sabato 15 febbraio 2020

L’UOMO NEL DISEGNO DI DIO



5a MEDITAZIONE

Sapete che la veglia pasquale è la celebrazione più importante dellʼanno liturgico, la celebrazione  più importante della vita della chiesa. Il motivo è che in questa veglia la Chiesa fa memoria dellʼopera  definitiva di Dio: la resurrezione di Gesù che ha introdotto il nostro mondo, un mondo segnato inevitabilmente dal limite e dalla morte, nel mondo di Dio, nella eternità della comunione con il Padre. 

Non so se ricordate come è costruita la veglia pasquale: ci si raccoglie sul sagrato della Chiesa,  dove viene benedetto un fuoco nuovo (deve essere nuovo e la preghiera lo ricorda). Con questo fuoco  nuovo viene acceso un cero che rappresenta Cristo luce del mondo. E di fatto sul cero, vengono inci- se due lettere greche, lʼalfa e lʼomega, che indicano il principio e la fine. Poi vengono incise le cifre  dellʼanno corrente: il ché vuol dire che in Gesù Cristo è raccolto il significato di tutta la storia, dalla  Creazione alla Nuova Creazione. E quellʼanno che stiamo vivendo si colloca dentro questo orizzonte;  stiamo vivendo un momento di quella storia di salvezza che Dio ha iniziato creando il mondo dal nulla  e che Dio porterà a compimento, introducendo questo mondo dentro alla sua stessa vita, “quando Dio 
- direbbe San Paolo nella lettera ai Corinzi - sarà tutto in tutti”.
Fatto questo, si fa una piccola processione: si entra, accompagnando il cero che viene portato dal  celebrante, o dal diacono, andando verso lʼaltare. Notate una piccola cosa: siccome le chiese tradi- zionalmente sono orientate verso oriente (lʼabside va verso oriente) questa piccola processione va da  ovest a est, va quindi dal luogo del tramonto, delle tenebre, al luogo dellʼalba, dove sorge la luce. E  questo non è senza significato nella notte Pasquale, come tenteremo di vedere.

Dopo di ché  si ascolta una serie di letture bibliche. Sono nove letture bibliche in tutto, e sono quelle  letture che riassumono il cammino della storia della salvezza, perché si comincia con la creazione e si  finisce con il vangelo della resurrezione, dalla creazione a quella novità che  è una creazione rinnovata.  Il Cristo risorto è un mondo nuovo, è un tempo nuovo: la domenica è lʼinizio della settimana e lʼinizio  dei giorni, il compimento della storia.
Le letture (adesso non le possiamo ripercorrere tutte) danno i punti fondamentali di questo cammino.  Le prime tre sono quelle che abbiamo letto in questi giorni: il racconto della creazione, il racconto di  Abramo e la terza che faremo tra poco. Il cammino della parola di Dio è quello.

Poi cʼè una liturgia, che è la liturgia del battesimo. La liturgia del battesimo ci entra dentro perché  della liturgia del battesimo faceva parte, in antichità, un piccolo rito, per cui, quando si fa la profes- sione di fede con la rinunzia a satana, a tutte le sue opere e a tutte le sue seduzioni, il battezzando è  rivolto verso occidente, verso il tramonto del sole. Poi si volta invece verso oriente e fa la professione  della fede: “credi in Dio, in Gesù Cristo, nello Spirito Santo?”; dopo di ché scende nellʼacqua (e do- vete pensare ad una immersione vera e propria, quindi è sommerso, è “annegato” dallʼacqua) e risale  dallʼaltra parte della vasca battesimale, risale nuovo, salendo verso oriente. Eʼ sceso da occidente ed  è salito verso oriente. Quello che nasce, quello che risale, è evidentemente un uomo nuovo, perché  quello di prima è morto, è annegato.
S. Paolo quando scrive nella Lettera ai Romani la sua riflessione sul battesimo dice:

Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? (Rm 6,3)

Battezzati vuol dire immersi: siamo stati immersi in Cristo Gesù, siamo stati immersi nella sua morte.

Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. (Rm 6,4)

Il battesimo è morte e risurrezione: è la morte dellʼuomo vecchio, cioè di quellʼuomo che è condizionato dal suo egoismo e dalla paura o dalla seduzione del mondo, e rinasce come uomo nuovo,  uomo generato dallʼamore di Dio nella forza dello Spirito Santo.
Questo uomo nuovo, che rinasce nel battesimo entra a pieno titolo nella celebrazione dellʼEucaristia,  fino alla Comunione, che è il pane degli angeli, che è, diceva Ignazio di Antiochia, farmaco di immor- talità. Farmaco dʼimmortalità vuol dire che lʼEucaristia è una medicina che è capace di guarire una  malattia che lʼuomo si porta dentro: la malattia della morte.
Noi ci portiamo dentro fin dalla nascita i germi della morte, perché biologicamente siamo fatti così,  quindi inevitabilmente siamo dei malati, malati cronici. È una malattia che dura settanta, ottanta o  centoventi anni, che però alla fine compie il suo corso. LʼEucaristia è una medicina che guarisce da  questa malattia, che guarisce dalla condanna a morte che è iscritta nella nostra biologia umana.
Nel momento in cui continuiamo a rimanere persone nella carne, quindi continuiamo a subire tutti i  limiti del nostro corpo – malattie, stanchezze, fatiche e, inevitabilmente, la morte – in realtà la nostra  vita ormai è partecipe di un germe di immortalità,  perché lʼEucaristia, che contiene lʼamore di Dio  donato in Gesù Cristo, è immortale, come è immortale lʼamore di Dio.
La morte può distruggere il mio corpo biologico, non può distruggere lʼamore di Dio. Lʼamore di Dio  è più forte della morte. Quando questo amore viene interiorizzato, assunto, la mia esistenza si porta  dentro una speranza di immortalità, una speranza di vita piena.
La veglia pasquale: da occidente a oriente, verso la luce, dalla morte alla vita. Si passa attraverso la  morte, si passa attraverso le acque del battesimo, che sono acque di morte, ma si rinasce come creature  nuove, come creature illuminate dalla grazia, dallʼamore, dallo Spirito di Dio.

In questo modo viene portato a compimento un processo che è il processo di tutta la sacra scrittura.  Abbiamo letto il capitolo primo della Genesi, siamo partiti di lì, e ricordate che incomincia:

In principio Dio creò il cielo e terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre  ricoprivano lʼabisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. (Gen 1,1-5)

Lʼ opera della creazione significa che le tenebre, che prima ricoprivano lʼabisso, non sono più tenebre totali: in mezzo a queste tenebre cʼè una luce, brilla una luce. È vero, è una luce intermittente,  perché cʼè giorno e notte che si alternano, non è una luce continua; però non è nemmeno una tenebra  continua. Prima era tenebra continua, adesso, in mezzo a questa tenebra, rifulge la luce. E anche la  notte è accompagnata dai luminari, dalla luna e dalle stelle, che sono piccoli segni, minimi, ma sono i  segni di quella luce che è iscritta nella creazione come una promessa. Allʼuomo, al cosmo, è promessa  la luce.
E se voi andate dallʼaltra parte della Bibbia, al capitolo 22 dellʼApocalisse, quindi proprio alla fine,  trovate queste parole (pensate alla Gerusalemme celeste dove cʼè un fiume dʼacqua viva che passa  attraverso la città poi cʼè la piazza…:

E non vi sarà più maledizione.
Il trono di Dio e dellʼAgnello
sarà in mezzo a lei
e i suoi servi lo adoreranno;
vedranno la sua faccia
e porteranno il suo nome sulla fronte.
Non vi sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada,
né di luce di sole,
perché il Signore Dio li illuminerà
e regneranno nei secoli dei secoli.
Poi mi disse: «Queste parole sono certe e veraci.»
 (Ap 22,3-6)

