mercoledì 16 novembre 2022

IL TEMPIO DEL SUO CORPO

 


VITA DI CRISTO 


IL TEMPIO DEL SUO CORPO  

I templi son luoghi ove Dio ha la Sua dimora. qual era, allora, il vero tempio di Dio? Forse che il vero tempio era il gran tempio di Gerusalemme così ricco di magnificenza materiale? Ovvia dovevano stimare i Giudei la risposta a codesta domanda; sennonché, proprio allora, Nostro Signore si accingeva a fare intendere che esisteva un altro tempio. I pellegrini, in quei giorni, salivano a Gerusalemme in occasione della Pasqua, e tra essi, dopo aver brevemente sostato a Cafarnao, era Nostro Signore, con i Suoi primi discepoli. Il tempio costituiva uno spettacolo davvero stupendo, specie da quando Erode ne aveva quasi completato la ricostruzione e gli ornamenti: un anno dopo, dal monte degli Ulivi, gli Apostoli stessi, a vederlo brillare al sole mattutino, sarebbero stati a tal punto colpiti dal suo splendore da invitare Nostro Signore e guardarlo e ad ammirarne la bellezza.  

S'intende che chiunque si recasse a sacrificare doveva pensare a procurarsi gli animali da immolare; e, inoltre, le vittime da sacrificare dovevano venir stimate e valutate secondo le norme fissate nel Levitico; di conseguenza, era sorto un fiorente commercio d'ogni specie d'animali propiziatori. A poco a poco, i venditori di agnelli e di colombi s'erano spinti sempre più vicino al tempio, così da inzepparne le strade di accesso, e alcuni di essi, e soprattutto i figli di Anna, avevano perfino occupato l'ingresso al Portico di Salomone, dove attendevano a vender colombi e bestiame e a cambiar moneta. Ogni visitatore, in occasione dei festeggiamenti, doveva pagare mezzo siclo per contribuire a coprire le spese del tempio, e, poiché non si accettava valuta straniera, i figli di Anna, a stare a quel che racconta Giuseppe Flavio, trafficavano, presumibilmente con gran lucro, nel cambio di monete. Ci fu un tempo in cui una coppia di colombi veniva venduta per una moneta d'oro che, oggi, in valuta americana, varrebbe circa due dollari e cinquanta cents; ma questo abuso venne corretto dal nipote del grande Hillel, il quale ridusse il prezzo di circa la metà. Monete d'ogni sorta, che avevano corso a Tiro, in Siria; in Egitto, in Grecia e a Roma, circolavano nel tempio, dando luogo a un prospero mercato nero tra i cambiavalute. Tanta era la corruzione che Cristo definì il tempio «una spelonca di ladri»; e il Talmud stesso, difatti, protestava contro coloro che avevano in tal modo contaminato quel luogo sacro.  

Notevole interesse suscitò fra i pellegrini quel primo ingresso di Nostro Signore nel sacro recinto. Era quella non soltanto la Sua prima apparizione pubblica al cospetto della nazione ma anche la Sua prima visita al tempio in qualità di Messia. A Cana, aveva già operato il Suo primo miracolo: adesso veniva nella casa del Padre per asserire un diritto filiale. E, trovatosi al centro di quella scena assurda, in cui le preghiere si mescolavano con l'offerta blasfema dei mercanti, e il tintinnio delle monete si accompagna al gridio del bestiame, il Nostro Signor Benedetto si sentì pieno di zelo per la casa del Padre Suo; cosicché, fatto un piccolo flagello con alcune cordicelle che giacevano d'intorno e che probabilmente erano servite ad allacciare i colli degli animali, si diede a scacciare e questi e coloro che ne traevano guadagno. D'altra parte, forse perché invisi al popolo, forse perché paventavano lo scandalo, quegli sfruttatori si guardarono bene dall'opporre la benché minima resistenza all'azione del Salvatore. Ne risultò una scena selvaggia: le bestie si precipitavano all'impazzata in tutte le direzioni e i cambiavalute afferravano quanto più denaro potevano mentre il Salvatore ne rovesciava le tavole. Inoltre, Egli aprì le gabbie dei colombi e rese ad essi la libertà.  «Portate via di qui queste cose, e non cambiate la casa del Padre mio in un mercato» (Giov. 2: 16)  

Perfino quelli che più avevano dimestichezza con Lui dovettero stupire nel vederLo, col flagello in pugno e gli occhi fiammeggianti, scacciare uomini e bestie dicendo:  «La mia casa sarà chiamata casa di orazione per tutte le nazioni, ma voi l'avete ridotta una spelonca di ladri» (Marco 11: 17)  

«I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: 'Lo zelo della tua casa mi consuma'. (Giov. 2: 17)  La parte del tempio dalla quale Nostro Signore scacciò i mercanti era nota col nome di Portico di Salomone, costituiva il lato orientale dell'Atrio dei Gentili, e doveva servire a simboleggiare che tutte le nazioni del mondo sarebbero state colà bene accette; ma i mercanti l'avevano insozzata; e adesso Egli aveva chiarito che il tempio era destinato a tutte le nazioni, e non soltanto a Gerusalemme: che era casa di orazione per i Magi come per i pastori, per le missioni estere come per le missioni nazionali.  

Chiamò il tempio «casa del Padre mio», affermando in pari tempo la Propria parentela filiale col Padre Celeste. Quanto a coloro che erano stati scacciati dal tempio, non Gli misero le mani addosso, e neppure Lo biasimarono come se Egli avesse fatto alcunché di male: si limitarono, invece, a chiederGli un segno, od una garanzia, che giustificasse le Sue azioni. Solitario e austero Egli se ne stava fra le monete che si sparpagliavano, le bestie che si disperdevano, e i colombi che volavano in questa e quella direzione, quando gli domandarono:  «Qual segno ci dai per fare queste cose?» (Giov. 2: 18)  

Sbalorditi com'erano dalla capacità da Lui manifestata di dar libero corso a una giusta indignazione (che costituiva l'altro aspetto del carattere letificante che Egli aveva palesato a Cana), Gli chiedevano un segno. Egli aveva già dimostrato loro d'esser Dio, perché ad essi appunto aveva detto che avevano profanato la casa del Padre Suo; epperò, chiedere un altro segno era come chiedere una luce per vedere una luce. E tuttavia Egli diè loro un secondo segno:  «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo riedificherò» (Giov.2: 19)  

Coloro che udirono tali parole non le dimenticarono mai più: tre anni dopo, al processo, modificandone un tantino i termini, le avrebbero rivolte contro di Lui, accusandoLo di aver detto:  «Io distruggerò questo tempio fatto da mano di uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro» (Marco 14: 58)  

E di quelle Sue parole si ricordarono quando Egli fu crocifisso:  «Dicevano: 'Tu che distruggi il tempio di Dio e in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso, scendi dalla croce!'» (Marco 15: 29, 30)  

E da quelle Sue parole erano ossessionati quando domandarono a Pilato di badare a che il di Lui sepolcro fosse custodito:  «Ci siamo ricordati che quell'impostore da vivo ha detto: 'Dopo tre giorni risusciterò'. Dà ordini dunque che il suo sepolcro sia custodito fino al terzo giorno, affinché i suoi discepoli non vengano a rubare il corpo» (Matt. 27: 63, 64)  

Il tema del tempio riecheggiò durante il processo e il martirio di Stefano, allorché i persecutori produssero contro di lui la seguente accusa:  «Quest'uomo non cessa di proferir parole contro il luogo santo» (Atti 6: 13)  

Certo è che nel dire: «Distruggete», Egli aveva lanciato una sfida. Non aveva detto: «Se distruggete ...» Li aveva direttamente sfidati a mettere alla prova il Suo potere regale e sacerdotale mediante una Crocifissione. Alla quale avrebbe risposto con una Risurrezione.  

È importante osservare che nell'originale greco del Vangelo Nostro Signore non impiegò la parola hieron, ch'era quella con cui i Greci denominavano di solito il tempio, bensì la parola naos, che significava il Santo dei Santi del tempio. In sostanza, Egli disse: «Il tempio è il luogo in cui Dio ha la Sua dimora. Ora, voi avete profanato il vecchio tempio; ma c'è un altro Tempio. Distruggete questo nuovo Tempio, crocifiggendomi, e in tre giorni io lo farò risorgere. Anche se distruggerete il mio Corpo, che è la casa del Padre mio, con la mia Risurrezione darò a tutti i popoli il possesso del nuovo Tempio». È assai probabile che, così dicendo, il Nostro Signore Benedetto alludesse al Proprio Corpo. Ché i templi possono esser fatti tanto di pietra e di legno quanto di carne e di ossa. Il Corpo di Cristo era un Tempio, perché in Lui dimorava, corporalmente, la pienezza di Dio. E immediatamente i Suoi provocatori ribatterono dicendo:  «Ci son voluti quarantasei anni a edificare questo tempio, e tu lo rimetteresti in piedi in tre giorni» (Giov. 2: 20)  

Può darsi che si riferissero al tempio di Zorobabel, a edificare il quale erano occorsi appunto quarantasei anni: iniziata nel 559 a. c., anno primo del regno di Ciro, la fabbrica era terminata infatti nel 513, anno nono del regno di Dario. E può darsi anche che si riferissero alle modificazioni intraprese da Erode, che proseguivano, forse, da quarantasei anni. Tali modificazioni iniziate verso il 20 a. C., non furono compiute prima del 63 d. C. Ma, com'ebbe a scrivere Giovanni, Egli:  «parlava del tempio del suo corpo. Più tardi, quando fu risuscitato dai morti, i discepoli si ricordarono ch'egli aveva detto questo» (Giov. 2: 21,22)  

La memoria del primo tempio di Gerusalemme era legata a grandi re, come Davide che lo aveva progettato, e Salomone che lo aveva edificato; il secondo tempio risaliva ai grandi condottieri del ritorno dalla cattività; mentre la restaurazione del tempio di cui parliamo, col suo sfarzoso splendore, era imprescindibile dalla stirpe regale di Erode. Ma tutte queste ombre di templi dovevano essere cancellate dal vero Tempio, ch'essi avrebbero distrutto il Venerdì Santo. Nel momento in cui esso venne distrutto, il velo che ricopriva il Santo dei Santi fu squarciato dall'alto in basso, e squarciato fu anche il velo della carne di Lui, rivelando in tal modo il vero Santo dei Santi, il Sacro Cuore del Figliuolo di Dio.  

In un 'altra occasione, parlando ai Farisei, Egli adoperò la medesima immagine del tempio:  «Ora io vi dico che v'è qui Uno più grande del tempio» (Matt. 12: 6)  In tal modo rispose alla loro richiesta d'un segno. Il segno sarebbe stato la Sua morte e Risurrezione. Più tardi, ai Farisei, promise il medesimo segno, sotto il simbolo di Giona: la Sua autorità non sarebbe stata provata solamente dalla Sua morte, bensì dalla Sua morte e dalla Sua Risurrezione. La morte sarebbe stata prodotta e dalla malvagità umana e dalla Sua compiacenza; la Risurrezione, solo dall'onnipotenza di Dio. Allora, Egli chiamò il tempio casa del Padre Suo; tre anni dopo, quando se ne dipani per l'ultima volta, non lo chiamò più casa del Padre Suo, perché il popolo Lo aveva sconfessato; sebbene disse:  «Ecco, la vostra casa vi sarà lasciata deserta» (Matt. 23: 38)  Esso non era più la casa del Padre, bensì la casa loro. Il tempio terreno cessa di essere la dimora di Dio allorché diventa il centro d'interessi mercenari. Senza di Lui, non era più il caso di parlar di tempio.  

Qui, come altrove, Egli provò di essere il Solo che fosse venuto al mondo per morire. La Croce non sopravvenne alla fine della Sua vita: fin dal principio d'ogni cosa era sospesa sopra di Lui. Egli disse loro: «Distruggete», ed essi Gli dissero: «Crocifiggilo». Mai Tempio fu distrutto più sistematicamente del Suo Corpo. La cupola del Tempio, la Sua testa, fu incoronata di spine; le fondamenta, i Suoi sacri piedi, furono perforate con chiodi; i transetti, le Sue mani, furono allungati in forma di croce; il Santo dei Santi, il Suo Cuore, fu trafitto con una lancia.  

Satana Lo aveva tentato a compiere un sacrificio apparente esortandoLo a lanciarsi giù dal pinnacolo del tempio, e Nostro Signore aveva respinto quella forma spettacolare di sacrificio; ma quando quelli che avevano insozzato la casa del Padre Suo Gli chiesero un segno, Egli offrì loro un segno di specie diversa: quello del Suo sacrificio sulla Croce. Satana Gli aveva suggerito di precipitarsi giù, e ora Nostro Signor Benedetto disse che, in verità, Egli si sarebbe precipitato nel disonore della morte; ma il Suo sacrificio non sarebbe stato un gesto d'insulso esibizionismo, bensì un atto di autoumiliazione redentrice. Satana Gli aveva proposto di esporre il Suo Tempio alla possibilità di crollare per amore di esibizionismo, di ostentazione; e Nostro Signore, invece, espose il Tempio del Suo Corpo alla certezza di crollare per amor di salvezza e di espiazione. A Cana, aveva detto che andava verso la Sua «Ora»; nel tempio, disse che quell'Ora Cruciale avrebbe portato alla Sua Risurrezione. La Sua vita pubblica avrebbe adempito il disegno di tali profezie.  

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN 


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