetti che nutrivano nel cuore; altri nell'atto della sacramentale confessione scoprivano ai loro penitenti i peccati, che quelli, o per debolezza di memoria o per il rossore colpevole, lasciavano di confessare, segno chiaro, che con lo sguardo della mente entravano a vedere l'intimo delle loro coscienza. 

Altri poi arrivavano fino a vedere lo stato in cui si trovavano le anime altrui, se in grazia o disgrazia di Dio: il che è un grado di discrezione più alto e più pregevole. 

 21. Ma perché il vedere l'interno delle persone è grazia che si concede a pochi, però altri sacri dottori spiegano in altro modo la discrezione degli spiriti in quanto è grazia gratis data e dallo Spirito Santo infusa nelle nostre menti. 

Dicono questi, che una tal discrezione consiste in un istinto o luce particolare che dona lo Spirito Santo, per discernere con giudizio retto, o in sé o negli altri, da quale principio procedano i moti interni dell'animo, se dal buono o dal cattivo. 

Questa è cosa diversa da quella che secondo la mente dell'angelico abbiamo dianzi dichiarata: perché una cosa è, che la persona giunga di fatto a vedere con l’occhio della sua mente i segreti degli altrui cuori; e altra cosa è, che essendole da altri manifestati i segreti del proprio cuore, sappia poi, col favore di una luce molto particolare, decidere con giudizio retto da quale principio provengano, se da buono, o da reo. Questa seconda, sebbene è discrezione di spiriti infusa a cagione della luce straordinaria che Iddio infonde nell'anima per renderla abile ad un tale discernimento; con tutto ciò è grazia inferiore alla prima, come ognun vede. In questo secondo senso espone la discrezione degli spiriti l'apostolo. Scrivendo egli ai Corinti, dice loro, che quegli il quale sarà tra essi discernitore degli spiriti, conoscerà chiaramente che i documenti che loro propone nella sua lettera li ha ricevuti da Dio (1Cor 14,37). 

Notisi che non dice il santo apostolo che quegli è spirituale, cioè conoscitore degli spiriti, che con guardo interiore vedrà dentro il suo cuore gli insegnamenti che gli ha comunicati Iddio; ma che quegli sarà tale il quale ascoltando gl'insegnamenti della sua lettera: conoscerà con sicurezza che gli sono stati dati da Dio. E in questo senso prendono comunemente i santi padri la grazia gratis data della discrezione degli spiriti. 


§. II. 

22. Posto ciò, passiamo a dichiarare la definizione che abbiamo data, secondo tutte le sue parti, incominciando dalla materia ch'essa ha per oggetto. Prima però suppongo, che la regola infallibile del nostro credere è la sacra scrittura e la tradizione apostolica, in quanto ambedue sono ricevute dalla Chiesa cattolica; e che la regola sicura del nostro operare santo e soprannaturale è la retta ragione in quanto è illuminata dagli insegnamenti della fede. Onde segue, che tutti quegl'impulsi che çi portano a credere ciò che è rivelato nelle sacre carte e ciò che d è stato tramandato per ereditaria successione dagli apostoli, è, in riguardo all'intelletto, spirito retto e santo: ma se poi tali impulsi ci inclinano a credere l'opposto, sono evidentemente spirito falso e perverso. Rispetto poi alla volontà, tutte quelle mozioni che ci fanno operare secondo la retta ragione e secondo i documenti divini, sono chiaramente spirito buono; ma se poi queste ci portino a discordare dalla ragione naturale e dalle leggi divine, sono sicuramente spirito cattivo. Dico dunque, che la discrezione in quanto è dono che da Dio s'infonde nelle umane menti. non ha per materia e per oggetto de' suoi discernimenti certi spiriti che senza dubbietà sono buoni o rei, sono veri o falsi; mentre per dare retto giudizio in una materia sì chiara non sono necessari i lumi speciali dello Spirito Santo, ma basta la luce ordinaria della fede, che a niun fedele da Dio si nega. 

Perciò l'Angelico spiegando le parole dell'apostolo - omnia probate - aggiunge: scilicet, quae sunt dubia. Manifesta enim examinationem non indigent (S. Thom. Expos. sup. ep. 1 ad Thess. cap. 5.). 

