La assoluta gratuità della redenzione
San Paolo dichiara che noi siamo stati « giustificati » gratuitamente, per puro favore di Dio, che abbiamo, cioè, ricevuto il perdono delle nostre colpe e la santificazione della nostra anima. Ma egli precisa pure che la salvezza ci fu concessa al prezzo del sangue di Cristo, che vi è stato un sacrificio di espiazione che ci ha valso il riscatto. Come parlare, allora, di una assoluta gratuità della salvezza? Esigendo il sangue di Cristo, il Padre non ha forse sminuito la liberalità del suo perdono?
Abbiamo già osservato che l'espiazione fornita da Cristo non aveva per nulla il carattere di una punizione. Il sacrificio di un innocente, nel quale non si può riconoscere un effetto dell'ira o della giustizia vendicatrice di Dio, bensì una riparazione per le colpe dell'umanità che Gesù offre al Padre, liberamente e per amore. Il Padre, si, obietterà, avrebbe potuto cancellare il peccato senza richiedere quella tragica soddisfazione, e la sua magnanimità, esercitandosi senza la richiesta di una contropartita, sarebbe stata maggiore.
Basta richiamarsi al principio che regge le nostre relazioni col Padre, per poter affermare che l'esigenza della riparazione si spiega con un più grande amore. Non per sé, ma per noi e a nostro vantaggio il Padre ha posto quest'esigenza. Il fatto che un uomo riparasse l'offesa commessa da un altro uomo, offrendo al Padre un omaggio d'espiazione il cui valore avrebbe di gran lunga superato l'importanza dell'oltraggio, tornava ad onore dell'umanità, la quale usciva riabilitata e innalzata in dignità dalla meravigliosa offerta del Calvario.
Questa dignità ritrovata in Cristo ci permetterà di associarci positivamente alla riparazione per farla nostra in modo più concreto e più individuale. In virtù della soddisfazione offerta da Cristo, noi acquisteremo la capacità di offrire al Padre una soddisfazione che gli è gradita, un omaggio d'amore che supera la forza delle offese commesse. Nel sacrificio del Calvario il Padre voleva appunto fondare questa capacità degli uomini a riparare il male.
Per meglio comprendere il significato di questa prova d'amor paterno consideriamo un aspetto dei rapporti sociali del secolo scorso. La classe lavoratrice non accettò che si sostituisse a delle relazioni di giustizia le cosiddette relazioni di carità, supplendo con la beneficenza all'inadeguatezza dei salari. Il lavoratore si sentiva offeso nella sua dignità umana quando si voleva « fargli la carità » invece di rimunerare il suo lavoro. Infatti, un sistema di generose gratifiche o di beneficenze significava, in fondo, non riconoscergli la capacità di guadagnarsi la vita col lavoro, e ciò non poteva essere considerato che ingiurioso.
Passiamo ora all'ordine soprannaturale della redenzione: il Padre non ha affatto voluto istituire un regime di semplice beneficenza, ma ha espressamente deciso di riconoscere agli uomini la capacità di collaborare effettivamente al conseguimento della loro salvezza. Vi è indubbiamente una differenza fondamentale tra questa situazione e quella sociale, perché l'opera della redenzione è caratterizzata dalla sua assoluta gratuità, non avendo gli uomini alcun diritto al regime di grazia che fu loro elargito. Ma anche nella struttura di questo regime il Padre ha voluto far posto all'attività umana, darle la possibilità di contribuire alla riparazione del peccato e al trionfo dell'amore. Perciò ha posto alla base della santificazione dell'umanità e della sua riconciliazione con Dio il sacrificio riparatore di Cristo, di cui tutti avrebbero beneficiato e a cui tutti sarebbero stati invitati a partecipare. Se il Padre ha richiesto questa « soddisfazione », lo ha fatto a vantaggio dell'umana dignità, al fine di porre nell'uomo una nobiltà che combatte e vince il peccato.
Ma il sacrificio di Cristo non era soltanto destinato a rendere gli uomini capaci, a loro volta, di riparazione; doveva essere anche un incitamento e uno stimolo a questa riparazione. Senza la morte espiatrice di Gesù noi avremmo difficilmente compreso la gravità del peccato e quella delle nostre colpe morali. Se il Padre avesse perdonato senza chiedere riparazione alcuna, saremmo stati indotti a pensare che il peccato era poca cosa e tentati di indulgere facilmente ad ogni trasgressione dei comandamenti divini. Ma nel Cristo sofferente sulla croce noi scopriamo l'immensità del peccato. La grandezza della riparazione testimonia per noi la grandezza dell'offesa. Il fatto che il Padre abbia offerto il proprio Figlio in un sacrificio tosi crudele ci illumina sulla portata dell'oltraggio costituito dal peccato. La croce rimane dunque l'insegnamento più eloquente sia sull'importanza del peccato, sia sulla necessità di rendere al Padre l'omaggio dovuto, omaggio che va fino al sacrificio totale. Mettendoci sotto gli occhi per sempre il Figlio crocifisso, il Padre ha voluto mostrarci in maniera decisiva fino a qual punto il male doveva essere allontanato dalla nostra vita e fino a qual punto l'obbedienza e l'amore ad abitare in noi.
