Caratteri dello spirito divino circa i moti o atti del nostro intelletto.
§. I.
60. Bisogna che io fin dal principio avverta il direttore, che non basta un carattere solo di quelli che esporrò nel resto di questo libro, per decidere, se lo spirito proprio, o l’altrui, sia santo oppure perverso: perché siccome una rondine che si vegga andare vagabonda per l’aria, non è segno bastante a decidere che già regni tra noi la primavera: una hirundo non facit ver; così un carattere buono che si scorga nelle azioni di alcuno non è indizio bastevole a definire che in lui regni lo spirito buono, e viceversa, un carattere non buono non sarà sempre contrassegno sufficiente a dire che vi domini lo spirito pravo: ma per stabilire un giudizio retto e giusto (come ci insegna Gersone) vari caratteri si richieggono, almeno tanti che bastino a formare un prudente giudizio di un tal spirito (Gers. Tract. de prob. spir..). Bisogna anche avvertire, che i contrassegni che in avvenire daremo per la discrezione degli spiriti, servono e per quelle mozioni che accadono in modo ordinario, come quando per interna inspirazione siamo incitati al bene, o per istigazione maligna siamo spinti al male: ed anche per quegl'impulsi che succedono in modo straordinario, come quando Iddio ci suggerisce alcuna cosa per via di visione, di locuzione, o per la luce di qualche altra straordinaria contemplazione; o come quando il demonio c'insinua qualche falsità per viste o per parole ingannevoli, o per altri modi non naturali, ed insoliti. E però potranno tali segni servire allo scoprimento di qualunque sorta di spiriti. Posto questo, vediamo ora quali siano i caratteri per cui le cognizioni che muove Iddio, si distinguono da quelle che ingerisce il demonio.
§. II.
61. Primo carattere dello Spirito divino circa le cognizioni della mente. Lo spirito divino sempre insegna il vero, né può in alcun caso suggerire il falso: perché Cristo stesso ci ha assicurati di propria bocca, ch'egli è spirito di verità. “Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza” (Gv.15, 26). E di nuovo torna il Redentore ad inculcarci, che essendo lo spirito divino spirito di verità, non può insegnarci se non il vero (Gv.16, 13). Giustissimamente, dice Cornelio A-Lapide, compete al divino spirito l'essere spirito di verità; perché egli è la sorgente da cui sgorga ogni verità, e che quasi per rivoli diffonde sopra di noi tutte le verità schiette e pure le quali ci conducono all'eterna salute, e che ci libera da tutti gli errori e da tutte le falsità le quali ci impediscono il conseguimento dell'eterna felicità (Cornel. A.Lap. In Joan. 14, 17).
62. Quindi segue, che qualunque pensiero ordinario o rivelazione straordinaria che in qualche modo si opponga a qualche detto della Sacra Scrittura, o a qualche definizione de' concili, o a qualche tradizione apostolica o ai sentimenti della Chiesa cattolica, non può essere suggerita da Dio, e deve riputarsi spirito falso: perché la Sacra Scrittura, come dice l'apostolo S. Pietro, è stata inspirata dallo stesso Dio.
(2Pt 1,21). Ai concili, come attesta lo stesso principe degli apostoli, presiede lo Spirito Santo (At, 15,28). Le tradizioni sono state a noi tramandate dagli apostoli, i quali le riceverono dalla bocca del Redentore.
E la santa Chiesa non può errare, perché Cristo stesso ha impetrata l'infallibilità alla fede di Pietro: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc. 22, 31,32). Dunque, ogni atto dell'intelletto che si opponga a queste regole d'infallibile verità, è bugia e menzogna; né può essere inspirato da Dio, anzi dovrà anche aversi per fallace, se sia contrario al comune sentimento de' santi padri e de' dottori che tanto furono illuminati da Dio.
§. III.
63. Carattere secondo. Lo spirito divino non suggerisce mai alle nostre menti cose inutili infruttuose, vane ed impertinenti; poiché se non converrebbe ad un re della terra parlare con i suoi sudditi di tali cose, molto più disdice al Monarca de' cieli. Perciò dice il profeta Geremia: Il profeta che ha avuto un sogno racconti il suo sogno; chi ha udito la mia parola annunzi fedelmente la mia parola. Che cosa ha in comune la paglia con il grano? La mia parola non è forse come il fuoco e come un martello che spacca la roccia? (Ger. 23, 28-29). Le mie parole, dice Iddio, sono fuoco che bruciando purifica, sono un martello che percuotendo spezza ogni durezza, che battendo stritola ogni vizio, ogni colpa, ogni difetto e lo riduce al nulla; insomma son parole di gran peso e di grande utilità.
