Si dice qual sia la discrezione degli spiriti, in quanto è virtù acquistata con arte e con industria; e l'obbligo, che hanno i direttori di conseguirla.
§. I.
29. Dissi, che sono piene le sacre storie di quelli ai quali per divina virtù era concesso di penetrare con lo sguardo della mente nei segreti gabinetti delle altrui coscienze per discoprirne gli occulti moti, o che almeno potevano dare di tali movimenti retto giudizio per mezzo di una luce molto straordinaria infusa dallo Spirito santo nella lor mente. Ma pure se si mettono a paragone di quelli che san tenuti per obbligo del proprio impiego a discernere degli altrui spiriti le qualità, sono rarissimi. In quest'obbligo si trovano i padri spirituali e i direttori che si prendono a proprio carico la guida delle anime; non essendo possibile di condurle sicuramente per la strada della salute e della perfezione, se non conoscono da qual principio procedono i pensieri delle loro menti e gl'impulsi de' loro cuori, e per questa via non giungono a conoscere se siano buoni o rei. Perciò in supplemento della discrezione infusa che dal divino spirito gratuitamente si dona a pochi, è necessaria un'altra discrezione che possa acquistarsi da tutti e sia comune a tutti, giacché a tutti i confessori è comune la direzione delle anime. E di questa appunto parleremo in avvenire, insegnando il modo con cui possa dai direttori conseguirsi.
30. La discrezione dunque degli spiriti acquistabile con industrie, consiste in un giudizio retto che formiamo degli altrui spiriti dipendentemente dalle regole e dai precetti che ci sono somministrati dalle sacre scritture, dalla S. Chiesa, dai santi padri, dai sacri dottori, dalla esperienza dei santi, e dipendentemente dal lume della propria prudenza.
Che diasi una tal discrezione da potersi conseguire da ciascuno, non se ne può dubitare; perché chiaramente ce l’insinuano le sacre scritture.
Il diletto discepolo ci avvisa, che non vogliamo credere agli spiriti senza farne prima la prova se siano da Dio (1Gv 4,1). L'apostolo San Paolo ci esorta a non andare alla cieca, ma a provare tutte le cose, e ad abbracciare solo quelle che al cimento delle prove si scorgono buone, ed a rigettar quelle che si scoprono cattive (1Ts 5, 21-22). Or cosa sono queste prove che tanto ci s'inculcano nelle sacre carte, se non che esami industriosi circa le azioni dipendentemente da precetti e da regole prese dalle sacre fonti delle divine scritture? Certo è che il dono della discrezione infusa non ha bisogno di prove tanto squisite: a chi ha la discrezione per grazia gratis data, basta che veda le altrui operazioni, o che gli siano palesati i moti de' loro cuori, acciocché possa decidere sulle qualità buone o male de' loro spiriti: perché la luce straordinaria che Iddio gli dona, supplisce alle umane diligenze.
al Redentore stesso dopo averci avvertiti a guardarci dai falsi profeti che al di fuori hanno sembianza di pecore, e al di dentro sono lupi rapaci (Mt. 7, 15-16): li conoscerete dalle loro operazioni, cioè esaminando accuratamente le loro azioni: il che non può farsi senza riflettere se tali opere concordino con le regole di ogni rettitudine e santità, o pur da quelle discordino. Aggiungo, che Gesù Cristo non diede questo saggio avvertimento solo ad alcune persone straordinariamente illuminate: lo diede a tutti. Sicché tutti possono avere un tale discernimento, non certamente per dono, perché questo è di pochi: dunque per arte e per industria.
31. Questo volle significare l’esimio dottore padre Suarez laddove parlando della discrezione degli spiriti disse egregiamente. che da una parte tutti siamo esortati a provare gli spiriti: dall'altra parte la discrezione gratis data non si comparte a tutti: dunque siamo esortati a procurare con umana diligenza un discernimento moralmente certo non solo tra lo spirito vero o falso, ma buono o cattivo, buono, migliore, sicuro o pericoloso: il che si ottiene dai maestri di spirito per mezzo delle regole che s'assegnano da uomini spirituali e dotti, le quali, sono tutte fondate nella sacra scrittura, nella tradizione, nella dottrina della Chiesa cattolica e de' santi padri, nella esperienza de' santi, nella retta ragione illustrata dal lume della santa fede (Suar. De grat. par. 1. prolegomen 3, cap. 5, n. 40).). Il che è tutto quello che abbiamo dianzi esposto.
