Dappprima, notiamo che essa é un desìderio; non è un appetito, ossia una semplice inclinazione. L'appetito è un movimento naturale e necessario, che trovasi in noi senza di noi, e anche contro il nostro desiderio. Ma il desiderio è un movimento libero, una inclinazione che noi liberamente approviamo col nostro consenso; il desiderio è in noi, ed è conforme alla nostra volontà che ne è la madre e la padrona.
L'appetito eccessivo di grandezza trovasi in noi in conseguenza del peccato originale, per il principio di quella generazione maligna che ha riempito la nostra carne della sua abominevole corruzione dimodochè la nostra carne ha infettato il nostro spirito a tal segno che il complesso dell'uomo, rivestito e riempito di questa infezione e di questo seme maledetto, ci rende in sostanza simili al demonio.
Perciò agli occhi di Dio, noi siamo orribili, abbominevoli, esecrabili.
Dio, formando l'uomo a sua immagine e animandolo dalla sua vita divina, aveva immesso in lui la somiglianza delle sue perfezioni; l'uomo teneva il posto di Dio, sulla terra, ed ogni creatura doveva rendergli, come alla persona di Dio, onore, omaggio e rispetto. L'uomo allora era grande e perfetto, essendo intimamente unito e aderente a Dio che si rendeva. sensibile in lui; riceveva pure tutti gli onori ed omaggi che si rendono alla divinità, ma unicamente per Dio e in Dio, senza nulla appropriare a se stesso.
Stabilito nell'essere e nella vita di Dio, l'uomo contemplava in Dio e come Dio stesso, la divinità di cui era pieno; rapito dalla bellezza e dalle perfezioni di Dio, era tutto infiammato del divino amore e, inoltre, trasformato in Dio e tutto deificato.
Nella luce ammirabile che rischiarava la sua mente egli vedeva o contemplava Dio in tutte le creature, ad imitazione della vista che Dio ha di se stesso in tutte le sue Opere, secondo queste parole di Mosè: Dio vide tutte le cose che aveva fatte e trovò che erano molto buone.
Insomma, in un tale stato ammirabile e divino, nell'aderenza ed intima unione a Dio, l'uomo era un'opera eccellente e perfetta. Allora egli non si appropriava nulla; nulla lo allontanava da Dio; godeva di ogni cosa in Dio; non vedeva se stesso in nulla, ma non vedeva in se medesimo che Dio, Dio eccellente, perfetto e degno di ogni onore e di ogni lode.
Così S. Paolo, parlando dei cristiani, dice che devono giungere sino a tale semplicità da essere una cosa sola con Gesù Cristo, nel quale sta tutta la loro gloria.
Dal difetto di tale semplicità e unità nasce in noi l'amor proprio, la ricerca della nostra propria eccellenza. In questo modo, Angeli e uomini si sono perduti, distaccandosi da Dio per attaccarsi a se medesimi; ricercando la propria eccellenza sono diventati superbi. Donde avviene, come dice la Scrittura, che “il principio della superbia è di apostatare da Dio”, staccarsi da Dio per ricercare il proprio interesse.
Il demonio tentò di separar l'uomo da Dio dicendogli. Sarete come dei; esso fece sì che l'uomo distogliesse il suo sguardo da Dio per portarlo sopra se stesso; quindi gli suggerì e gli insinuò il desiderio di essere pio e di comparire tale agli occhi di tutta la creazione, per riceverne gli omaggi al posto di Dio, usurpando per se medesimo tutte le lodi che si rendevano alla divinità.
Nell'uomo adunque vi sono due cose: un appetito sregolato, e un desiderio eccessivo di grandezza e di eccellenza propria. L'appetito non è il peccato di superbia, benchè sia un avanzo del peccato ed un effetto del demonio che ha corrotto la nostra natura e depravato in noi gli istinti di Dio.
Ma il desiderio, l'aderenza, la volontà formata ed attuale di assecondare questo appetito, questo è. il peccato di superbia.
L'appetito è un movimento cieco della natura corrotta: il desiderio invece è un movimento ragionato e accompagnato dal lume e dall'avvertenza della ragione. Orbene, il male che si fa con avvertenza e con libero consenso è peccato. Se questo desiderio è ardente e per una cosa eccessiva, è peccato grave.
In secondo luogo, la superbia è un desiderio della propria eccellenza. Vi è una eccellenza e una perfezione che sono lodevoli e che Dio medesimo riconosce: Siate perfetti - ha detto Gesù Cristo - come il Padre celeste è perfetto; e ve n'è un'altra che è viziosa: l'eccellenza in se stessa e per amor proprio.
E' buono il desiderio dell'eccellenza quando sia regolato secondo un fine buono, è male quando è ordinato ad un fine cattivo; ma riguardo al fine, sovente si è vittima di illusione: per non ingannarci, bisogna esaminare gli effetti.