Deduca da ciò il direttore, che se un'anima riceve nelle sue orazioni pastura di cognizioni che a niente giovano, quelle non son da Dio: se poi avesse alcune locuzioni piuttosto curiose che fruttuose, oppure visioni non indirizzate al profitto o proprio o di altrui, quelle non sarebbero certamente mandate da Dio, a cui non conviene operare senza frutto.
64. Dice Iddio in Ezechiele ai profeti falsi i quali non erano mossi da buono spirito: Hanno avuto visioni false, vaticini menzogneri coloro che dicono: Oracolo del Signore, mentre il Signore non li ha inviati. Eppure confidano che si avveri la loro parola! (Ez.13, 6) vedono cose disutili e vane, e perciò profetizzano menzogne: per significarci, ch'è una stessa cosa avere visioni infruttuose, (lo stesso dicasi di ogni altra cognizione) che aver visioni bugiarde che non traggono da buon principio l'origine. Quindi deduca il direttore qual concetto debba formare delle rivelazioni di certe donne, che sono facili a profetar sulla vita, sulla morte e sulla guarigione or di questo, or di quello; di predir l'esito de' matrimoni o di altri affari temporali. Vada cautissimo in dar loro fede, perché Iddio non rivela se non di rado, e per cose di gran profitto altrui, e di molta sua gloria.
§. IV.
65. Carattere terzo. Lo Spirito divino porta sempre luce alle nostre menti. Iddio spesso si dichiara nelle sacre scritture, ch'egli è luce senza mescolamento di tenebre e di oscurità. “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre”. (1 Gv.1,5) Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo (Gv.9, 5): «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». (Gv.8, 12). Inoltre, si protesta, che essendo egli una pura luce, ha proprietà, a guisa di sole materiale, di illuminare chiunque vive nel mondo: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv.1, 9). E volendo Gesù Cristo significare, che gli uomini non ubbidivano all’istinto di quelle cognizioni, ch'egli loro infondeva nella mente, dice, che non amavano la luce, ma le tenebre: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie (Gv.3, 19). E di nuovo torna a ripetere: Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce» (Gv.12,36); mentre avete luce di cognizione circa la mia divina persona, credete a quella luce, acciocché diventiate figli di me che sono fonte di vera luce. Tanto è vero che la luce è inseparabile da quelle cognizioni che sveglia Iddio nell’intelletto umano. Onde io credo che Sia più facile ad accadere che sorga il sole sopra il nostro emisfero senza illuminarlo, che operi Iddio nel nostro intelletto senza illustrarlo. Con questa diversità però, come dice S. Agostino spiegando le parole di S. Giovanni: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv.8, 12), che la luce del sole visibile, tramontando questo all’occasione, si dilegua dagli occhi nostri; ma la luce del sole divino invisibile, seguitando noi le sue tracce, mai non abbandona le nostre menti (S. August Tract. 34. in Ioan).
E però, come ci insegna lo stesso santo dottore, a questa luce divina dobbiamo sempre aspirare, questa dobbiamo amare, dietro questa dobbiamo andare ansiosi e sitibondi, acciocché giungiamo ad acquistarla; e vivendo con essa mai non moriamo (Ibid.).
66. Non nego però, che Iddio talvolta pone in tenebre profonde certe anime a lui dilette e care e ve le lascia lungamente immerse. Ma si avverta, che in questi casi tutta l'oscurità sta nella fantasia: a cui non passa la luce intellettuale, ma tutta si contiene nell'intelletto: e ben questa sia alle volte sì spirituale, e sì pura che non si conosce da quegl'istessi, che la posseggono; pur non lascia di regolare la potenza intellettiva, e indirizzarla a Dio. Ed infatti si vede chiaramente, che la cosa passa così: perché questi tali, benché involti fra folte tenebre, seguono come prima ad operare con molta perfezione, regolati senza fallo dalla divina luce. Da questo prenda il direttore argomento a conoscere se il suo discepolo sia nelle sue operazioni mentali mosso da Dio: mentre scorgendo in lui una mente, che proceda con rettitudine, e santità di pensieri, può credere giustamente che ivi regni il Padre de' lumi.
§. V.
