LETTERA APERTA AL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA
I fatti che attestano il genocidio vandeano, nel periodo della Rivoluzione francese, sono:
1. Il libro:
“La guerra di Vandea e il sistema di spopolamento”, scritto nel 1794 da Jean-Noel Gracchus Bebeuf, uno dei grandi della Rivoluzione francese e considerato il “Padre del comunismo”. Le stampe del libro
furono totalmente e deliberatamente distrutte e sembra
che ne siano rimaste solo otto copie in tutto il mondo;
2. Il libro “Il genocidio vandeano (1793-94)” di Reynald
Secher, perseguitato nel 1985 nella Francia di Mitterrand, per aver rivelato i massacri della Rivoluzione
francese, e che infranse il muro di omertà sui tragici avvenimenti della guerra di annientamento della Vandea;
3. Il ritrovamento, eseguito dall’antropologa Elodie Cabot
di nove fosse comuni piene di scheletri che riportano
tracce di ferite d’arma bianca agli arti e al cranio, con
segni di un feroce accanimento dei corpi, di combattenti
vandeani, ma anche di bambini e donne, nei luoghi dove
si svolse la sanguinosa guerra di sterminio della Vandea
che, si calcola, abbia provocato 350.000 morti.
Reynald Secher ha scritto: «La Vandea è stata condannata a morte, non per aver voluto difendere l’ordine antico; al contrario, essa era ferocemente rivoluzionaria, forse più di
ogni altra provincia francese. Essa voleva soprattutto la
pace, il rispetto degli uomini e dei beni e la sicurezza di
fronte ad un’amministrazione poliziesca, inquisitoriale, divoratrice di uomini e di denaro. La Vandea militare prestava fedeltà alla Rivoluzione che, ben presto però, la deluderà per la sua perversione e il suo cinismo.
Le amministrazioni, assetate di potere e assecondate da
potentati senza pudore, volevano ad ogni costo rovesciare
i modi di pensare e di decidere tradizionali, sottoponendo
le popolazioni a una frenesia rivoluzionaria. La minima ribellione portava inevitabilmente all’emarginazione, alla
messa al bando e faceva del colpevole un fuorilegge.
In tale contesto, la ribellione vandeana era inevitabile.
Tra il 1789 e il 1793, anno dell’insurrezione, non furono
rispettate le promesse della diminuzione delle imposte, la
riduzione della coscrizione e l’abolizione della corvée e la
persecuzione nei confronti del clero, iniziata alla fine del
1789. In genere, il clero aveva accettato la nazionalizzazione dei beni della Chiesa, ma non l’intervento dello
Stato in campo spirituale.
Il potere legislativo, mirante alla scristianizzazione, il 27
novembre 1790, passò all’offensiva col Giuramento costituzionale. (…) Da quel momento, si assistette a una separazione delle comunità in due gruppi ferocemente opposti: l’uno, all’origine stessa della repressione; l’altro, in
difesa dei sacerdoti che non avevano fatto il giuramento costituzionale. (…)
La rottura diventa definitiva nel marzo 1793, con la “Legge Jordan” che prevedeva l’arruolamento forzato di
300.000 uomini, per difendere la patria assediata.
Le popolazioni furono costrette a una scelta assurda: arruolarsi sotto le bandiere di un regime odiato, eventualmente perseguitando i sacerdoti che non avevano fatto il giuramento costituzionale, mentre gli stessi agenti della repressione, funzionari, sindaci, ufficiali municipali, ecc..
erano esentati dal servizio militare. La scelta, però, fu resa
facile dall’articolo 35 della “Dichiarazione dei Diritti
dell’Uomo e del Cittadino” che prevedeva la resistenza
all’oppressione: «Quando il governo viola i diritti del
popolo, l’insurrezione è, per il popolo e per ogni parte
di esso, il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei
doveri. In questo dramma, vanno distinte due tappe:
1. la prima va dal marzo del 1793, mese dell’insurrezione,
al dicembre dello stesso anno e più precisamente ai giorni 21 e 23 dicembre, data dell’annientamento militare
dei vandeani a Savenay: si tratta di una guerra civile,
certamente atroce, ma anzitutto guerra civile.
2. la seconda parte dalla fine del mese di dicembre 1793:
in questo secondo periodo si realizza l’applicazione
fredda del genocidio i cui princìpi sono stati enunciati molto presto, nel maggio del 1793.
Il 1° agosto 1794 la dichiarazione in forma di decreto è
ancor più solenne con i seguenti articoli:
– articolo VI: “dal ministero della Guerra sarà inviato materiale combustibile di ogni sorta per incendiare i boschi, i
boschi cedui e le ginestre”;
– articolo VII: “saranno abbattute le foreste, i ripari dei ribelli saranno distrutti; i raccolti saranno tagliati dalle compagnie di operai per essere trasferiti nelle retrovie dell’esercito; e il bestiame sarà requisito”;
– articolo XIV: “dichiara che i beni dei ribelli della Vandea appartengono alla Repubblica”.
Alcuni giorni dopo, seguono diversi regolamenti, poi votati dalla Convenzione, che decidono di sterminare la popolazione: “La Vandea deve essere un cimitero nazionale”, esclama Turreau.
Questo fine s’impone sia ai dirigenti sia agli esecutori.
Massimiliano Robespierre termina il suo intervento con le
parole: “Soldati della libertà, bisogna che i briganti della Vandea siano sterminati!”.
