lunedì 15 marzo 2021

PIO IX

 


L'opera del vero "giacobino": Cavour 

La caduta della fortezza di Gaeta, il 13 febbraio 1861, segna l'epilogo della invasione del Regno delle Due Sicilie. Il 26 febbraio Garibaldi "cede" l'Italia meridionale a Vittorio Emanuele II. Il 17 marzo 1861, la «Gazzetta Ufficiale» di Torino, in un decreto di un solo articolo annunzia che: «Il Re Vittorio Emanuele assume per sé e i suoi successori il titolo di Re d'Italia».

Il Re d'Italia sarà Sovrano «per grazia di Dio e per volontà della Nazione» e sarà Secondo e non Primo, come avrebbero voluto i parlamentari più progressisti, nel tentativo di trovare un compromesso tra la Rivoluzione e la legittimità.

Assumendo, in quello stesso mese, la responsabilità del primo ministero dell'Istruzione dell'Italia unita, Francesco De Sanctis traccia, il 13 aprile alla Camera, il programma di cui, come è stato avvertito, la storia italiana postunitaria sembra rappresentare, fino ai nostri giorni, il puntuale svolgimento 106. Da Francesco De Sanctis a Giovanni Gentile, fino ad Antonio Gramsci, collegando momenti politici diversi, si svolge un'identica linea culturale, contenuta in nuce in tutte le sue potenzialità, nella Rivoluzione risorgimentale. Machiavelli, per questo filone di pensiero, è il "Lutero italiano" 107, e di Machiavelli il conte di Cavour è illegittimo erede nel XIX secolo.

Cavour, più ancora di Mazzini, è il vero "giacobino" d'Italia; se infatti si approfondisce la questione, osserva Gramsci, «appare che per molti riguardi la differenza fra molti uomini del Partito d'Azione e i moderati era più di "temperamento" che di carattere organicamente politico» 108. Il "realismo" cavouriano sta alla «astrattezza» mazziniana come la «guerra di posizione» di Lenin sta alla «guerra manovrata» di Trotzki 109: «Insistere nello svolgimento del concetto che, mentre Cavour era consapevole del suo compito in quanto era consapevole criticamente del compito di Mazzini, Mazzini, per la scarsa o nulla consapevolezza del compito di Cavour, era in realtà anche poco consapevole del suo proprio compito» 110.

Se, dunque, il progetto rivoluzionario ha il suo esordio "profetico" nel messianismo di Giuseppe Mazzini e di Vincenzo Gioberti e la sua prefigurazione nella Repubblica Romana, esso deve la sua realizzazione all'opera di Cavour, esplicitandosi, a pochi giorni di distanza dalla promulgazione del Regno d'Italia, nella enunciazione da parte del conte piemontese della formula «libera Chiesa in libero Stato» e nel suo solenne impegno pubblico a fare di Roma la capitale del nuovo Stato unitario 111.

Scrivendo il 22 ottobre di quello stesso 1862 a Pedros V di Portogallo, genero di Vittorio Emanuele II, Pio IX esprime questo giudizio sulla Rivoluzione italiana: «Questo rovescio di principii, questa studiata perdita del senso morale e del retto giudizio è quello che affligge il mio cuore più assai della perdita dello Stato della Chiesa. (...) Guai (...) a coloro che, stringendo la mano potente con tutti gli uomini della rivoluzione, hanno aperto la strada a costoro per poter commettere impunemente ogni genere di iniquità. Dio li osserva dal trono della sua giustizia, e io non posso fare altro che pregare per loro, affinché ottengano il lume necessario per vedere a tempo l'enorme abisso nel quale vanno a precipitare» 112

Roberto De Mattei


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