67. Carattere quarto. Lo spirito divino porta all'intelletto docilità. La luce soprannaturale che operando Iddio nell'intelletto v' infonde, non lo rende attaccato alle verità ch'egli intende, né tenace del suo parere; anzi lo fa pastoso, flessibile e pieghevole agli altrui sentimenti, specialmente se il sentimento contrario al suo venga dai superiori che hanno da Dio l'autorità di giudicare. (Psal. 38,10) Non aprii la mia bocca, ammutolii perché l'hai fatto tu, diceva il santo David. E il profeta Isaia diceva (Is.50,5): Iddio mi aprì la mente, io più non contradico, né più mi oppongo. Ecco la docilità che reca lo spirito di Dio alle nostre menti. Ognun sa con quanta fierezza pigliasse Saulo ad impugnar la persona di Cristo e la sua santa legge; mentre non contento di contrariarlo con le parole, si diede ad oppugnarlo con i fatti: e mosse ai suoi seguaci aperta guerra, risoluto di sterminarli a costo di qualunque suo incomodo. E pure appena penetrò nella di lui mente un raggio della divina luce, che deposto ogni odio, subito a Gesù Cristo si arrese:
(At. 9,6) Cosa volete da me, o Signore? eccomi pronto a tutto: e incominciò tosto nella pubblica sinagoga a promulgarne le glorie. Se poi giunga la persona ad avere stabilmente e per abito, una tale flessibilità di mente, sicché non abbia più proprio parere e le sia facile soggettarlo all’altrui, porta seco un gran carattere di, santità: perché è sì grande l'inclinazione naturale che abbiamo tutti di aderire alle nostre opinioni e di difenderle contra chi osi impugnarle, che solo Iddio con la sua luce pieghevole può svellerle dalle nostre menti.
68. A questa perfezione era giunto quel devoto solitario che in vita sua non aveva mai conteso con alcuno, e né più sapeva ciò che volesse significare il nome di litigio. Invitato pertanto da un altro buon romito a contender seco circa il possesso di una certa pietra, ma solo per far prova di un tal atto litigioso a lui affatto ignoto, non poté egli mai adattarsi ad un tale contrasto: poiché ogni qual volta il compagno diceva che quel sasso era suo, egli portato dal buon abito di soggettarsi all'altrui parere, subito rispondeva che lo prendesse pure, che egli di buon grado glielo cedeva. Se poi il direttore trovasse una tale docilità di un intelletto colto, aperto, discorsivo e addottrinato, avrebbe senza fallo un carattere più chiaro di buono spirito, anzi d'uno spirito grande, per il maggiore attacco che questi sogliono avere al proprio giudizio, proceda con rettitudine, e santità di pensieri, può credere giustamente che ivi regni il Padre de' lumi.
§. IV.
69. Carattere quinto. Lo spirito divino rende l'intelletto discreto. Riccardo di San Vittore sopra quelle parole del salmo: Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia (Psal. 143, 1); riconosce in queste dita cinque doti di discrezione, che lo spirito divino conferisce con la sua luce all'intelletto umano.
Primo, giudizio giusto, con cui rettamente decida ciò ch’è lecito, e ciò che non è lecito ad operarsi. Secondo, deliberazione retta, con cui sappia conoscere tra le cose lecite ciò che ne' casi particolari è spediente, per abbracciarlo, e ciò che non è spediente, per rigettarlo. Terzo, buona disposizione, con cui alle cose spedienti che devono eseguirsi sappia dare un ordine convenevole, e contenersi ne' modi più retti, e più regolati. Quarto, saggia dispensazione per cui conosca quando nelle presenti circostanze debba temperare il rigore, o debba accrescerlo. Quinto, prudente moderazione. per cui intenda, come conforme l'esigenza del tempo, del luogo, e delle occasioni occorrenti, convenga praticar le virtù (Rich. In psal. 143).
Or se il nostro intelletto sia fornito di queste cinque doti di giudizio in decidere ciò che è lecito, di retta deliberazione in eleggerlo e buona disposizione in ordinarlo, di giusta dispensazione in temperarlo, di prudente moderazione in eseguirlo, ognun vede ch'egli possiede una perfetta discrezione, mentre discerne con tutta rettitudine le opere che hanno da intraprendersi, ed il modo con cui hanno da effettuarsi. Questi, dunque, sono i preziosi effetti che lo spirito divino di sua natura produce negl'intelletti in cui opera; ma non però in tutti egualmente: in altri più, in altri meno, secondo la maggiore o minor luce che loro comparte.
70. Inoltre si vede manifestamente, che lo spirito di Dio porta sempre agl'intelletti umani questo spirito discreto: perché operandovi con la sua luce si accomoda sempre all'età, allo stato ed alla condizione delle Persone. Altre cognizioni infonde Iddio in un giovanetto di fresca età, altre in un vecchio in età matura. Altre idee pone in testa di un religioso, altre in un secolare. Altre specie sveglia in mente di una persona libera, altre di un coniugato. Altri pensieri ispira a chi comincia a correre l'arringo della perfezione, altri a chi si trova vicino alla meta. Lo stesso dico circa la pratica delle virtù particolari, almeno in quanto all'esteriore. Tutti devono, a cagione di esempio, esercitarsi nella virtù della santa umiltà ma altre umiliazioni esterne suggerisce il Signore a un principe, altre ad un plebeo; altre a chi vive ne' chiostri sequestrato dal secolo, altre a chi mena sua vita fuori de' chiostri in mezzo al secolo. Insomma, è purtroppo vero ciò che dice il sopracitato Riccardo di S. Vittore, non esser possibile procedere nelle sue operazioni con giusto giudizio di discrezione, se la mente non sia rischiarata dalla divina luce (Rich. In psal. 90). Se dunque il direttore scorgerà ne' suoi penitenti, massime di spirito elevato, cognizioni rette, convenevoli, prudenti, discrete e sante, avrà tutto il fondamento a credere, che lo spirito del Signore risegga nelle loro menti.