32. Quindi segue, che la discrezione di cui ora parliamo, e di cui cagioneremo nel progresso del libro, non è dono, ma virtù acquistata con le proprie diligenze. Segue ancora, che i giudizi che circa gli spiriti forma questa virtù discernitiva non sono infallibili; perché sebbene sono infallibili le regole e i documenti che si danno per ben giudicare, come quelli che sono presi dalle sacre carte e da' santi dottori della chiesa. non è però infallibile che essa applichi rettamente i suoi giudizi ai detti insegnamenti. Al più potrà dirsi, che avranno una certezza morale e pratica, come dice il citato dottore, in quanto saranno fondati in ragioni che chiaramente mostrino la conformità con le dette regole, onde non si possa senza imprudenza giudicare il contrario.
§. II.
33. E qui rifletta il direttore all'obbligo grave che gli corre in coscienza di procacciarsi ad ogni costo una tale discrezione degli spiriti, senza cui non è possibile ch’egli non era frequentemente nel reggimento delle anime, non senza grave loro pregiudizio. Che diremo noi di un uomo che si mettesse a curare gli infermi, senza aver mai apprese quelle regole per cui si viene in cognizione de' mali che assalgono i corpi umani, né avesse mai acquistate quelle notizie per cui una infermità si distingue dall'altra, onde possa applicarsi a ciascuna un proporzionato rimedio?
Non diremmo noi ch’egli è inetto per un tale ministero? ch'egli è temerario in intraprenderlo? anzi che egli pecca esercitando un tal impiego; mentre invece di sanare i malati, si pone ad un evidente rischio di dar loro la morte.
E questo è appunto il caso nostro. Un direttore che non ha acquistata una sufficiente discrezione degli spiriti, non può conoscere da quali cagioni provengono gl'impulsi e movimenti de’ nostri animi, se da Dio, se dal demonio, se dalla nostra guasta e corrotta natura; il che allora è più vero, quando le mozioni interiori sono straordinarie, come accade sovente alle persone contemplative.
Onde si espone a manifesto pericolo di approvare ciò che è degno di biasimo, di biasimare ciò che è degno di approvazione, e di prescrivere regolamenti storti, per cui invece di promuovere le anime alla perfezione ponga loro impedimento, o forse le avvii per la strada della perdizione.
Quindi s'inferisca che non può esimersi da qualche nota di temerità e da qualunque macchi di colpa, chiunque si pone a fare il padre spirituale delle anime senza aver acquistata la debita notizia e discernimento degli spiriti: molto più se si esponga per confessare nei monasteri delle religiose, tra le quali sempre molte ve ne sono che attendono seriamente alla perfezione, e sempre se ne trova alcuna che Dio conduce per vie straordinarie, né può con altri che con lui conferire i movimenti del suo cuore.
34. S. Tommaso due ignoranze riconosce nell'uomo ambedue peccaminose: una la chiama diretta, ed è quando quello appostatamente non vuole intendere ciò che è obbligato a sapere; l'altra la nomina indiretta, ed è quando egli, o per sfuggire la fatica o per distrarsi in altre occupazioni, trascura di apprendere ciò che è tenuto in coscienza ad imparare: e parlando di questa seconda ignoranza che fa al caso nostro, conchiude che essa non riscusa dal peccato (S. Thom. 1-2, quaest. 76. art. 3). Dunque non può scusarsi da peccato un confessore che non procura di acquistare quei lumi che sono necessari ad un retto conoscimento degli spiriti: perché a questo l'obbliga il suo impiego, e la carità, mentre gli vieta di esporsi a pericolo di errare in materia di sì gran rilievo.
35. Ma più strettamente S. Agostino, al proposito nostro, dice che il mancare alla debita carità sempre è peccato, o tal mancanza possa evitarsi, o pur non si possa (supponendo però, che siasi di prima data occasione colpevole al mancamento presente); perché, dic'egli, se il diletto può fuggirsi, la colpa sta nella volontà presente se non può sfuggirsi, il peccato sta nella volontà passata (S. August. Lib. de perfect. justit. Cap. 6). Dunque, se un direttore erra con pregiudizio altrui, pigliando uno spirito cattivo per buono, o uno buono per cattivo, pecca ancorché non abbia volontà di peccare: pecca, dico, non per la volontà che ha presentemente: ma per la volontà che non ebbe di approfittarsi a sufficienza prima di esporsi a tali esami. E se di ciò il lettore brama aver ulteriore ragione, gliela darà S. Giovanni Crisostomo, dicendo che non può andare esente da colpa, e forse dalla dannazione chi avrebbe avuto modo di ritrovare il vero se avesse avuto volontà di cercarlo (S. Joan. Chrys. Op, imp. in Matth. Hom. 44.) con uno studio proporzionato al suo ministero. Acciocché dunque non accada ad alcun direttore sì grave male, ma possa ciascuno esattamente adempiere gli obblighi strettissimi del suo sacro impiego: esporrò nel seguente capitolo i mezzi per cui si può conseguire quella discrezione che è tanto necessaria per la buona condotta delle anime.
G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS
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