1-10 Morte dei genitori di san Giuseppe ed i travagli che egli soffrì
Assiste la madre morente – Quando il nostro Giuseppe arrivò all’età di diciotto anni, piacque al Signore, di togliere dal mondo i suoi genitori. Prima sua madre, la quale ammalatasi gravemente, ebbe una lunga e penosa infermità, volendo Dio, con questo, purificarla da tutte le sue mancanze per poterla poi mandare al Limbo. Dio le fece questa grazia per le suppliche che continuamente gli porgeva il figlio, e cioè, che si degnasse di mandare i suoi genitori a riposare nel seno di Abramo. Fu mirabile l’assistenza e la servitù che il nostro Giuseppe fece a sua madre, consolandola e confortandola nei suoi dolori, e porgendo continue suppliche a Dio affinché le avesse dato pazienza nella sua penosa infermità. Il Santo Giovane vegliava le notti intere, in parte assistendo la madre, e in parte pregando per lei; e siccome le aveva sempre mostrato una somma gratitudine per quello che aveva ricevuto da lei, in quest’ultimo istante della sua vita gliela mostrò in un modo singolarissimo, non abbandonandola mai, e non stancandosi mai di servirla ed assisterla con amore veramente filiale e santo. L’assistenza del figlio era di molta consolazione all’inferma, e continuamente lo benediceva e pregava Dio di ricolmarlo delle sue benedizioni.
Alla fine della sua vita, Giuseppe si prostrò inginocchiato davanti a lei, e la supplicò di benedirlo e di perdonargli tutto quello in cui l’avesse disgustata. La buona madre lo benedisse, e lo esortò a non tralasciare il modo in cui egli aveva vissuto fino ad allora, e a crescere sempre più nell’amore e nel servizio del suo Dio; lo ringraziò dell’assistenza e della servitù prestatale, e lo stesso fece il figlio verso di lei. Le disse anche che morisse volentieri perché egli sperava di certo che la sua anima sarebbe andata al Limbo, fra i Santi Padri.
La madre si consolò molto per le parole che le disse il figlio, e supplicò Dio affinché lo benedicesse, e confermasse con la sua benedizione, quella che lei gli aveva dato; e Dio per mostrare che esaudiva la sua domanda, le fece vedere una chiarissima luce risplendere sul volto di Giuseppe, della quale restò molto consolata, e unita al figlio, rese grazie a Dio del favore mostratole. Poi l’inferma si aggravò molto, e quando entrò in agonia, il figlio non la lasciò mai, assistendola fino all’ultimo respiro con grande generosità e fortezza d’animo; e non solo assisteva la madre, ma confortava anche suo padre, che era molto afflitto per la perdita di una così buona compagna.
Prega e consola il padre – Morta la madre, il nostro Giuseppe si trattenne a consolare un po’ suo padre, e poi si ritirò nella sua stanza a dare sfogo al dolore col solito tributo delle lacrime, poi si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo consolare in tanta sua afflizione. In questa preghiera Dio non mancò di consolarlo, facendogli sentire la voce interiore che gli diceva che erano stati adempiti i suoi desideri e le sue giuste domande circa sua madre; per cui, tutto consolato il Santo Giovane, rese grazie a Dio, poi uscito dalla sua stanza, andò di nuovo a consolare suo padre, che si consolò e confortò molto per le parole che gli disse il figlio.
Sua conformità al volere di Dio – La notte seguente mentre Giuseppe dormiva, l’Angelo gli parlò e gli disse che sua madre si trovava già al Limbo, e che in breve sarebbe rimasto privo anche di suo padre, perciò che si uniformasse alla volontà divina, e che non avesse alcun timore, perché Dio lo avrebbe sempre protetto e difeso in tutte le sue vie. Il Santo restò molto consolato per la notizia avuta della sua buona madre, ma insieme afflitto per dover perdere anche il padre. Si uniformò però alla volontà divina, e si animò a soffrire i molti travagli che gli sovrastavano per la perdita del padre, dando fede a quanto l’Angelo gli aveva detto, e cioè che Dio l’avrebbe sempre protetto in tutte le sue vie. L’umanità, peraltro, sentiva al vivo tutto quello che prevedeva dover soffrire, ma lo spirito si mostrò prontissimo a soffrire tutto e a ricevere tutto con pazienza ed allegrezza dalle mani di Dio. Essendo rimasto il nostro Giuseppe privo della madre, e vedendo suo padre in grande afflizione, l’andava confortando continuamente, e non l’abbandonò mai in questa sua afflizione, facendo le parti di buon figlio verso l’amato genitore.
