Si espongono i mezzi per cui il direttore può acquistare la predetta discrezione degli spiriti.
§. V.
48. Quinto mezzo: che il direttore non si affezioni soverchiamente ai suoi penitenti; altrimenti deciderà sempre a favor loro, mosso più dall'affetto che dalla ragione; né certamente sarà sempre retta la sua decisione. Già si sa, che non può dar giusta sentenza un giudice appassionato: perché, come dice Cornelio A-Lapide, spiegando il detto di Malachia (Malach. 3, 3), l'uomo giudica secondo l'affetto; e secondo l'inclinazione dell'animo o benevolo, od avverso ascrive a vizio ciò ch'è atto di vera virtù; od attribuisce a virtù ciò ch'è vizio abominevole (Cornel. A- Lap. in textu).
49. Per questo stesso motivo non deve mai prendere alcun'anima sotto la sua direzione per alcun lucro temporale che glie ne possa risultare: perché se grande è la forza che ha l'interesse di corrompere i giudici terreni, non l'ha minore in alterare il parere de' giudici spirituali delle anime. S. Bernardo scrivendo al pontefice Eugenio, con formole di gran lode gli riferisce un fatto illustre del cardinale Martino, Questi, terminata la legazione di Danimarca, tornava in Italia, ma sì sprovveduto di danari e di cavalli, che giunto a Firenze non aveva modo di proseguire il suo viaggio. Il vescovo della città gli donò un cavallo. E perché aveva una lite con un suo avversario il giorno seguente si portò in Pisa, dove erasi portato il porporato, e lo pregò del suo voto a favore della propria causa. Il santo cardinale in sentire che aveva ricevuto un donativo da persona sopra cui aveva a dire il suo parere e proferir sentenza: mi hai ingannato, gli rispose, io non sapeva che tu avessi questa lite; ripiglia il tuo cavallo che sta in istalla: ed ordinò che tosto gli fosse restituito (S. Bern. De Consid. lib. 4. cap. 5). L'istessa lode fa il santo di Gaufrido anch'esso legato apostolico, narrando di lui esempi singolarissimi di disinteresse in ricusare qualunque benché minimo donativo: ed afferma di lui che poteva dire con Samuele allorché rinunziò la giudicatura del popolo: se v'è alcuno dalle cui mani abbia io ricevuto qualche dono, parli pure, mi accusi, che io son pronto a fargliene intera restituzione (Ibid.). Finalmente conclude con queste notabilissime parole: Oh se avesse molti di questi ministri la santa Chiesa! a questi vorrei palesare tutti i miei pensieri, a questi vorrei svelare tutti gli arcani del mio cuore, nelle mani di questi vorrei tutto abbandonarmi come ad un altro me stesso. Oh quanto mi terrei sicuro sotto tali custodi e direttori della mia vita! Oh quanto mi riputerei beato! (Ibid.). Tanto è vero che il procedere con totale disinteresse nella direzione delle anime dà sicurezza ai direttori, e quiete alle anime dirette circa il regolamento delle proprie coscienze. E però chi desidera formare degli spiriti altrui retto giudizio, e dar loro buono indirizzo, altra mira non deve avere nel suo sacro ministero, che il profitto delle anime e la pura gloria di Dio; né deve nutrire nel cuore affetto alcuno soverchio che gli alteri la estimazione.
§. VI.
50. Sesto mezzo sia, che il direttore abbia un intelletto addottrinato, ma non sofistico. Io non nego che le scienze speculative, e specialmente la teologia sia il fondamento a cui si appoggia tutta l'ascetica e la mistica, e che senza di essa non possano acquistarsi con perfezione queste due facoltà. Dico solo, che il teologo, volendo esaminare le opere dello spirito, non debba essere troppo riflessivo, e quasi pretendere di ridurne le cose a dimostrazione; altrimenti non formerà mai un giudizio pratico, saggio e discreto. Osserva il p. La Croix nella sua morale, che lo stesso acume della mente, e lo stesso sapere è ad alcuni teologi d'impedimento ad udire le confessioni anche ordinarie, e a giudicare rettamente delle altrui coscienze: perché con le loro soverchie sottigliezze, ed acute riflessioni imbrogliano sé, e confondono i loro penitenti (Claud. La-croix -Theol. morat. lib. 6. p. 2, n. 1787).). Procuri dunque il direttore di esser bene addottrinato nelle scienze sacre. Dovendo poi decidere circa gli altrui spiriti, non si curi di troppo sottilizzare, né sia incontentabile, per non dare in cavilli ed in sofisticherie: ma quando avrà sufficientemente conosciuto essere le altrui operazioni o conformi o difformi alle massime della fede e delle regole della cristiana morale, proferisca il suo giudizio ed applichi il suo regolamento; ricordandosi, che il giudizio della discrezione non ha da essere evidente, ma umano, ma ragionevole, cioè appoggiato a motivi ragionevoli.
51. Inoltre, se brama avere il direttore buon discernimento degli spiriti, è necessario che non si muova a giudicare dalle ragioni terrene, ma dalle divine: perché dice il Crisostomo: non v'è cosa peggiore che dar sentenza circa le cose spirituali dipendentemente dalle ragioni umane (S. Io. Chrys. Hom. 25 [in edit. maurina ad. 24] In Joan.).).
Ho osservato più volte, che molti confessori, anche dotti, si recano a punto di riputazione il non credere cosa alcuna di quelle, che nella linea soprannaturale hanno dello straordinario, o sia visione, o sia rivelazione, o sia estasi, o sia altra comunicazione di spirito: e, ciò che è peggio, si vantano di questa loro miscredenza, come se il dar fede ad alcune di queste cose fosse una semplicità, e il non crederne alcuna fosse una grande avvedutezza, ed una grande prudenza. Chi si regola con queste massime umane. anzi erronee, non è possibile che abbia la discrezione degli spiriti: perché è cosa certissima che questo spirito straordinario vi è stato sempre nella Chiesa di Dio, e sempre vi sarà.
G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS
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