martedì 21 gennaio 2020

Le ultime sette parole. - Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno



Vi sono tre elementi che, alleandosi, creano un grande messaggio: il pulpito, gli ascoltatori e la verità. Queste tre cose erano presenti nei due messaggi più importanti della vita di Nostro Signore, il primo e l’ultimo che egli donò al mondo. Il pulpito del suo primo messaggio erano i monti; gli ascoltatori erano gli illetterati galilei; la sua verità, le beatitudini. L’ultimo messaggio che Egli consegnò al mondo fu pronunciato dal pulpito della croce; i suoi ascoltatori erano gli scribi e i farisei che lo bestemmiavano, i sacerdoti del tempio che lo deridevano, i soldati romani che tiravano a sorte le sue vesti, pochi timidi discepoli pieni di paura: Maddalena con il suo pianto, Giovanni con il suo amore e Maria con la sua afflizione di madre. Maddalena, Giovanni e Maria: penitenza, sacerdozio e innocenza, i tre tipi di anima che si troveranno sempre ai piedi della croce di Cristo. Il sermone che questo pubblico ascoltò, dal pulpito della croce, sono le sette parole, il testamento di un Salvatore che, morendo, sconfisse la morte. 
Nei quattromila anni di storia giudaica, vengono ricordate le ultime parole di tre uomini soltanto: Giacobbe-Israele, Mosè e Stefano. Forse il motivo di questo sta nel fatto che nessun altro è stato considerato così importante e significativo come questi tre uomini. Israele era stato il primo israelita; Mosè, il primo sotto la Legge; Stefano, il primo martire. Con le ultime parole di ognuno di loro ha inizio qualcosa di sublime nella storia del rapporto di Dio con gli uomini. Non così per le ultime parole di Pietro, di Paolo o di Giovanni, che non sono entrate a far parte della nostra tradizione spirituale, perché nessuno spirito ha ispirato una penna che rivelasse il segreto che usciva dalle loro labbra morenti. Ancor oggi il cuore dell’uomo desidera vivamente conoscere i pensieri e lo stato d’animo vissuti in quel momento così comune e tuttavia così misterioso che si chiama morte. 
Nella sua bontà, Nostro Signore, morendo, ha voluto lasciarci i suoi ultimi pensieri; egli rappresenta l’umanità ancor più di Israele, di Mosè e di Stefano. In quest’ora sublime, dunque, egli chiama tutti i suoi figli al pulpito della croce e ogni sua parola viene trascritta affinché possa essere conosciuta eternamente ed eternamente consolare. Non vi è mai stato un predicatore come il Cristo morente. Non vi è mai stata un’assemblea come quella che si radunò ai piedi della Croce. Non è stato mai pronunciato un sermone come quelle ultime sette parole. 
Quelle sette parole, a differenza di quelle di qualsiasi mortale, non moriranno mai. Esse vennero accolte dai numerosi ascoltatori e poi echeggiate fra le colline di Gerusalemme, percorsero i labirinti della mente umana, risuscitarono persino i morti dalle loro tombe. Ancora oggi esse vengono accolte dai nostri poveri cuori che dovranno decidere, ancora una volta, se lasciarsi tentare dall’amore di quel Salvatore. 
Il Calvario è il nuovo monte della tentazione, dove però non è Satana a tentare Cristo, ma Cristo che tenta noi, chiedendoci di amare l’Amore che manca in ogni nostro tentativo di amare. 


La Prima Parola 

Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno 

Sembra essere una realtà della psicologia umana che, quando si avvicina la morte, il cuore dell’uomo esprima parole d’amore a coloro che gli sono più vicini e più cari: non vi è ragione di pensare che fosse stato diverso per il Cuore dei cuori. Se egli parlò secondo una sequenza graduale a coloro che amò maggiormente, allora possiamo aspettarci di trovare le sue prime tre parole secondo l’ordine del suo amore e affetto. Le sue prime parole erano rivolte ai suoi nemici: «Padre, perdonali...»; le seconde, ai peccatori: «...oggi sarai con me nel paradiso»; le terze, ai santi: «Donna, ecco tuo figlio...». Nemici, peccatori e santi: questo è l’ordine dell’Amore divino e della sua sollecitudine. 

Gli spettatori aspettavano ansiosi la sua prima parola. I suoi carnefici aspettavano le sue grida, come avevano fatto tutti coloro che erano stati appesi alla croce prima di lui. Seneca racconta che coloro che venivano crocifissi maledivano il giorno della loro nascita, i loro carnefici, le loro madri; sputavano persino su chi li guardava. Cicerone ci dice che a volte era necessario tagliare loro la lingua, per frenare le loro terribili bestemmie. Quindi i carnefici di Gesù si aspettavano di udire un grido, ma certo non quel tipo di grido che di fatto udirono. Anche gli scribi e i farisei si aspettavano delle grida ed erano sicuri che Gesù, che aveva predicato l’amore verso i propri nemici e di fare del bene a chi ci odia, avrebbe dimenticato questo suo vangelo quando gli sarebbero stati forati le mani e i piedi. Essi pensavano che la terribile e straziante sofferenza avrebbe disperso al vento la forza d’animo che Gesù avrebbe potuto darsi per salvare le apparenze. Tutti, insomma, si aspettavano di sentirlo gridare ma nessuno, ad eccezione dei tre ai piedi della croce, pensava di ascoltare quel grido. Come quegli alberi profumati che lasciano il loro profumo sulla scure che li abbatte, così il grande Cuore appeso all’albero dell’amore esalò dal più profondo di se stesso non un grido, ma una preghiera. La soave, dolce, umile preghiera del perdono: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». 