Al letto del padre morente – Non passò molto tempo, che il padre di Giuseppe cadde malato di una malattia mortale, e siccome il nostro Giuseppe era molto indebolito di forze corporali per i travagli e i patimenti sofferti nella penosa infermità della madre, sentì molta pena e si raccomandò molto a Dio affinché l’avesse assistito con la sua grazia, e dato la forza e lo spirito per poter assistere suo padre nella sua ultima infermità. Dio lo consolò accrescendogli le forze, ed egli si impiegò tutto ad assistere suo padre; non l’abbandonò mai giorno e notte, servendolo ed assistendolo con grande carità ed amore, animandolo a soffrire con pazienza i dolori e le angustie che suole apportare il male, che fu sofferto dall’infermo con grande generosità e pazienza; e solo gli portava afflizione il pensiero che aveva per il suo figliolo, e che rimanendo solo e abbandonato, avrebbe dovuto soffrire grandi travagli. Ma il figlio lo consolava, dicendogli che morisse pure tranquillo e che non pensasse a lui, perché sperava che Dio l’avrebbe protetto e aiutato in tutti i suoi bisogni; e così l’infermo si acquietava, e si confidava tutto in Dio, sicurissimo che avrebbe avuto tutta la cura del suo Giuseppe, perché conosceva che l’amava molto. Lasciò poi il figlio erede di tutte le sue facoltà, affinché se ne fosse servito come a lui fosse piaciuto, perché già sapeva che il figlio le avrebbe bene impiegate; e come buon padre, gli ricordò molte cose, raccomandandogli il timore e l’amore di Dio e l’amore verso il suo prossimo. Giuseppe stava ad ascoltare le parole di suo padre con grande umiltà e sottomissione, e dopo lo ringraziò di quanto gli aveva detto, e gli promise di fare quel tanto che gli diceva per il suo bene e per la gloria del suo Dio. Di questo il padre rimaneva sempre più consolato, e diceva al figlio: «Figlio mio, io muoio contento, perché vedo che tu sei bene impiegato nell’esercizio delle virtù e che ami e temi Dio, ed anche perché ti lascio erede di molti beni con i quali ti puoi mantenere nel tuo stato e puoi fare delle elemosine secondo il vostro desiderio. Ti raccomando perciò la mia anima; sia tua cura impetrarmi da Dio la remissione dei miei peccati trascorsi e la grazia di andare in un luogo di salvezza; non ti scordare mai di me e di tua madre, perché hai già conosciuto quanto ti abbiamo amato, e la cura particolare che abbiamo avuto di te. Ora, altro non mi resta, che darti la mia paterna benedizione e supplicare il nostro Dio che la confermi con le sue benedizioni ti ricolmi sempre più delle sue grazie». A queste parole, l’umile Giuseppe si prostrò a terra, e domandando la benedizione a suo padre, e molto più al suo Dio, ricevette la benedizione dal padre e da Dio insieme; poi con le lacrime agli occhi ringraziò il padre di tutto il bene che gli aveva fatto, della buona educazione, dei buoni esempi che gli aveva dato, e gli domandò perdono di tutto quello che aveva fatto contro il suo volere e di quanto l’avesse potuto disgustare. Ma suo padre, non avendo ricevuto mai alcun disgusto dal figlio, anzi avendone ricevuto piuttosto gusto e consolazione, gli disse che non aveva di che perdonargli, perché mai l’aveva disgustato; ma il santo Figliolo, non contento di questo, non si volle alzare da terra se prima il padre non gli avesse assicurato il perdono. Il padre per compiacerlo e per non privarlo di quella soddisfazione, gli disse che lo perdonava di tutto di buon cuore; di questo il figlio rimase molto contento e soddisfatto, e fece al padre affettuosi ringraziamenti. Poi gli domandò il permesso di dare ai poveri e al Tempio le facoltà che gli lasciava, e suo padre mise il tutto in sua libertà, affinché ne disponesse come a lui fosse piaciuto, e come fosse stato di volontà di Dio. Tutto contento di ciò, Giuseppe ringraziò di nuovo il padre e l’assicurò che lui non si sarebbe scordato né della madre, né del padre, che perciò andasse pure sicuro e quieto.