“La guerra – continuano a ripetere i membri della Convenzione – finirà solo quando non vi sarà più nessun
abitante in questa terra disgraziata (Vandea)”.
Dopo esperimenti sciagurati, l’idea di usare armi chimiche
fu abbandonata per la ghigliottina, la pallottola, la baionetta e il calcio del fucile, ma anche questi mezzi sono poi
considerati lenti e costosi. Si inventano gli annegamenti
individuali a due: si tratta di unire nudi, in posizioni
oscene, un uomo e una donna, di preferenza padre e madre, fratello e sorella, padre e figlia, parroco e religiosa; si
ammucchia il carico umano su una vecchia imbarcazione
e, una volta al largo, si sfascia il fondo con una scure e i
prigionieri muoiono annegati. Quelli che ne escono vivi
sono immediatamente colpiti a colpi di sciabola dai carnefici che, dalle loro imbarcazioni, assistono al massacro.
Ecco alcune dichiarazioni di commissari e ufficiali di polizia: “La violenza carnale e la barbarie più spinta si sono riscontrate ovunque. Si sono visti militari repubblicani usare violenza a donne ribelli su mucchi di pietre
lungo le grandi strade, ucciderle col fucile e col pugnale
allontanandosi dalle loro braccia; se ne sono visti altri
portare bambini al seno sulla punta della baionetta o
della picca che aveva infilzato con uno stesso colpo la
madre e il bambino”…
“Amery fa accendere forni e quando sono ben caldi, vi
getta le donne e i bambini (…) le grida di queste vittime
hanno divertito talmente i soldati di Turreau che hanno voluto continuare questi piaceri: mancando le femmine dei
monarchici, si sono rivolti alle spose dei veri patrioti ed
esse erano colpevoli solo di adorare la nazione…”.
“Ad Angers, Pecquel, chirurgo maggiore del 4° battaglione delle Ardenne ne ha scorticati trentadue e voleva costringere Alexis Lemonier, pellettaio ai Ponts-de-Cé, a
conciare la pelle”.
“Sempre ad Angers, il Consiglio generale decide che le teste di tutti i briganti (vandeani) morti sotto le mura della città siano tagliate e disseccate per poi essere messe
sulle mura”.
“Di fronte al castello di Clisson, il 5 aprile 1794, i soldati
del generale Crouza bruciarono 150 donne per estrarne barili di grasso che erano destinati agli ospedali di
Nantes e ai militari”.
Carrier dichiara: “Nessuna umanità verso questi feroci
vandeani; saranno tutti sterminati (…) ma non bisogna
tralasciare un solo ribelle, perché il loro pentimento non
sarà mai sincero”. Tre strutture sono incaricate di portare a
termine le operazioni:
1. le colonne infernali, la cui partenza è fissata per il 21
gennaio 1794 e che hanno lo scopo di attraversare da un
capo all’altro il paese insorto e di fare in modo che
“nulla sfugga alla vendetta nazionale”;
2. la flottiglia sulla Loira, composta di quarantun bastimenti e che doveva “ripulire le rive del fiume”, conduce operazioni brevi e rapide;
3. il comitato di sussistenza, creato il 22 ottobre 1793, il
cui obbiettivo è di raccogliere per conto della nazione
tutto il bestiame, le vettovaglie, e così via, senza dimenticare le proprietà immobiliari proscritte e abbandonate
al fine di “portare l’ultimo colpo”.
I generali, con orgoglio e con una gioia non dissimulata,
fanno essi stessi il rapporto delle operazioni: “Si farà molta strada in queste terre prima di incontrare un uomo oppure una capanna. Abbiamo lasciato dietro di noi soltanto
cadaveri e rovine…”.
“Fyau, rappresentante della Vandea al Comitato di Salute
pubblica, afferma: Non si è assolutamente incendiato abbastanza in Vandea, bisogna che per un anno nessun
uomo e nessun animale possa trovare da vivere su quel
suolo”.
Ma questo genocidio non è condotto a termine solo a causa della mancanza di mezzi e perché le truppe, costituite in
maggioranza da volontari, sono lente, indisciplinate e ossessionate al saccheggio, divenendo sempre meno efficaci
nella misura in cui, penetrandoi nell’interno del territorio,
incontrano una resistenza anche leggera.
Ai militari, troppo spesso battuti in campo aperto, la guerriglia vandeana pone un problema grave e inoltre anche alcuni generali, non fra i minori, si ribellano, come Dumas
padre, Bard che si rifiuta di “procedere a massacri organizzati”, o Kelber che “abbandona il suo comando di fronte alle esigenze selvagge del Comitato di Salute pubblica”.
Il generale di brigata Danica, scrive a Bernier: “Il 20 ottobre 1794 è un anno che grido contro tutti gli orrori dei quali
sono stato disgraziatamente testimone … dirò e proverò,
quando si vorrà, che ho visto massacrare vecchi nei loro
letti, sgozzare bambini al seno delle loro madri, ghigliottinare donne gravide e anche il giorno dopo il parto, che ho
visto bruciare enormi magazzini di grano e di derrate di
ogni genere … Le atrocità che sono state commesse sotto i
miei occhi hanno talmente afflitto il mio cuore da non
rimpiangere la vita … Lo dirò in faccia ai cannibali …”».
“Chiesa viva” *** Giugno 2020
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