È dunque unicamente per sollecitudine del nostro bene, per puro amore, che il Padre ha voluto il sacrificio di Cristo. Se un prezzo è stato pagato per la nostra salvezza, nessun profitto andava evidentemente al Padre, poiché la sua perfezione divina non poteva in alcun modo essere potenziata: il beneficio era tutto per noi. E a completa dimostrazione delle. totale gratuità della nostra salvezza dobbiamo aggiungere che il prezzo è stato pagato dal Padre, da lui è stato versato il riscatto per la nostra libertà. Prezzo e riscatto non potevano essere più elevati: il dono del proprio Figlio. Sotto la forma di uno scambio in cui egli esigeva una contropartita, il Padre nascondeva dunque una bontà più generosa- e più gratuita, poiché forniva egli stesso il compenso nella persona e nel sacrificio del proprio Figlio. Nel dramma del Calvario egli appare dunque, innanzi tutto, come colui che ci dona Cristo, e che lo dona fino all'estremo limite, prima di apparire come colui che riceve la riparazione. Aveva dato per primo ciò che avrebbe poi ricevuto.
Perciò nella riparazione istituita a nostro beneficio, e così onerosa per il cuore del Padre, dobbiamo riconoscere il suo dono più sublime. Per san Paolo essa era l'ultima parola dell'amore, l'atto definitivo che ci garantiva per sempre la benevolenza del Padre e una sicurezza assoluta per l'avvenire. « Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Egli che non risparmiò il suo stesso Figlio, che lo offerse per tutti noi, non ci darà dunque con lui tutto il resto? ». Alludendo al Padre che non ha risparmiato il suo stesso Figlio, egli ricordava la parola di Dio ad Abramo, in occasione del sacrificio di Bacco: « Tu non mi hai rifiutato il figlio tuo, il tuo unigenito ». Ma nell'episodio dell'Antico Testamento era un uomo che si sacrificava a causa di Dio; qui, invece, è Dio che si sacrifica per gli uomini.
L'atto compiuto da Abramo sulla montagna di Moria aveva tutte le apparenze della crudeltà: e tuttavia era Abramo che soffriva più profondamente il dolore dell'immolazione. Prima ancora di alzare la spada egli aveva immolato il suo cuore paterno. Così, sotto l'apparenza della crudeltà che si potrebbe attribuire al Padre celeste che manda a morte il Figlio, vi è in realtà un cuore paterno che non risparmia se stesso quando, sul Calvario, offre in sacrificio il suo affetto più caro.
Proseguendo nel paragone con Abramo, il dono del Padre celeste appare più completo e più assoluto. Il gesto di Abramo era stato fermato nel momento in cui stava per colpire Isacco; ma nessun angelo avrebbe potuto fermare il gesto del Padre celeste che destinava il Figlio suo ad una morte reale. Perfino la straziante preghiera dell'agonia: « Abba, Padre, tutto è possibile a te; allontana da me questo calice », non interromperà il corso degli avvenimenti che condurranno Gesù al supplizio; il Padre voleva dare agli uomini fino all'ultimo palpito del suo amore paterno.
Ancora nel Vangelo noi leggiamo con commozione la supplica ardente di quel padre che temeva di perdere il figlio: « Vieni, Signore, prima che il mio figliolo muoia ». E la pronta risposta di Gesù: « Va, tuo figlio vive ». Mediante il miracolo operato istantaneamente da Cristo, il Padre era venuto in soccorso dell'infelice di cui comprendeva l'angoscia. Ma egli non avrà per sé pietà alcuna, e sacrificherà sino all'estremo il suo affetto paterno.
Le parole che i nemici grideranno a Gesù crocifisso: « Ha salvato gli altri, e non può salvare se stesso », potrebbero applicarsi al Padre: egli, che all'ultimo momento aveva risparmiato Abramo e che con la parola di Cristo aveva operato il miracolo che conservava al padre la vita del figlio diletto, non risparmierà a se stesso tale sacrificio. E quando quei nemici riprenderanno ironicamente le parole del salmista: « Ha posto la sua fiducia in Dio; che egli lo liberi adesso se lo ama! », essi colpiranno nel punto più sensibile il cuore del Padre. Non vi è nulla di più forte dell'amore del Padre per il Figlio; e tuttavia il Padre non libera ora Gesù dal supplizio della croce, perché ama troppo gli uomini e vuole immolare per essi il suo affetto più prezioso.
A ragione, dunque, san Paolo si vale dell'episodio del Calvario per dimostrare che il Padre era legato a noi in modo definitivo dal suo amore e che, avendoci donato il Figlio, non poteva rifiutarci più nulla: « Non ci darà dunque con lui tutto il resto? ».
Di Jean Galot s. j.
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