Della eccellenza e singolarita del sacro mistero della Incarnazione
Mistero sì grande si dovrebbe adorare nel silenzio
Alcuni popoli illustri nella antichità pagana, lodati anche nei Libri sacri, e onorati della custodia e tutela del popolo di Dio e dello stesso Figlio unico di Dio nella
sua santa Infanzia, gli Egiziani, dei quali gli atti ed i documenti erano pieni di figure enigmatiche e geroglifiche, usavano rappresentare la religione sotto la forma di un animale senza lingua. Volevano così significare
che Dio, la cui bontà, grandezza e maestà sorpassa ogni eloquenza, deve essere adorato col pensiero e con la mente piuttosto che con la lingua e le parole.
Lasciando pur da parte i pensieri di quella gente profana, se noi vogliamo ricercare i sentimenti delle anime sante e divine, troviamo che quell’anima sì degnamente
consacrata alle lodi di Dio e da cui la Sinagoga e la Chiesa attinsero le espressioni sacre per lodare il Signore in ogni tempo e in tutto il mondo, il Re, Profeta e Poeta sacro degli Ebrei, divinamente ha cantato: Tibi silentium laus, Deus, in Sion; a te la lode del silenzio, o grande Iddio, in Sion.
Così, infatti, secondo S. Girolamo, deve essere tradotto il testo originale ebraico del versetto: Te decet Hymnus Deus in Sion (Sal 64, 2); e ne dobbiamo imparare che l’inno propriamente conveniente alla grandezza di Dio è una lode non di parole, ma di profondo silenzio.
Ciò che conviene a Dio e alla Religione può giustamente applicarsi a questo grande, altissimo e sacratissimo Mistero della Incarnazione, il quale nel suo stato e nella
sua estensione include Dio medesimo, stabilisce nell’universo una Religione perpetua insieme e universale, è il compimento dei disegni e consigli di Dio sopra i figli degli uomini e rende alla divinità,
non solo sulla terra, ma pure nel Cielo medesimo, un culto e un onore ammirabili, un omaggio eterno e singolare.
La grandezza quindi e la sublimità di questo altissimo mistero dovrebbe essere adorata con un sacro silenzio, e non già profanata coi nostri pensieri e le nostre parole.
Dovremmo imitare la modestia e riservatezza degli angeli, i quali, alla vista di un oggetto sì divino, si coprono come di un velo e rimangono nello stupore, ammirando la sua gloria. Al Figlio di Dio fatto uomo viene
appunto riferita da uno dei grandi apostoli, nel Santo Vangelo, quella celebre visione che ci è rapportata dal più grande dei Profeti (Is 6; Gv 12, 41).
Noi dunque, a loro esempio e imitazione, commossi da un soggetto sì sublime e capace di rendere muta la stessa eloquenza, dovremmo ricorrere alla eloquenza delle opere e
dei servigi, lodando così, amando e adorando Gesù Cristo, nostro Signore, con tutta la nostra possanza, e supplicandolo che tutta la nostra vita sia a Lui dedicata quale devota e continua azione di grazie, quale perpetuo tributo
ed omaggio di servitù.
* * *
Sarebbe pur mio desiderio di starmene in tale silenzio, ed è stato finora il mio proposito; ma un giusto divieto me lo fa rompere per difendere un’opera di pietà
contro certi spiriti che la modestia e la carità non mi permettono di nominare, per impedire che la malizia di alcuni danneggi una santa professione. Bestemmiano ciò che non intendono, imitando quegli empi di
cui parla S. Giuda: Bestemmiano ciò che ignorano (Gd 10). Essi si comportano in un modo che nessuna legge può autorizzare, nessuna ragione può
difendere, nessun pretesto può scusare, nessun artifizio può coprire, se non con un ingegnoso silenzio... Dopo dieci anni di pazienza e di silenzio... pubblico questi Discorsi, non già per parlare delle loro persone, dei loro disegni, della loro condotta; ma per parlare di Gesù, del suo stato supremo, e delle sue ammirabili grandezze. Parlo di Gesù, il quale è stato la pietra di scandalo e di rovina per gli Ebrei, ed ha predetto che lo sarebbe ancora tra i cristiani, per il suo popolo, il suo Israele, i suoi
figli; e lo è infatti, in questo caso, per coloro che hanno voluto contraddire l’omaggio e la servitù che gli sono resi. Pubblico dunque questi Discorsi per mantenere nel suo onore, con carità e pietà, tale pio disegno e arrestare il corso della violenza colla ragione e colla dolcezza... Sarebbe sconveniente turbare
e macchiare questo discorso coi detti ed i cavilli degli avversari, basta la luce della verità per dissipare le nubi e le ombre... In un soggetto che tratta della alleanza del Verbo eterno con la nostra umanità,
non si addice che dolcezza e benignità, in conformità con la natura e lo stato di questo mistero, nel quale è apparsa l’umanità e la benignità di Dio mede simo, come dice l’Apostolo. Non già che mi fosse difficile rispondere, e in poche parole, agli avversari; ma, come nei sacrifici che si offrivano per la pace e la concordia
degli sposi, gli antichi dalle vittime toglievano il fiele, così da questo discorso che offro a Dio e al pubblico, in onore della pace e della alleanza che Egli ha stabilito con noi nel sacro mistero della Incarnazione,
voglio togliere il fiele e l’amarezza di simili dispute.
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