23. Materia della discrezione infusa sono certi spiriti dubbi ed incerti, di cui non è facile l'intendere se da principio buono o cattivo abbiano la loro origine: e. g. certi impulsi ed eccitamenti a credere qualche cosa vera o ad operare qualche cosa buona, che però non è chiaramente vera né apertamente buona; e se è in sé stessa vera o buona, può essere indirizzata a qualche errore o a qualche male, o almeno ad impedire il maggior bene. Tali sono, in quanto all'intelletto, certe rivelazioni private, certe locuzioni interne, certe visioni fatte ai sensi o interiori o esteriori, certe dottrine nuove, e certe verità non rivelate nelle sacre carte, non insegnate dai sacri dottori, a cui sentasi la persona ispirata. 

In quanto alla volontà, tali sono certi impulsi a far cose grandi o sante, ma insolite; certi stimoli ad intraprendere cose superiori alle proprie forze, benché fondati nella fiducia della divina assistenza; certe ispirazioni di passare da uno stato buono ad un altro buono o anche migliore; certi  zeli ardenti per la salute de' prossimi, che posti in esecuzione possono sortire buono o infelice esito; certi accendimenti nell'orazione che paiono santi, ma pur non costa della loro santità; e mille altre cose che hanno ottima apparenza, ma pure giustamente si teme che possano nascere da cattivo principio, o possano sortire pessimo fine. 

Or dico, che siccome il formare giudizio retto di tali spiriti dubbi è cosa difficilissima, così per essi è molto opportuna la discrezione infusa; perché per mezzo di essa riceve l'uomo luce speciale per discernere le qualità di tali spiriti, e per decidere senza errore se siano buoni o rei. E però diciamo, che questi spiriti incerti e mal sicuri sono l'oggetto proprio di questa grazia gratis data. Lo insegna chiaramente S. Bernardo (S. Bern. Sermo 32 super Cant.): e lo conferma Gersone, il quale attribuisce la discrezione di questi spiriti dubbi a quella operazione divina che non solo può discernere le qualità degli spiriti, ma può anche dividere lo spirito dalla stessa anima (Gers. Tract. de prob. spir.), benché in realtà sia con esso lei una stessa cosa in sostanza. 


§. III. 

 24. Dissi, che la discrezione di tali spiriti si fa per mezzo di un giudizio retto, regolato da una luce straordinaria, con cui Iddio rischiara la mente dell'uomo discreto. Ma qui si può cercare, se questo giudizio discernitore sia certo ed infallibile, o aia incerto e soggetto ad errore. Risponde a questo dubbio il padre Suarez (Suar. De grat. par. 1. prolegomenon 3, cap. 5, num. 42.) dicendo, che non è un tal giudizio formalmente certo ed infallibile; perché una tale infallibilità non può provenire se non che o dalla evidenza, o dalla fede; e né l'uno, né l'altro compete al predetto giudizio: non è evidente, perché sebbene decide circa le qualità degli spiriti, non li vede però chiaramente in sé stessi: non è atto di fede, perché sebbene si muova dalla luce divina, non si muove però dalla parola di Dio; e giudica degli spiriti, non perché abbia da Dio alcuna rivelazione delle loro qualità, ma solamente per quel merito che in essi scorge. Distingue l'Angelico due specie di profezia (quaest. 171, art. 5). Una perfetta, per cui conosce il profeta le cose future per rivelazione espressa che riceve da Dio, e però forma delle verità rivelate un giudizio certo ed infallibile; l'altra imperfetta, che più propriamente dee dirsi istinto profetico. per cui conosce il profeta le cose segrete, non per divina rivelazione, ma solo per un certo lume che Iddio gli dona, né egli in questo caso può essere certo e sicuro della verità delle cose che intende, perché non sapendo di certo se la luce che lo muove provenga da Dio o da altra cagione fallace, né, pure può esser sicuro della verità di quegli oggetti che per mezzo di una tal luce gli si manifestano. 

Ed infatti sbagliano tal volta gli uomini santi in questa specie di profezie meno perfette, come dicono S. Gregorio (S. Greg. In Ezech. homil. L) e Riccardo di S. Vittore (Rich. In cant. par. 2, c. 33). Applicando ora la dottrina al caso nostro dico, che la discrezione degli spiriti non è come la profezia perfetta, perché l'uomo discreto non ha da Dio rivelazione alcuna circa gli spiriti di cui forma giudizio, ma circa essi ha solo un certo lume e un certo istinto molto simile all'istinto profetico; e però non può avere circa la rettitudine o pravità di detti spiriti una sicurezza infallibile: onde non può il giudizio ch'egli ne forma, essere formalmente certo e sicuro. 

