lunedì 16 dicembre 2019

Il grande divorzio tra sacerdote e vittima



IL SACERDOTE È PURE VITTIMA 
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56 Se in Cristo, Sacerdozio e stato di Vittima sono inseparabili, non dovrebbe essere così anche negli "altri-Cristi"? Perché abbiamo considerato noi stessi soltanto come offerenti e non come offerti, come predicatori e non come portatori del peccato, come lavoratori sociali e non come redentori? 

57 La fuga di molti sacerdoti dall’altare verso il mondo non è forse una dimostrazione evidente di un certo scontento interiore, per il fatto che la Chiesa è stata troppo isolata dalle ansietà e dalla miseria che il male ha causato. Gli psicopatici insistono troppo sull'aspetto cultuale, ministeriale, ecclesiastico del sacerdozio; i neuropatici sono preoccupati di essere in rapporto col mondo politico-economico-sociale che Cristo è venuto a redimere. Nessuno dei due è efficace: gli psicopatici sono troppo impegnati col loro popolo di Dio e finiscono di agire come degli impagliatori di animali verso altri impagliatori di animali, troppo alieni dalle necessità del mondo che ha bisogno di essere salvato. I neuropatici vedono che il mondo ha bisogno di essere riaggiustato, ma troppo spesso lasciano Cristo dietro le spalle e finiscono col fare lo stesso lavoro dei filantropi sociali, dei comunisti, ma quasi mai altrettanto bene, poiché il loro servizio costa la defezione da una vocazione dedicata alla santità di Dio. 

58 Il Sacerdote è chiamato ad essere un portatore del peccato come Cristo. Questo non significa che debba indossare il cilicio. La penitenza non richiede, oggi, dei cilici. Il nostro prossimo è un "cilicio". 

59 Lo stato di vittima esprime piuttosto la profonda consapevolezza con cui sentiamo le colpe e il peccato del mondo, come se fossero nostri, e mediante la costante unione a Cristo, cerchiamo di riconciliare tutta l’umanità a Lui. 

60 Amore significa identificazione con gli altri, non solo con le pecore del gregge, ma anche con quelle che non appartengono al gregge. Molti volgarizzatori di Bonhoeffer esaltano la sua "religione terrestre", senza sapere che la definiva come l’identificazione col sacerdozio-servizio di Cristo. 

61 "Essere nel mondo per me significa affrontare la propria vita, con tutti i suoi doveri e problemi, i suoi successi e insuccessi, le sue esperienze e miserie. È in una simile vita che ci gettiamo precipitosamente fra le braccia di Dio e partecipiamo alle sue sofferenze nel mondo e vegliamo con Cristo nel Getsemani. Come potrebbe il successo renderci arroganti o il fallimento portarci fuori strada, quando partecipiamo alle sofferenze di Dio, vivendo nel mondo!" (Lettere e carte di Bonhoeffer). 

62 Se il peccato fosse cessato, il sacerdote dovrebbe solo essere sacerdote; ma se il Calvario continua, allora il Cristo glorificato può ancora domandare: "Perché mi perseguiti?" (At 9,4). 

63 Lo stato di Vittima si esige ancora. Ecco come Edward Muir lo propone: "Fu per caso che quel giorno un Dio morente incrociò la mia vita, Lui sulla sua strada e io sulla mia?" (Poesie). 

64 Se Dio sembra morto nella nostra epoca nucleare, è perché i cristiani, popolo arido, hanno isolato Cristo dalla sua croce. Alcuni sacerdoti e religiosi hanno abbastanza amore per gli affamati, ma non sufficiente amore per redimerli dalla colpa. Il sacerdote per trovarsi a migliore agio nei suoi rapporti con il mondo può predicare un "Cristo sociale" o un "Cristo politico" o un "Cristo rivoluzionario", ma l’indifferenza per la crocefissione produce dei discorsi che sono "bronzo sonoro e cembali squillanti". 

65 L’impegno intellettuale e morale del Sacerdote riguardo al Sermone della montagna richiede la resa esistenziale al prolungamento della Croce. 
Gandhi vide questo duplice incontro con il Cristo, quando si trovò di fronte a un crocifisso in Vaticano: "Non fu senza uno sforzo interiore che mi potei allontanare da quella scena di vivente tragedia. Vi scorsi subito che le nazioni, come gli individui, possono solo essere formati attraverso l’agonia della Croce e in nessun altro modo. La gioia non proviene dal dolore della pena per gli altri, ma dal dolore sopportato volontariamente da ciascuno di noi" (HINGORANI, Il messaggio di Gesù Cristo). 

66 Madre Teresa di Calcutta espresse la stessa idea, affermando: "Il servizio dei poveri senza l’amore del Cristo crocefisso è opera sociale". 
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FULTON, J. S. 

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