Allora il culmine della storia è la vittoria definitiva sulle tenebre. Quella prima vittoria, che era la  creazione, ma una vittoria ancora intermittente, viene portata a compimento con la nuova creazione,  quella della Gerusalemme celeste.
Il senso della storia e il senso della vita è questo: bisogna passare attraverso la morte, ma quando  questo passaggio attraverso la morte è in obbedienza alla parola di Dio, quel passaggio non produce  lʼannientamento, ma introduce lʼuomo nella pienezza della vita.
Questo dice la veglia pasquale. Questo è il motivo per cui è così importante, perché tutto il resto  che possiamo celebrare, tutte le feste, non sono altro che delle declinazioni di questo annuncio: lʼan- nuncio fondamentale è la vittoria sulla morte, è la manifestazione nel mondo della luce di Dio, come  luce eterna. La luce, evidentemente è un simbolo che si porta dentro vita, giustizia. amore, comunio- ne, pace (potete moltiplicare le espressioni). La luce è un simbolo sintetico, da questo punto di vista.  Questa la veglia pasquale.

Il fondamento è quel versetto famoso del libro dellʼEsodo in cui si dice che quando Dio ha liberato  Israele dallʼEgitto ha vegliato: per una notte Dio è stato sveglio perché doveva liberare il suo popolo,  doveva accompagnare il suo popolo fino alla libertà. E siccome il Signore ha vegliato per il suo popolo,  il popolo veglierà per il Signore, per ricordare la bontà e la misericordia e la premura di Dio, che ha  operato meraviglie nei confronti di Israele.
Ma allora vale forse la pena che riprendiamo la terza delle letture della veglia Pasquale. La prima  è Genesi 1, da cui siamo partiti; la seconda è Genesi 22, di cui abbiamo parlato ieri sera, Abramo e il  sacrificio di Isacco; la terza  è il capitolo 14 del libro della Esodo, il famoso racconto del passaggio  del mare, che proviamo a leggere brevemente in tre parti. Tutte e tre queste sezioni incominciano così: 

“Il Signore disse a Mosè”. Leggiamo dunque la prima parte: Il Signore disse a Mosè: «Comanda agli Israeliti che tornino indietro e si accampino davanti a Pi-Achirot, tra Migdol e il mare, davanti a Baal-Zefon; di fronte ad esso vi accamperete presso il mare. Il faraone penserà degli Israeliti: Vanno errando per il paese; il deserto li ha bloccati! Io renderò ostinato il cuore del faraone ed egli li inseguirà; io dimostrerò la mia gloria contro il faraone e tutto il suo esercito, così gli Egiziani sapranno che io sono il Signore!».
Essi fecero in tal modo.
Quando fu riferito al re dʼEgitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: «Che abbiamo fatto, lasciando partire Israele, così che più non ci serva!».
Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati.
Prese poi seicento carri scelti e tutti i carri di Egitto con i combattenti sopra  ciascuno di essi. Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re di Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso il mare: tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito si trovarono presso Pi-Achirot, davanti a Baal-Zefon.
Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani  muovevano il campo dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. Poi dissero a Mosè: «Forse perché non cʼerano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto? Che hai fatto, portandoci fuori dallʼEgitto? Non ti  dicevamo in Egitto: Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire lʼEgitto che morire nel deserto?». Mosè rispose: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi starete  tranquilli».  (Es 14,1-14)