§. VII.
71. Carattere sesto. Lo spirito divino infonde sempre nella mente pensieri umili e bassi. È vero che Iddio nobilita il nostro intelletto con la sua luce, e l'innalza a cognizioni che sono superiori alla sua sfera, e talvolta con modi che vanno fuori dell'ordinario; ma nel tempo stesso v'infonde pensieri bassi con cui conosca l'anima il suo nulla la sua bassezza, la sua miseria, anzi veda che in quelle stesse cognizioni luminose niente vi ha del suo; onde si abbassi in mezzo alle sue stesse esaltazioni. Comparisce Iddio a Mosè nel roveto in sembianza di splendidissime fiamme, lo fa suo ambasciatore a Faraone, e lo elegge per liberatore del popolo Israelitico dalla tirannia di quel barbaro re. Ad una vista sì bella, ad un'ambasceria sì illustre, ad un impiego sì onorevole, Mosè invece di esaltarsi si riempie di pensieri bassi, conosce la sua insufficienza e la confessa con sincerità: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?». (Es.3,11). E chi son io, che debba accingermi ad una impresa sì gloriosa, e trattare con il Faraone affari di sì alto rilievo? E perché proseguì Iddio a stimolarlo e con parole, e con prodigi ad accettare l'onorevole incarico, proseguì egli a protestare la sua inabilità, fino a dichiararsi tardo ed impedito di lingua, balbuziente, scilinguato ed incapace di maneggiare col popolo, e col re un sì grave negozio. «Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». (Es.4,10). Ecco le cognizioni che inspira Iddio, quando è presente alle nostre menti.
72. Vediamo lo stesso in altri profeti. Parla Iddio a Geremia: e nel primo discorso gli fa sapere che lo ha scelto per suo profeta, e lo ha destinato a portare le sue imbasciate a re, a principi, a sacerdoti, a regni ed a popoli interi. E ciò che più rileva, gli palesa il singolare privilegio che avevagli concesso di santificarlo nel seno di sua madre. «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». (Ger.1,5). Intanto che fa Geremia a sì gloriosi annunzi? s'innalza forse con i suoi pensieri? forse forma di sé alto concetto proporzionato alla gloria de' suoi natali e dei suoi impieghi? Tutto l'opposto. Si veste di pensieri bassissimi, e risponde al Signore ch'egli non è abile ad esser profeta, perché è un bambino che ancora non sa parlare: Risposi: «Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane». (Ger.1,6). Comparisce Iddio ad Isaia nello splendore della sua gloria, sopra soglio elevato ed eccelso, cinto da serafini che gli danno lode con dolci canti. Ed Isaia è tanto lungi dal riputarsi simile nella mondezza a quei puri spiriti tra cui vedesi ammesso, che anzi alla prima comparsa di quel teatro di gloria, si dichiara ch’egli è immondo di labbra: “E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». (Is.6,5). Se poi in conferma di tal verità volessi riferire altri fatti presi dalla vita de' santi, innumerevoli sarebbero gli esempi che ne potrei addurre. Ma basti un solo per tutti, perché di tutti è il più illustre. Sia questo, la risposta che diede Maria Vergine all'angelo Gabriele, allorché questi l'assicurava esser ella già eletta tra mille e mille per madre dell'Altissimo, posto il più sublime a cui possa giungere una pura creatura; poiché la Vergine ad un tale annunzio, non solo non si esaltò nella sua mente con pensieri eguali a quella eccelsa dignità a cui vedeasi sublimata, ma formando umilissimo concetto di sé, si protestò ch'ella era serva e vile ancella di Dio: Ecce ancilla Domini (Lc 1,38). Dunque, dubitar non si può, che lo spirito di Dio nel tempo stesso che innalza il nostro intelletto a cognizioni divine, v'instilli cognizioni umili e dimesse; e tanto più umili, quanto vi opera in modo più straordinario e più eminente. Di un carattere, dunque, sì chiaro e sì sicuro si prevalga il direttore per conoscere se le menti de' suoi discepoli (quantunque fossero sollevate a visioni, ad estasi, a rivelazioni e ad altre contemplazioni) siano mosse dallo spirito divino.
G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS
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