Perdonare chi? Perdonare quali nemici? Il soldato nel palazzo di Caifa che lo schiaffeggiò; Pilato, l’uomo politico che preferì condannare Dio per poter rimanere amico di Cesare; Erode, che avvolse la Sapienza con il manto della stoltezza; i soldati che innalzarono il Re dei re su di un albero, fra cielo e terra: perdonarli? Perdonarli, perché? Perché sanno quello che fanno? No, perché non sanno quello che fanno. Se avessero saputo quello che stavano facendo e tuttavia avessero persistito nel farlo, se avessero saputo quale terribile crimine stavano commettendo condannando la Vita a morte; se avessero saputo quale perversione della giustizia era stata quella di aver scelto Barabba al posto di Cristo; se avessero saputo che crudeltà era quella di prendere quei piedi, che avevano camminato sulle colline eterne, per inchiodarli su di un albero; se solo avessero saputo ciò che stavano facendo e tuttavia avessero persistito nel farlo, incuranti del fatto di sapere che quel sangue che stavano versando poteva redimerli, non sarebbero mai stati salvati! Perché? Perché se non fossero stati ignari di quanto terribile fosse quell’azione che stavano commettendo, crocifiggendo Cristo, sarebbero stati dannati eternamente! È solo grazie alla loro inconsapevolezza della gravità del crimine che stavano commettendo che poterono rientrare nell’ambito di coloro che udirono quel grido dalla croce. Non è la conoscenza che salva, ma l’ignoranza! 

Non vi è redenzione per gli angeli caduti; quei grandi spiriti capeggiati dal «Portatore della luce», Lucifero, dotato di un’intelligenza tale che la nostra, comparata alla sua, sembrerebbe quella di un bambino, conoscevano così chiaramente le conseguenze di ogni loro decisione, quanto noi sappiamo che due più due fa quattro. Il prendere una decisione era per loro una cosa irrevocabile; non vi era nessuna possibilità di tornare indietro, per questo per gli angeli non vi può essere redenzione. Poiché sapevano ciò che facevano furono esclusi dal numero di coloro che ascoltarono il grido di perdono che veniva dalla croce. Non è la conoscenza che salva, ma l’ignoranza! 

Allo stesso modo, se noi sapessimo che cosa terribile sia il peccato e, malgrado ciò, continuassimo a peccare; se sapessimo quanto amore vi è nell’incarnazione e, malgrado ciò, continuassimo a rifiutarci di nutrirci del Pane di vita; se sapessimo quanto amore espiatorio ci sia stato nel sacrificio sulla croce e, malgrado ciò, continuassimo a rifiutare di riempire il calice del nostro cuore con il suo amore; se sapessimo quanta misericordia vi sia nel sacramento della penitenza e, malgrado ciò, continuassimo a rifiutarci di piegare il ginocchio davanti alla mano che ha il potere di sciogliere i nostri peccati sia in cielo che in terra; se sapessimo quanta vita ci sia nell’eucaristia e, malgrado ciò, continuassimo a rifiutare di mangiare il Pane che dà la vita eterna e rifiutassimo di bere il Vino che genera e alimenta i vergini; se conoscessimo tutta la verità che si trova nella Chiesa, il corpo mistico di Cristo e, malgrado ciò, le voltassimo le spalle come fece Pilato; se fossimo consapevoli di tutte queste cose e tuttavia rimanessimo lontani da Cristo e dalla sua Chiesa, saremmo perduti! Non è la conoscenza che ci salva, ma l’ignoranza! L’unica cosa che può giustificarci di non essere dei santi è la nostra inconsapevolezza di quanto buono sia Dio! 

Preghiera 

O Gesù! Non voglio avere la sapienza del mondo; non voglio conoscere come vengono forgiati i fiocchi di neve o dove si nascondono le tenebre o dove si trova il grembo da cui nascono i ghiacci; non voglio sapere perché l’oro cade pesantemente in terra, mentre il fuoco si eleva leggero al cielo; non mi interessano né la letteratura né la scienza, non m’importa conoscere le quattro dimensioni dell’universo in cui viviamo; non voglio sapere quanti anni luce misura l’universo, non voglio conoscere l’ampiezza della danza che compie la terra attorno al carro solare; nemmeno la distanza delle stelle, quelle piccole, nivee candele notturne; non intendo sapere quanto sia profondo il mare, né conoscere i segreti dei suoi abissi. Voglio ignorare tutto questo pur di conoscere la lunghezza, l’ampiezza, l’altezza e la profondità dell’amore del nostro Salvatore e Redentore, morto sulla croce. Voglio essere ignorante di tutto quello che riguarda il mondo, pur di conoscere te, Gesù. Allora, per un oltremodo strano paradosso, possederò la vera sapienza! 

Mons. Fulton John Seen

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