Ultima assistenza – L’infermo si andava aggravando, e Giuseppe accresceva la servitù e l’assistenza, e molto più le preghiere e le suppliche al suo Dio per la salvezza eterna del suo buon padre, e Dio gliene diede una stabile sicurezza; rallegratosi di ciò, il Santo ne rendeva continue grazie a Dio. Poi, il nostro Giuseppe si offrì a Dio, e lo supplicò di volersi degnare di far soffrire alla sua propria persona quel tanto che conveniva soffrire a suo padre, in sconto di quei debiti che avesse contratto con la divina giustizia, affinché l’anima di suo padre fosse andata addirittura al Limbo dei Santi Padri. Dio l’esaudì, per cui il nostro Giuseppe soffrì per più ore gravissimi dolori, con grande rassegnazione, godendo di scontare con questo, le pene dovute a suo padre; perciò ne ringraziava Dio affettuosamente, e rimanendo molto più sicuro, che il suo genitore sarebbe andato a riposare, dopo la morte, con la sua anima nel seno di Abramo, alzando le mani al cielo con giubilo di cuore, lodava e ringraziava la divina bontà.
Morte del padre – Arrivato agli ultimi estremi della vita, il padre fu assistito dal figlio con grande carità ed amore, animandolo sempre ed esortandolo a confidare nella bontà e misericordia del suo Dio e ad andare allegro, mentre era certo che sarebbe andato in un luogo sicuro. Il moribondo ebbe molta consolazione per l’assistenza del figlio, e morì con grande rassegnazione e sicurezza della sua salvezza eterna. Quando l’infermo spirò, il nostro Giuseppe si ritirò a pagare alla natura il solito tributo delle lacrime, e ne aveva ben ragione, mentre restava privo di un padre tanto a lui benefico ed amorevole, e che gli aveva dato una così buona educazione. Dato che ebbe qualche sfogo al dolore, si mise genuflesso al cospetto del suo Dio, e qui con lacrime lo supplicò del suo aiuto dicendogli: «Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe! Dio mio! Ecco che sono rimasto privo del padre e della madre, che a Te è già piaciuto levare dalle miserie di questa fragile vita. Ora io ti supplico di volerti degnare di ricevermi tutto sotto la tua protezione, mentre io di nuovo tutto a Te mi dono e sacrifico. Io sono sempre stato protetto e difeso da Te e sono sempre stato tuo schiavo, ma ora di nuovo a Te mi dedico, e ti supplico di avere di me tutta la cura e sopra di me tutto il dominio. Ora io non sono soggetto ad altri che a Te. Dio mio! fammi dunque la grazia che anch’io possa dirti col Real Profeta: Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto (Salmo 26, 10). Da ora innanzi Tu sarai mio Padre, il mio protettore, mia madre e tutto il mio sostegno e rifugio; fa’ di me e di ciò che mi appartiene quello che ti piace, e si adempia in me la tua divina volontà in tutte le cose; fammela intendere, perché io sono prontissimo ad eseguirla in tutto e per tutto». Mentre Giuseppe diceva questo al suo Dio, restò molto consolato, mentre Dio gli fece udire la sua voce interiore, e gli disse che stesse pur sicuro perché Lui aveva udito la sua preghiera, e che sarebbe stato sempre protetto e rimirato da lui con paterno amore. Il nostro Giuseppe rese grazie a Dio per il sublime favore che gli faceva e, tutto consolato, si levò dall’orazione.