 25. Con tutto ciò aggiunge il sopraccitato dottore (Suarez), che un tal giudizio discernitore degli spiriti, se sia regolato dalla luce particolare dello Spirito santo, è materialmente certo ed infallibile: perché sebbene la persona che giudica non può esser sicura di coglier nel vero per mancanza di motivo infallibile nel giudicare, nondimeno il suo giudizio è certo per cagione del principio che internamente la muove; non potendo lo Spirito santo eccitarci a giudicar falsamente né spingerci a pronunciare alcun errore (Suar. De grat. part. I. prologomenon 3, cap. 5, num. 43.). Questo pare che sia anche il sentimento di S. Bernardo (S. Bern. Sermo 17 super Cantica) né faccia ombra al lettore quella parola “cum loquitur spiritus»; perché per locuzione di spirito intende S. Bernardo, non solo la parola espressiva di Dio. ma qualunque mozione speciale che faccia Iddio nell'intimo dello spirito. 

§. IV. 

 26. Dissi, che si appartiene alla grazia gratis data della discrezione non solo formar retto giudizio degli altrui spiriti, ma anche del proprio. 

Si noti però, che diverso è il modo, con cui la persona discreta discerne i movimenti del proprio spirito, che degli altrui: poiché dice S. Gregorio, che le anime buone distinguono le proprie operazioni sante e divine, dalle diaboliche e dalle umane, per un certo sapore di spirito che ne fa loro sentire la diversità (S. Greg. Dialosi, lib. 4, cap. 48). Lo stesso conferma Gersone, dicendo, che per mezzo di quest'interno sapore si dileguano le tenebre di ogni dubbiezza, e l'anima si assicura dello spirito buono (Gers. Tract. de prob. spir.). Il che però si deve intendere, in caso che abbia l’anima altre volte gustato lo spirito vero del Signore: perché essendo questo tanto dissimile dallo spirito umano e diabolico; quanto è diverso il bianco dal nero, e la luce dalle tenebre, è facile, a chi lo ha molte volte sperimentato, il discernerlo da ogni altro spirito falso o adulterato. Ma questo è ordinario (prescindendo da qualche caso particolare che potrebbe darsi) non sarebbe vero, se la persona non avesse provato mai lo spirito di Dio retto e verace. Parlando poi degli spiriti altrui, dico che questi non si possono conoscere per via di sapore; perché niuno può esperimentare, o gustare ciò che si fa nell'intimo degli altrui cuori. E però la discrezione di questi unicamente dipende da quel giudizio retto di cui abbiamo parlato di sopra, e dalla luce infusa che regoli un tal giudizio acciocché vada a ferire nel vero. E qui voglio avvertire le persone spirituali, che sebbene sentono alle volte da una certa soavità di spirito accertarsi che Iddio opera in loro, non lascino di consigliarsi con uomini dotti, e specialmente con i loro padri spirituali, e di regolarsi in tutto col loro parere: perché la sicurezza che provano non è tale che non possa soggiacere a qualche sbaglio. S. Teresa in un suo rendimento di conto ad un suo confessore, gli dice, che in alcuni giorni in cui trovavasi molto raccolta in Dio, se si fossero uniti contro di lei tutti i santi e letterati del mondo, e l'avessero posta al cimento d'ogni più fiera carneficina per farla credere che delle sue rivelazioni fosse autore il demonio e non Dio, non ve l'avrebbero potuta indurre. Indi soggiunge, che non ostante tanta certezza, non avrebbe mosso una mano sopra il comando o consiglio di chi la dirigeva (Vita della B. M. Teresa del P. Francesco Riviera lib. 4, cap. 26.). Questo è il vero modo per assicurarsi di non sbagliare. Perciò ii citato p. Suarez parlando di queste stesse persone devote, che possono per un certo sapore interno discernere la qualità del proprio spirito, avverte, che devono anch'esse, per procedere con sicurezza, soggettarsi all'altrui giudizio: perché a cagione dell'affetto che tutti portiamo alle cose nostre, possono più inclinarsi ad una parte che all'altra, e rimanere deluse (1Cor 2,15). 

§. V. 