Dunque la prima parte è fondamentalmente il cammino di Israele verso il mare. Israele aveva preso  una strada; il Signore lo fa tornare indietro e lo fa andare contro il mare, quindi gli fa sbagliare strada,  in qualche modo. Invece di prendere la strada che poteva salire direttamente verso la terra promessa,  il Signore li fa tornare indietro e andare contro il mare. In modo tale che il faraone dice: “Sono così  imbranati che non sanno nemmeno trovare la strada per andare via dallʼEgitto” e mette insieme tutto  il suo esercito per inseguire Israele, perché sente la partenza di Israele come una perdita da un punto  di vista economico: quella degli Israeliti era manodopera a basso prezzo, non costava niente e perderla  vuol dire una diminuzione di ricchezza per lʼEgitto. Il faraone si pente quindi di aver lasciato partire  Israele e si mette allʼinseguimento di Israele.
Anche se tutto questo, che avviene motivato dalla avidità, dalla volontà di potere e di dominio, sta  dentro un disegno più grande. Il Signore è più grande di Faraone e vede più in là. Ha un suo disegno  in cui anche lʼavidità del faraone e dellʼEgitto entrano come un elemento, in ultima analisi, utile. Vediamo allora gli egiziani che inseguono gli israeliti che sono accampati ormai verso il mare. La  situazione è tragica perché da una parte ci sono gli egiziani, dallʼaltra cʼè il mare; egiziani e mare  significano, tutti e due, morte. Non cʼè possibilità di Israele di resistere: non è un popolo, non ha un  esercito, non ha una difesa, non è organizzato, non ha una legge, non ha niente. Quindi è alla mercé  dellʼesercito di Faraone.
Siamo arrivati alla fine della prima tappa. Notate, siamo contro il mare, verso sera, alla fine del giorno,  il giorno sta finendo.

La seconda parte è la notte e questa volta facciamo un passo avanti: 

Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare allʼasciutto. Ecco io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri».
Lʼangelo di Dio, che precedeva lʼaccampamento dʼIsraele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro. Venne così a trovarsi tra lʼaccampamento degli Egiziani e quello dʼIsraele. Ora la nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non  poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte. 
Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento dʼoriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sullʼasciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono con tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri, entrando dietro di loro in mezzo al mare. 
Ma alla veglia del mattino il Signore dalla colonna di fuoco e di nube gettò uno  sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!». (Es 14,15-25)

La seconda scena è di notte, ed è nel mare: si passa attraverso il mare.
Ricordate quello che dicevamo prima: il mare significa morte. Il valore simbolico dellʼacqua è  ambiguo: lʼacqua può indicare vita, quando è lʼacqua di sorgente; lʼacqua può indicare morte quando  è lʼacqua di mare. Almeno, nel simbolismo di Israele lʼottica è questa. Probabilmente perché Israele  non è mai stato un popolo marinaro, è un popolo di montagna, ha sempre avuto una diffidenza istin- tiva nei confronti del mare; anche perché il mare è infido, non si sa mica fin dove arrivi, solo Dio è  stato capace di mettergli un confine e dire: “arriverai fin qui e non oltre”. Mentre la terra è solida, ci si  possono piantare i piedi bene, del mare non ci si può mai fidare del tutto. Il mare è morte.
Eppure, passiamo in mezzo al mare! Ed è significativo.

Il Signore dà le indicazioni a Mosè, la carovana degli israeliti viene separata da quella degli egi- ziani. Lʼangelo del Signore si mette in mezzo e la nube si mette in mezzo, in modo che non si possono  avvicinare.
Israele entra nel mare. Entra nel mare vuol dire: incomincia una marcia verso oriente. Alle spalle  lascia lʼEgitto e lascia lʼesercito egiziano; a destra e sinistra ha le acque del mare. Quindi ha attorno  a sé la morte. Cʼè unʼunica strada possibile: davanti, quella della promessa di Dio, della chiamata di  Dio, del comando di Dio quando dice: “Alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché  gli Israeliti entrino nel mare allʼasciutto”. E gli israeliti debbono percorrere questa via misteriosa,  attraverso il cuore del mare, quindi attraverso la morte, fidandosi della parola di Dio. Non hanno altra  sicurezza.
E, se avete notato, è proprio quello che era stato indicato prima, quando gli israeliti, impauriti per  lʼesercito egiziano che vedevano alle spalle venire contro di loro, gridano al Signore e dicono a Mosè  quel lamento che è significativo: “«Forse perché non cʼerano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire  nel deserto? Che hai fatto, portandoci fuori dallʼEgitto? Non ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare e  serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire lʼEgitto che morire nel deserto?»”.
Ci sono cinque volte la parola Egitto e due volte la parola deserto: cʼè il riferimento ai sepolcri in  Egitto e alla morte nel deserto. Il problema è lì: vita o morte.
Israele sarebbe disposto alla schiavitù pur di poter vivere: “Non ti dicevamo quando eravamo in Egitto:  “Lasciaci stare, serviremo lʼEgitto”? Siamo disposti a servire lʼEgitto, perché tu ci porti in un luogo,  verso il deserto, che è per noi minaccioso, in cui non abbiamo sicurezza, in cui non abbiamo certezza  di sopravvivere. È situazione pericolosa, minacciosa, quella verso cui ci porti”.
Quel passaggio attraverso il mare dice proprio questo: passare attraverso la morte non è cosa facile,  non è un itinerario turistico: è un cammino di angoscia, di paura, e che può essere solo di fede. Verso  oriente, verso la luce, verso il sole, verso il giorno nuovo.