Prove penose e sua pazienza – Il Santo Giovane passò poi molti travagli perché, conoscendo tutti la sua bontà, ognuno si faceva lecito di togliergli chi una cosa, chi un’altra, e specialmente le persone di servizio di casa prendevano la roba e quello che a loro piaceva. Giuseppe si accorgeva di tutto, e non faceva altro risentimento, solo che ammonirli di non fare quelle offese a Dio, e a non aggravare la propria anima, ma siccome il Santo era di sua natura piacevole, benigno e caritatevole, non lo stimavano, e abusavano della sua bontà. Giuseppe, vedendo che non desistevano dal danneggiarlo, affinché non offendessero Dio, si decise di dare loro licenza e di donare loro quel tanto che si erano usurpati, e così fece. Da ciò presero motivo di oltraggiarlo con parole ingiuriose: e siccome il demonio li istigava molto per sfogare la sua rabbia contro il Santo, faceva sì che fosse maltrattato ed offeso da quelli stessi che lui aveva tanto beneficato. Il Santo soffrì con grande pazienza tutte le ingiurie senza affatto alterarsi. Gli furono anche tolti i beni dai parenti del padre, con la condizione di volere Giuseppe in casa loro, ma il Santo lasciò loro tutto in pace, e non volle mai accordarsi di andare a stare con i parenti, perché aveva già stabilito di andare ad abitare a Gerusalemme per poter frequentare il Tempio; questi si adirarono molto contro il Santo Giovane, e non potendolo rimuovere dal suo proposito con le lusinghe, lo fecero con le minacce. Molte volte fu maltrattato e offeso da loro con fatti e con parole, e il Santo soffriva tutto con ilarità di spirito, e non si vide mai adirato o inquieto. Tanto si inoltrarono, che spogliarono il Santo Giovane di tutte le sue molte facoltà; e trovandosi in questa afflizione si rivolse al suo Dio domandandogli aiuto in tanta sua necessità, e che si fosse degnato di manifestargli la sua volontà e che cosa doveva fare. Dio non tardò a consolarlo, mentre nella notte l’Angelo gli parlò nel sonno, e gli disse che avesse venduto quello che gli era rimasto, e che ne avesse dato in parte ai poveri, e in parte ne avesse portata ad offrire al Tempio; e che per sé si fosse lasciata poca porzione, perché Dio lo voleva povero; che fosse andato ad abitare a Gerusalemme e qui avesse imparato l’arte del falegname per guadagnarsi il vitto quotidiano e che in tal modo fosse vissuto fin tanto che Dio avesse voluto disporre altro di lui; che si fosse conservato vergine come già aveva promesso prima a Dio e che fosse vissuto lontano più che poteva dal commercio degli uomini, affinché il suo candore e la sua innocenza non avessero patito detrimento alcuno, e che stesse certo che Dio l’avrebbe sempre protetto e difeso e ricolmato delle sue benedizioni. Tanto disse l’Angelo a Giuseppe, e tanto bastò perché Giuseppe eseguisse il tutto con prontezza. Vendette tutto quello che gli era rimasto, e nel fare questo dovette soffrire grandi rimproveri e persecuzioni. Non era padrone di uscire di casa, che chiunque lo vedeva, lo prendeva in giro e lo maltrattava, dicendogli dissipatore delle paterne sostanze, e che tutto sprecava; chiamandolo chi insensato e pazzo, chi uomo da niente, e chi vagabondo ed ozioso; infatti ognuno si permetteva di maltrattarlo. Il Santo Giovane soffriva il tutto con grande pazienza senza mai rispondere ad alcuno; e nonostante si potesse giustamente lamentare dei suoi congiunti che l’avevano spogliato delle sue facoltà, non lo fece mai; ma soffrì tutto con silenzio e pazienza. Avendo poi venduto quello che gli era rimasto, per eseguire quel tanto che l’Angelo gli aveva detto, e saputosi questo dai suoi congiunti, costoro presero il Santo Giovane, lo percossero malamente e lo maltrattarono come dissipatore della roba a loro dovuta. Il nostro Giuseppe soffrì le ingiurie e le percosse con grande tolleranza, e non fece di questo risentimento alcuno, ma prostrato in orazione davanti al suo Dio, lo supplicò di volersi degnare di difenderlo e liberarlo dalle mani dei suoi avversari, così come aveva liberato il santo Davide dalle mani dei suoi nemici e tanti altri, che la sua bontà aveva protetto e difeso.
Consolato da Dio – Stando così afflitto, Dio non tardò a consolare il suo fedelissimo servo, e gli parlò interiormente assicurandolo della sua protezione e del suo aiuto, ed animandolo a soffrire con pazienza quel travaglio, perché gliene avrebbe data un’abbondante ricompensa. Giuseppe rimase molto consolato per le promesse del suo Dio, e animato a soffrire molto più quando gli fosse occorso; ma Dio non permise che fosse più molestato e travagliato, avendo per allora sperimentato abbastanza la sua fedeltà e la sua grande pazienza. Per cui tutti lo lasciarono in pace, ed il santo Giovane. quando ebbe venduto tutto e raccolto il denaro insieme, ne fece un’offerta a Dio supplicandolo di ricevere quell’offerta, e che per se stesso non voleva cosa alcuna se così a Lui fosse piaciuto. La notte l’Angelo gli parlò di nuovo, e gli disse che partisse subito dalla sua patria e se ne andasse a Gerusalemme, che qui giunto al Tempio gli avrebbe detto di nuovo quello che doveva fare; e la mattina subito parti.
Serva di Dio Maria Cecilia Baij O.S.B.