Dio ha stabilito che la sua creatura diventi perfetta e ricerchi l'eccellenza, ma unicamente per l'amore di Lui e del prossimo. Vuole che siamo perfetti per amore di Lui e che facciamo opere buone ed eccellenti affinchè Egli ne sia onorato e glorificato. « Si veggano, - dice Nostro Signore, - le vostre opere buone, affinché Dio, - che è nascosto in cielo e sconosciuto al mondo, - sia veduto e conosciuto sulla terra per mezzo della perfezione e delle opere che compirà in voi.
Orbene; per vedere se operiamo per Dio, bisogna osservare se dalle nostre opere buone non vogliamo ricavare stima e lode per noi medesimi, se non ce ne gloriamo punto, se non abbiamo piacere di riceverne stima e onore se ci prendiamo cura di riferire tutto a Dio col desiderio che Egli solo sia stimato e glorificato in se stesso e da se medesimo.
Dio vuole pure che vi siano persone buone e perfette, per il bene del prossimo ed il sollievo delle sue miserie. Orbene, per conoscere se assecondiamo questo disegno di Dio, dobbiamo esaminare se dedicandoci al sollievo del prossimo abbiamo per fine il suo bene, ovvero se operiamo per nostro interesse, se guardiamo la nostra persona e. ricerchiamo noi medesimi; se ci occupiamo di noi per attirarci la stima e ne proviamo compiacenza; osservare insomma, se ricerchiamo qualche utile per noi medesimi. Così degli altri uffici; molti infatti, o non pensano che a gloriarsi e innalzarsi sopra gli altri e ad attirarsi lodi e onori; o non cercano che lucro e guadagno. Questi fini, ben s'intende, non sono nelle intenzioni e nei disegni di Dio.
Il superbo ricerca l'eccellenza, non già precisamente per il pregio della bontà, né per unirsi a Dio che è il Padre di ogni eccellenza e l'oceano di ogni perfezione; ma la ricerca per se medesimo e per il proprio vanto. Così, per quel maledetto amor proprio, si cambia l'ordine delle cose; infatti, secondo l'ordine, ciò che è minore ed imperfetto deve essere riferito a ciò che è eccellente, e non già ciò che è eccellente a ciò che è meno perfetto. L'essere di Dio non può entrare in nessun posto di nessun genere; persino in Gesù Cristo, rimangano distinte le due nature, divina ed umana. Essendo infinitamente perfetto, l'Essere di Dio non può riferirsi a cosa alcuna come ad un fine, mentre tutte le cose esistono per Lui: eppure il superbo riferisce Dio a se stesso. Tale è l'effetto del peccato, di sconvolgere l'ordine e la natura delle cose; ma in particolare tale è l'effetto della superbia e dell'amor proprio, di attirare tutto a sè e di appropriarsi tutto; mentre l'ordine della carità vuole che noi usciamo di noi stessi e ci portiamo nell'Essere perfetto, onde unirci a Lui ed essere perfettamente consumati in Lui.
E' questa l'ammirabile abnegazione di se medesimo praticata da chi è animato dalla pura virtù di Dio, il quale santifica la sua creatura o viene in essa onde portarla al suo fine. La creatura si unisce così all'Essere sovrano e perfetto, e dimentica tutto quanto vi è nel proprio essere tanto imperfetto; così si rivolge a Dio che è la sua fonte e dove sta la sua perfezione; e in Dio essa riceverà un essere più eccellente di quello che possiede.
Dio, infatti, l'aspetta per, consumarla in se medesimo, rendendola partecipe dell'Essere eminente della sua divinità.
L'amor proprio invece cerca di abbassare Dio sino a se medesimo e farlo servire alla propria superbia. Infatti, per uno spaventoso accecamento, chi segue, l'amor proprio considera Dio in se stesso e nelle. sue perfezioni come cosa sua propria, si gloria di tutto ciò che possiede e che è pur partecipazione di Dio, come se fosse cosa sua e provenisse da se medesimo: cosi non vede punto la causa a che diffonde in lui con immensa carità quel bene e quelle grazie. Ecco il furto, l'ingratitudine, l'insolenza della superbia.
Chè se l'anima infetta dalla superbia non arriva all'eccesso di considerare Dio in se stesso come cosa sua o di ritenersi indipendente da Dio nei suoi desideri, essa almeno nutre la persuasione che l'eccellenza dei suoi doni proviene dai propri meriti e dal proprio lavoro; ed è questa un'altra specie di superbia che si chiama arroganza, per la quale l'anima attribuisce a se medesima e ai suoi meriti ciò che non ha ricevuto che per grazia e misericordia di Dio, mentre Dio è in noi la nostra luce, la mostra buona disposizione, la nostra vita, la nostra virtù e il nostro tutto, senza di Lui non siamo capaci nè di pensare, nè di volere, nè di fare nessun bene in nessun modo.
Tratto da: “Vita e virtù Cristiane” Giovanni Olieri
Nessun commento:
Posta un commento