Allora Mosè stende la mano, passano attraverso il mare, mentre il Signore scompiglia gli egiziani.  Perché anche gli egiziani entrano nel mare, ma non entrano per fede nella parola del Signore. Entrano  nella morte portati dalla loro avidità, dal desiderio di imporre il proprio potere, dalla volontà di fare  degli schiavi e di tenere degli schiavi: questo è il motivo per cui entrano nel mare. Israele entra per  fede; gli egiziani entrano per avidità, per voglia di potere.
E quelle acque del mare, acque di morte, che diventeranno per Israele il passaggio verso la novità  della vita, diventeranno invece per gli egiziani le acque della distruzione, dellʼannientamento. Vengono  sommersi dalle acque che rifluiscono.

La conclusione, terza fase, brevemente:
Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli  Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri».
Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello  consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto lʼesercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sullʼasciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro lʼEgitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo servo Mosè.  (Es 14,26-31)

Ci sono alcune cose interessanti. Come dicevo, il cammino di Israele ha queste tre tappe: la pri- ma, verso sera, si trova di fronte al mare; la seconda, di notte, attraversa il mare; la terza, sul far del  mattino, quando incomincia un giorno nuovo, è dallʼaltra sponda del mare, è dalla parte della libertà,  dalla parte del deserto.
Questo itinerario è incominciato segnato dalla paura: “«Non ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare e  serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire lʼEgitto che morire nel deserto?»”. Intervento  di Mosè: “«Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi;  perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi  starete tranquilli»”. È un intervento diremmo profetico, da profeta; lo stile è quello dei profeti. Mosè  invita a non avere paura perché la dinamica è proprio lì: o fede o paura.
Cʼè da scegliere! Siccome il confronto è con la morte e siccome di fronte alla morte lʼuomo non ha  gli strumenti di difesa - Israele non ha strumenti di difesa - i casi sono solo due: o si lascia prendere  dalla paura della morte o blocca la paura della morte con la sua fiducia in Dio, con la sua speranza in  Dio. Mosè lo invita esattamente a questo: “«Non abbiate paura!”.

È unʼespressione che troverete chissà quante volte nella Bibbia ed è una dimensione essenziale  della fede: aver fede vuol dire non avere paura.
Lo ricordavamo lʼaltro giorno leggendo Geremia, al capitolo 10: sono i pagani che hanno paura dei  segni dei cieli, non voi. La vostra fiducia non è fondata sul cielo ma su Dio e proprio per questo i segni  del cielo non vi spaventino, non vi terrorizzino. La fiducia in Dio opera questo.
E, come dicevo, è una dimensione costante nella visione della fede. Al capitolo 30 di Isaia, al versetto  15, cʼè un versetto straordinario: si riferisce a quei tentativi del regno di Giuda di ottenere nei momen- ti di pericolo, di minaccia, il sostegno militare dellʼEgitto. LʼEgitto è sempre stata una delle grandi  potenze del vicino-antico oriente e Giuda, Israele, che stanno in mezzo, tra lʼEgitto da una parte e gli  imperi mesopotamici dallʼaltra, hanno sempre oscillato nel cercare appoggi o da una parte o dallʼaltra.  Al tempo di Isaia ci sono tentativi di ottenere il sostegno militare dellʼEgitto:

