lunedì 1 marzo 2021

Di Cristo o del mondo

 


Ambiente pelagico attuale 

L'eresia di Pelagio -monaco di origine britannica (354-427)-, come tentazione almeno, è permanente, e nelle varie epoche della Chiesa si manifesta con modi particolari. Pensare, o meglio, sentire che l'uomo non è stato gravemente danneggiato dal peccato originale; stimare che la sua malattia spirituale non è così grave, e in ogni caso non è mortale; considerare che può l'uomo realizzare se stesso, senza necessità di aiuto soprannaturali, sono convenzioni pelagiane, che oggi formano uno stato d'animo diffuso, anche tra molti cristiani. Tale atteggiamento, naturalmente, danneggia la fede, impedisce la vita spirituale, paralizza l'apostolato e, concretamente, fanno impossibili le vocazioni sacerdotali e religiose.
La frequente durata del pelagianesimo nella nostra epoca è stata segnalata ultimamente da molte autorità nel campo del pensiero. Di solito presentarsi sotto forma di naturalismo etico, umanesimo autonomo o altri modi di taglio volontaristico. In ogni caso, la tendenza pelagiana è un falso ottimismo antropologico, che esige di non vedere la malvagità dell'uomo e del mondo.
O almeno, non riconoscerla del tutto nelle sue conseguenze spirituali. In questo quadro mentale si inscrive oggi la diminuzione o la perdita del senso del peccato.

Pelagianesimo e uomo carnale 

I cristiani pelagiani, più vicini a Rousseau che a Gesù, affermano che l'uomo in fondo è buono; ma dimenticano che anche in fondo è cattivo.
«Voi siete malvagi», dice il Signore (Mt 12,34; Lc 11,13). Certo, il bene è più connaturale all'uomo che il male; ma non si deve ignorare che nell'uomo adamico c'è un'inclinazione così persistente all'errore e al male, che non può essere corretta senza la grazia di Cristo (Sintesi 232-234).

Pelagianismo e mondo 

Il falso ottimismo pelagiano sull'uomo dà luogo ad un falso ottimismo pelagiano sul mondo. I cristiani pelagiani di oggi hanno, senza dubbio, una difficoltà insormontabile nel riconoscere la gravità dei mali terreni, la sua radice diabolica, la sua incurabilità ai margini della grazia del Salvatore. Egli stesso «Salvatore del mondo» (Gv 4,42) è per loro irritante, sembra una provocazione, una prepotenza presuntuosa, e certamente lo evitano. E anche se non lo formulino forse in forma esplicita, essi ripongono la speranza in molte cause mondane, più o meno contrarie a Cristo. Pensano, o meglio sentono, che quelle cause possono portare al popolo la salvezza. E anche se più e più volte sono delusi, cambiano l'oggetto, ma persistono nelle loro vane speranze.
La difficoltà attuale di vedere «il mondo come peccatore» non è che la difficoltà attuale di vedere «l'uomo come peccatore», poiché il mondo non è altro che l'insieme degli uomini peccatori, con la loro mentalità, costumi e istituzioni. L'ottimismo sistematico sul mondo -qualunque cosa accada in esso, quindi, un effetto della mentalità pelagiana del nostro tempo, che, nella sua superbia, rifiuta la realtà profonda e universale del peccato originale, che così come marchio dell'uomo, marca il mondo.

PADRE JOSE MARIA IRABURU

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