IL DESTINO DEI GIUSTI E DEGLI EMPI
Sono 23 i luoghi nei quali i Vangeli fanno riferimento al fuoco dell'inferno, con espressioni che non attenuano la serietà del castigo annunciato nell'Antico Testamento.
Come insegna con evidenza la parola del ricco epulone, il destino dei giusti e degli ingiusti, nella fase escatologica, è differente: "Ecco lui "Lazzaro" è consolato e tu "il ricco" sei
in mezzo ai tormenti". La medesima verità viene insegnata in molti altri passi, per esempio: "Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno
nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti".
Un'altra pagina che afferma la diversa sorte dei giusti e degli ingiusti, è il cosiddetto discorso escatologico (capitoli 24 e 25 di san Matteo): "Quando il Figlio
dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore
separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra". Nel Nuovo Testamento, servendosi costantemente di termini usati dall'Antico Testamento, il Signore e gli apostoli
fanno riferimento alla condizione di dannazione eterna con diverse espressioni, oltre a inferno: Geenna, abisso, fornace ardente, tenebre esteriori, luogo di tormenti, morte seconda, ecc. Giovanni Paolo II, in linea con la
tradizione teologica e magisteriale, ne offre una linea interpretativa: "Le immagini con le quali la Sacra Scrittura ci presenta l'inferno devono essere interpretate correttamente. Esprimono l'estrema frustrazione
e vuoto di una vita senza Dio. L' inferno, più che un luogo, indica la situazione a cui giunge colui che liberamente e definitivamente si allontana da Dio, fonte di vita e di gioia".
Con dichiarazioni della Sacra Scrittura così perentorie, la fede nell'esistenza dell'inferno nel corso della storia della Chiesa è stata costante: i Padri
apostolici riprendevano le formule del Nuovo Testamento; e i primi simboli della fede affermavano l'esistenza della condanna, come per esempio quello detto Quicumque o Simbolo atanasiano, nel quale si afferma: "E
quanti operarono il bene, andranno alla vita eterna; quanti, invece, il male, nel fuoco eterno".
Nei primi secoli, solo alcuni gnostici negarono l'esistenza dell'inferno, sostenendo invece che coloro che non si salvano, saranno annientati. Ma questo "non stare
con Cristo" il Signore non lo spiega come annientamento, bensì come tormento e dolore eterno. Gli avventisti e i testimoni di Geova, basandosi su un'esegesi assai poco fondata, difendono oggi, come anticamente
alcuni gnostici, l'annientamento totale di quanti non fanno parte del numero degli eletti. Fra i successivi documenti magisteriali sono da evidenziare le definizioni sull'esistenza dell'inferno date dal Concilio
Lateranense IV (anno 1215) (nel quale viene definita anche l'eternità delle pene), dal Concilio di Lione (anno 1274) e da quello di Firenze (anno 1439) (in cui viene dichiarato che la condanna inizia immediatamente
dopo la morte).
Le più importanti affermazioni dogmatiche sull'inferno sono raccolte nella Bolla Benedictus Deus di Benedetto XII (anno 1336), nella quale si legge: "Noi inoltre
definiamo che, secondo la generale disposizione di Dio, le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale, subito dopo la loro morte discendono all'inferno, dove sono tormentate con supplizi infernali". Come
osserva il cardinale Joseph Ratzinger, la dottrina dell'inferno si scontra con la nostra idea di Dio e dell'uomo, ma è fortemente radicata nell'insegnamento di Gesù. Tanto che non è possibile
alcuna incertezza: è un dogma di fede con una base molto solida nel Vangelo e negli scritti apostolici, sia quanto all'esistenza dell'inferno che all'eternità delle pene.
Dicono fra loro sragionando: "La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi.
Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati. È un fumo il soffio nelle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore. Una volta spentasi, questa, il corpo diventerà
cenere e lo spirito si dissiperà come aria leggera. Il nostro nome sarà dimenticato con il tempo e nessuno si ricorderà delle nostre opere. La nostra vita passerà come le tracce di una nube, si
disperderà come nebbia scacciata dai raggi del sole e disciolta dal calore. La nostra esistenza è il passare di un'ombra e non c'è ritorno alla nostra morte, poiché il sigillo è posto
e nessuno torna indietro. Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli
di rose prima che avvizziscano; nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza. Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia perché questo ci spetta, questa è la nostra parte" (Sap 2,1-9).
(Tratto dalla rivista mensile “Papa Giovani” – Sacerdoti del Sacro Cuore (Dehoniani)
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