Siete partiti per scendere in Egitto
senza consultarmi, 
per mettervi sotto la protezione del faraone
e per ripararvi allʼombra dellʼEgitto. 
[È un rimprovero che il Signore fa al suo popolo]
La protezione del faraone sarà la vostra vergogna
e il riparo allʼombra dellʼEgitto la vostra confusione.
[…]
Tutti saran delusi di un popolo che non gioverà loro,
che non porterà né aiuto né vantaggio
ma solo confusione e ignominia. (Is 30,2-3.5)

Dirà in un altro testo: il sostegno dellʼEgitto è il sostegno di una canna spezzata, se ci metti la mano  sopra ti fora la mano, non ti sostiene.
Sempre in questo capitolo 30, al versetto 15 cʼè scritto:

Poiché dice il Signore Dio,
il Santo di Israele:
«Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, 
nellʼabbandono confidente sta la vostra forza».
Ma voi non avete voluto, 
anzi avete detto: «No, noi fuggiremo su cavalli».
– Ebbene, fuggite! –
«Cavalcheremo su destrieri veloci».
Ebbene più veloci saranno i vostri inseguitori. 
Mille si spaventeranno per la minaccia di uno, 
per la minaccia di cinque vi darete alla fuga, 
finché resti di voi qualcosa
come un palo sulla cima di un monte
e come unʼasta sopra una collina.  (Is 30,15-17)

Secondo Isaia non cʼè alternativa: la conversione e la calma. Non la calma senza la conversione,  ma la conversione deve provocare la calma, cioè la fiducia nel Signore. Conversione e calma: lì sta la  vostra salvezza. Abbandono confidente: questa è la fede, questa è la vostra forza.
Se tu rifiuti questo e dici: “no, io voglio avere la sicurezza dei cavalli con cui posso scappare”, la tua  vita diventerà unʼimmensa fuga, non farai altro che fuggire da una cosa o dallʼaltra. Pensi in questo  modo di sfuggire ai tuoi inseguitori? Saranno più veloci loro: prima o poi la morte, a Samarcanda o  da unʼaltra parte, ti raggiunge. Quindi, non cʼè possibilità di fuggire, da questo punto di vista; anzi, la  minaccia di uno spaventerà addirittura mille, a motivo di cinque ci daremo alla fuga finché non resti  di noi quasi niente, “un palo sulla cima di un monte, unʼasta sopra una collina”.

Nellʼottica di Isaia, così come nellʼottica di questo brano, la lotta radicale dellʼuomo è quella contro  la morte e contro le diverse forme della morte: la solitudine, la sconfitta, il distacco, lʼisolamento, il  fallimento, la malattia… Dobbiamo confrontarci con questo. La possibilità che ci è data è la fede, con  quel cammino che ci viene indicato attraverso le acque della morte.
Vuol dire: non ci viene cancellata la prova di passare attraverso la morte, ma quel passaggio ormai  diventa il passaggio verso oriente, verso la luce, in obbedienza alla parola di Dio. Per cui la marcia  degli Israeliti, si potrebbe dire, è il passaggio dalla paura (allʼinizio) alla fede (alla fine) perché termina:  “Il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo servo Mosè”.
Temette il Signore vuol dire: non che ha avuto paura, ma vuol dire che lo ha riconosciuto e che ha dato  a Dio quellʼonore che gli spetta; ha trovato lʼatteggiamento giusto nei confronti di Dio, che è quello  della fiducia e dellʼabbandono senza riserve. Questo timore di Dio si esprime nella fede.