 27. Confesso, che la discrezione che abbiamo fin ora dichiarata, essendo grazia gratis data, può da Dio compartirsi anche a persone macchiate di colpa grave; perché, come dice l'Angelico, non ripugna che questa specie di grazie si conferiscano anche ad anime ree. Così può Iddio per il bene spirituale di alcune persone semplici, dare al loro direttore, benché egli sia di mala coscienza, luce straordinaria con cui discerna le qualità o buone o cattive dei loro spiriti, acciocché rettamente le guidi per la via della salute e della cristiana perfezione. Dico però, che ciò d'ordinario non accade; ma che quasi sempre questa grazia si concede da dio a persone spirituali, che tali siano non solo in quanto al dono di conoscere, ma anche in quanto alla vita. Così S. Paolo nel sopraccitato testo parlando di quelli che avevano la grazia della discrezione degli spiriti, chiamati spirituali, o profeti: e siccome non si dà di ordinario per questi la grazia della profezia se siano peccatori, così neppure a quelli il dono della discrezione (1Cor 14, 37). Anzi torna più volte nella stessa epistola ad inculcare questa verità (1Cor 2, 15): lo spirito è quegli, a cui si appartiene il giudicare tutte le cose, e conseguentemente anche quelle che sono nascoste nel cuor dell'uomo (1Cor 2,10): lo spirito solo giunge a penetrare con guardo puro tutte le cose, anche le più profonde che sono in Dio; quanto più dunque sarà abile a penetrare nel fondo de' nostri cuori? E più chiaramente al mio proposito (1Cor 2, 14): l'uomo carnale non è capace di conoscere lo spirito divino, e per conseguenza di differenziarlo dal diabolico e dall'umano. E la ragione di questo è manifesta: perché per ricevere quella luce speciale pura che con la grazia della discrezione s'infonde, si richiede tranquillità di mente, purità di coscienza, e dominio sulle proprie passioni; doti tutte, di cui son prive le anime peccatrici. 

E questa è appunto la ragione che apporta San Tommaso laddove parlando delle profezie dice, che potendosi concedere ai peccatori, pure accade molto di rado che loro si conferiscano. 

28. Del resto poi è indubitato, che nella chiesa di Dio vi sono state sempre anime pure che hanno posseduto per infusione di grazia la discrezione de' propri, e degli altrui spiriti. S. Girolamo asserisce. che nel popolo ebraico v'erano sacerdoti di cui era officio di discernere quali fossero i profeti veri, quali i falsi; quali i detti che si pronunziavano per impulso divino, e quali quelli, che si proferivano per istinto umano o demoniaco (S. Hieronym. lib. 2, in cap. 3 Isaiae): sicché è molto probabile, che molti di essi avessero di un tale discernimento il dono infuso. Se vogliamo parlare della legge evangelica, tanti sono quelli che hanno ricevuto da Dio questo dono dichiarato in primo luogo, che non è possibile trovarne il numero. Santa Maria Maddalena de' Pazzi vedeva i pensieri che le sue novizie ravvolgevano per la mente, e i difetti in cui erano incorse: e questo era sì noto a tutto il monastero, che non osavano le religiose, specialmente quelle che erano state sotto la di lei custodia, presentarsele avanti senza aver prima esaminata la propria coscienza; e stando poi alla sua presenza tenevano ben custodita la mente e il cuore, acciocché non vi sorgesse pensiero di cui avessero ad arrossirsi, sapendo ch'ella li penetrava. Santa Caterina da Siena mirava i pensieri de suoi domestici, e palesava loro i secreti del cuore con tal chiarezza con cui un altro scoprirebbe ad un amico i sentimenti del proprio cuore. 

E Il padre Raimondo suo confessore riferisce che volendole ricoprire un suo difetto interno di cui ella dolcemente lo avvertiva, perché, dissegli la santa, volermi nascondere una cosa che io veggo più chiaramente di quello che la vediate voi stesso? In quest'ultima nostra età il venerabile San Giuseppe da Copertino vedeva anche egli le colpe di cui erano macchiati quelli con cui trattava, e quelli con cui casualmente si imbatteva per istrada, e fino le specie particolari dei peccati dei quali erano contaminati; e soleva ammonirli con dire: vatti a lavare la faccia: volendo loro significare che si andassero a lavare col sangue di Gesù cristo nella sacramentale confessione. 

E però alcuni suoi amici trovandosi talvolta rei di qualche colpa non si arrischiavano di accostarsi alla sua cella, se prima non erano andati ai piedi del confessore a ripulire le proprie coscienze. Sebbene, che serve allungarsi più nella narrazione dl tali grazie, di cui sono piene le sacre storie? 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS