L'uomo restaurato
Abbiamo appena letto sotto la penna di Evagrio che l'akedia deve trasformarsi in uno stato di pace e in una gioia inesprimibile". E la condizione della pienezza umana e spirituale verso la quale non cessiamo mai di crescere, la misura dell'uomo perfetto in Gesù Cristo (cf. Ef 4,13). Evagrio e tutta la tradizione dei padri greci la chiamano apdtheia, Cassiano usa il termine integritas, integrità. Quest'ultima espressione è forse preferibile. Non si tratta infatti di uno stato dove le passioni dell'uomo sono annientate, bensì, al contrario, dove ritrovano la loro integrità delle origini: è la condizione primitiva in cui l'anima non era ancora ferita dalle passioni che la lacerano in tutte le direzioni. Le potenze e i desideri dell'anima, che all'origine sono state stornate dal peccato e che rischiavano di disintegrarsi sotto la violenta tempesta dell'akedia, ritrovano la loro unità. L'uomo può nuovamente essere tutto di Dio. Non bisogna però mai dimenticare che questa grazia viene accordata nell'abisso dell'akedia e della disperazione, in un momento in cui la preghiera sale de profundis, dalle profondità di un insondabile sconforto. Non fa altro che aprire questo sconforto: invoca aiuto e implora perdono. A mano a mano che il cuore è purificato dalla preghiera, raggiunge il riposo e si riconcilia con la debolezza e il peccato. Ancora meglio: finisce per distogliere gli occhi dalla propria miseria per contemplare unicamente il volto della misericordia di Dio. La contrizione allora si trasforma impercettibilmente in gioia umile e serena, in amore e in azione di grazie. Nessuna colpa, nessun peccato viene negato o scusato, ma vengono annegati e inghiottiti nella misericordia. Dove abbondava il peccato, la grazia non cessa di sovrabbondare (cf. Rm 5,20). Tutto ciò che il peccato aveva infranto viene restaurato in meglio, molto meglio di prima, dalla grazia. La preghiera porta ancora le tracce del peccato e della miseria - e senza dubbio le porta per sempre - ma la colpa è da quel momento beata, una felix culpa, come cantiamo a ogni veglia pasquale, una colpevolezza che viene inghiottita nell'amore. Tra la contrizione e l'azione di grazie non c e quasi più differenza: le due si compenetrano e le lacrime del pentimento sono anche lacrime d'amore. Poco alla volta questo sentimento gioioso di contrizione finisce per prevalere nell'esperienza spirituale. Da questa ascesi di povertà - patientia pauperum - si leva ogni giorno un uomo nuovo che è interamente pace, gioia, bontà, mitezza. Un uomo segnato per sempre dal pentimento, ma un pentimento pieno di gioia e di amore che affiora sempre e ovunque e che rimane come sottofondo della sua ricerca di Dio. Un simile uomo ha ormai raggiunto una pace profonda perché è stato spezzato e riedificato in tutto il proprio essere, per pura grazia. Stenta a riconoscersi, è diventato diverso: ha toccato da vicino l'abisso profondo del peccato, ma nello stesso istante è stato fatto precipitare nell'abisso della misericordia. Ha finalmente imparato a deporre le armi davanti a Dio, a non più difendersi da lui: resta là, disarmato e indifeso, ha rinunciato a ogni giustizia personale e non ha più progetti di santità. Le sue mani sono vuote, anzi: non contengono altro che la sua miseria, ma ora osa esporla davanti alla misericordia. Dio è finalmente diventato vero Dio per lui, e nient'altro che Dio. Il che significa Salvator, Salvatore dal peccato. L'uomo è addirittura quasi riconciliato con il proprio peccato, come Dio si è riconciliato con esso. E’ felice e riconoscente di essere debole, non è più alla ricerca della propria perfezione: "Eravamo divenuti tutti come una cosa impura e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia" (Is 64,5). La propria giustizia la possiede in Dio solo: a lui restano solo le sue ferite, ma curate e guarite dalla misericordia, e che si sono sviluppate in meraviglie. Non sa far altro che rendere grazie e lodare Dio, che è sempre all'opera in lui per compiere meraviglie. Per i fratelli e i familiari è diventato un amico, buono e mite, che capisce le loro debolezze. Non ha più fiducia in se stesso, ma in Dio solo. Vive interamente afferrato dall'amore di Dio e dalla sua onnipotenza. Perciò è anche povero, veramente povero - un povero in spirito - e vicino a tutti i poveri e a tutte le forme di povertà, spirituale e materiale. E’ il primo di tutti i peccatori - pensa tra sé - ma un peccatore perdonato: ecco perché sa stare insieme, come uno di loro, un fratello, con tutti i peccatori del mondo. Si sente vicino a loro perché non si sente migliore degli altri; la sua preghiera preferita è quella del pubblicano, diventata come il suo respiro e come il battito del cuore del mondo, il suo desiderio più profondo di salvezza e di guarigione: "Signore Gesù, abbi pietà di me, povero peccatore!". Gli resta un solo desiderio: che Dio lo metta ancora una volta alla prova per scoprire sempre meglio la sua vicinanza, per abbracciare ancora una volta l'umile pazienza con ancor più amore: quella pazienza e quell'umiltà che lo rendono così simile a Gesù e permettono a Dio di rinnovare in lui le sue meraviglie.
Nessun commento:
Posta un commento