Stranamente, e credo sia lʼunico caso nella Bibbia, si dice: “Credette in lui – in Dio, e fin qui non  cʼè problema – e nel suo servo Mosè”. Questo è sorprendente, credo che sia lʼunico caso in cui si  raccomanda la fede in un uomo, la fede in Mosè. Mi interessa perché probabilmente a questo versetto  fa riferimento, o si collega, il capitolo 14 di Giovanni dove Gesù, durante lʼultima cena, dice ai suoi  discepoli così:

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve lʼavrei detto. Io vado a  prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via» (Gv 14,1-)

Il tema è lo stesso perché anche qui stiamo parlando della morte di Gesù: il Gesù che se ne va è  il Gesù della passione e della morte. I discepoli avranno anche loro il turbamento di fronte a questa  presenza inquietante della morte, ma sono invitati, come Mosè, dal Signore a non lasciarsi prendere  dalla paura. Non abbiate paura, state  tranquilli “non sia turbato il vostro cuore”, abbiate fede in Dio,  abbiate fede anche in me.
Quel cammino che Gesù percorre è il cammino della Pasqua: passa attraverso la morte per giungere  alla pienezza della vita.
Quel cammino diventa anche il cammino del credente: “«Del luogo dove io vado, voi conoscete la  via»”. La via è Gesù stesso, è lui solo che ha percorso vittoriosamente il cammino attraverso la morte.  E attraverso di lui questa speranza viene data anche a noi: di percorrere il medesimo cammino attra- verso la morte per raggiungere quella luce che è promessa davanti ai nostri occhi, che è  il compimento  della creazione di Dio.
Quando Dio ha creato il mondo non lo ha creato perché il mondo torni nel nulla o nel caos. Lo ha  creato perché questo mondo, in qualche sua dimensione, entri nella vita stessa di Dio, partecipi della  vita stessa di Dio. È quello che è avvenuto nella risurrezione di Gesù; è quello che è promesso nella  vita e nella risurrezione del credente.

Allora si può rileggere tutta la nostra vita come vita Pasquale. La veglia Pasquale, quellʼandare da  occidente verso oriente, quel passare attraverso la notte e arrivare al mattino, allʼalba, alla celebra- zione dellʼEucaristia nuova. Eʼ vero che adesso la veglia pasquale generalmente finisce prima, non  siamo così robusti da passare tutta la notte in veglia (che sarebbe anche una cosa simpatica e sarebbe  significativa), però il significato simbolico è esattamente quello: il mattino di Pasqua è il segno di un  mondo nuovo che si apre. Siamo morti, siamo scesi nelle acque della morte insieme con Cristo e come  Cristo siamo resuscitati per una esistenza nuova.
Naturalmente questa esistenza nuova prendetela non come esistenza magica (ci ritorneremo sopra  nellʼEucaristia perché oggi è la festa di Tutti i Santi), non vuol dire che cʼè stato messo dentro al sangue  un qualche cosa che ha caratteristiche di magia o cose del genere, ma vuol dire che siamo stati inseriti  dentro al mistero dellʼobbedienza di Gesù al Padre, dentro al mistero dellʼamore di Gesù per gli altri,  perché è attraverso questa obbedienza e questo amore che la vita dellʼuomo diventa divina.
La divinità della vita umana non è una qualità magica, un prodotto magico, una pietra filosofale o  altre cose del genere, che cambiano la nostra natura: è invece lʼentrare dentro alla natura di Dio, come  natura di amore, di giustizia, di verità, di compimento, di dono di sé. Questa è quella vita nuova che  ci viene promessa e donata.
Allora non cʼè dubbio, che questo discorso della Pasqua può portare a compimento tutto quello che  dicevamo nei giorni scorsi: a partire dalla creazione, tra la creazione e la nuova creazione, tra quella  vittoria provvisoria sulle tenebre che è il primo giorno, “separò la luce dalle tenebre”, a quella vittoria  definitiva sulle tenebre che è invece lʼultimo giorno “non vi sarà più maledizione” – quindi non ci sarà  più morte: se benedizione, abbiamo detto, è vita, maledizione è morte – “non vi sarà più maledizione”  e “non avranno più bisogno di luce”, della luce del sole o di luce di lampada, perché lʼAgnello diventa  lui la luce di questa esistenza nuova, di questa Gerusalemme nuova.

S.E. Mons. LUCIANO MONARI

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