Il Miracolo Eucaristico di Patierno: racconto di Sant'Alfonso de' Liguori
È Sant'Alfonso de' Liguori, allora vescovo di Sant'Agata dei Goti (BN), che redige il "Ragguaglio": un rapporto sul miracoloso ritrovamento delle sacre
Particole rubate nella chiesa di San Pietro a Patierno, oggi situata nella periferia nord della città di Napoli.
La sensibilità e la prudenza verso tutto ciò ch'è soprannaturale, da parte del futuro dottore della Chiesa, rende il racconto da lui così dettagliatamente
descritto più che attendibile. Non dimentichiamo, infatti, ch'è sua la frase: "Sono molte più le visioni false di quelle vere".
Per una più agile lettura, il testo qui di seguito riportato è stato riveduto nel suo stile settecentesco.
IL FURTO
«[ ...] In località di San Pietro a Patierno, diocesi di Napoli, il mattino del 28 gennaio 1772, venne trovato aperto il tabernacolo della chiesa parrocchiale. Mancavano
le due pissidi con le numerose Particole in esse contenute.
Nei giorni seguenti, tutta la gente del paese stette in lutto e, nonostante le ricerche, non si riuscì a saper nulla delle pissidi e delle Ostie».
IL PRIMO RITROVAMENTO
«Ma ecco che il giovedì 19 febbraio, verso sera, passando per un terreno appartenente al duca delle Grottolelle, un certo giovane, Giuseppe Orefice, di diciott'anni,
vide una quantità di luci simili a stelle splendenti. Il giovane le vide ancora la sera seguente; perciò, giunto a casa, ne parlò a suo padre, il quale non gli prestò attenzione.
II giorno dopo, prima del sorgere del sole, il padre con Giuseppe e suo fratello undicenne, Giovanni, passarono dallo stesso luogo; e il piccolo, voltandosi verso il padre, gli disse:
"Padre, ecco là le luci di cui vi parlò ieri sera Giuseppe, e voi non gli voleste credere!". Nella sera dello stesso giorno, i suddetti figli, ritornando a casa, di nuovo in quel luogo videro le luci.
Giuseppe Orefice, allora, ne informò il confessore, don Girolamo Guarino, il quale insieme a suo fratello, anche lui sacerdote, don Diego, si recò sul luogo dove erano
apparse le luci. Nel frattempo, mandò a chiamare l'Orefice, che qui giunse con un fratello e un certo Tommaso Piccino, e ripresero a vedere le luci. Ma i sacerdoti, in quel momento, non videro nulla. La sera di
lunedì 23 febbraio, l'Orefice ritornò di nuovo al solito posto col Piccino ed un altro, Carlo Marotta.
Lungo la strada incontrarono due sconosciuti, dai quali venne loro chiesto cosa fossero le numerose luci che si vedevano in modo così distinto e che scintillavano come stelle.
Risposero di non saperlo; e, dopo averli salutati, si recarono in fretta al luogo dove avevano già visto queste luci.
Segnato il posto, ch'era distante qualche passo dalla siepe ove si ergeva un pioppo più alto degli altri, andarono a trovare i due nominati sacerdoti, e raccontarono quanto
era loro capitato per strada. Insieme ritornarono sul luogo segnalato.
Vi giunsero con un fanciullo di cinque anni, nipote dei due sacerdoti, che si mise a gridare: "Ecco le luci: paiono due candele!". (Queste luci, infatti, non apparivano sempre
nello stesso modo). L'Orefice vide anche lui le due luci, affermando che brillavano come due stelle. Ugualmente le videro Carlo Marotta, Tommaso Piccino e i tre ragazzi dei signori Guarino, esattamente nel punto vicino
al pioppo segnalato.
Dopo ciò, si udirono molte grida di gente che, da un vicino pagliaio, invitava i sacerdoti ad andare a vedere una grande luce simile ad una fiamma. Una donna, Lucia Marotta,
si era prostrata con la faccia a terra, sopra il punto dov'era apparsa la luce. Accorsero i sacerdoti e molte altre persone, e, fatta alzare la donna, si cominciò a scavare, ma non si trovò nulla.
Tornando in paese, i due fratelli Orefice, Giuseppe e Giovanni, insieme a Tommaso Piccino e Carlo Marotta, giunti sulla strada regia (così denominata perché usata dal
re per andare da Napoli a Caserta), udirono di nuovo le grida delle persone ch'erano rimaste sul luogo delle apparizioni. Ivi ritornati, il Piccino cadde bruscamente con la faccia per terra. Anche Giuseppe, dopo aver fatto
qualche passo, si sentì come spinto da dietro le spalle, e cadde sùbito con la faccia al suolo. Nel medesimo istante e allo stesso modo caddero gli altri due. Tutti e quattro sentirono un male alla testa, come
se avessero ricevuto un forte colpo di bastone.
Alzati che furono, avanzarono di qualche passo, e i quattro giovani videro apparire, da sotto un pioppo poco distante, uno splendore vivo come quello del sole e in mezzo ad esso, all'altezza
di quattro o cinque palmi, una colomba che, per il suo splendore, si differiva poco dalla stessa luce. Poi questa colomba ridiscese a terra sino ai piedi dell'albero da dove era uscita e disparve, così come disparve
pure lo splendore.
Non si sa che cosa mai quella colomba avesse potuto significare, ma sembra certo che fu cosa soprannaturale; e tutte le nominate persone l'attestarono con giuramento davanti al
Vicario di Napoli (trattasi di Mons. Francesco Saverio Stabile). Tutti coloro che si trovavano in quel luogo gridarono: "Ecco le luci!"; e, inginocchiati, cominciarono a cercare le Ostie. Mentre il Piccino scavava
quel terreno con le mani, si vide uscire un'Ostia bianca come la carta.
Mandarono, allora, a chiamare i sacerdoti. Arrivò don Diego Guarino che, inginocchiatosi, raccolse l'Ostia in un fazzoletto bianco di lino, fra il pianto e la commozione
di tutti i presenti.
II sacerdote, quindi, ordinò di fare una ricerca più accurata. Si rimosse un'altra porzione di terreno, e sùbito apparvero una quarantina di Ostie: non avevano
perduto il loro candore, benché fossero rimaste sotterrate per quasi un mese. Furono deposte nello stesso fazzoletto, e si raccolse anche la terra con cui erano venute in contatto.
Alla notizia del ritrovamento, accorsero altri sacerdoti del paese; furono portate pisside, cotta, stola, baldacchino e torce. Nel frattempo, un sacerdote e un gentiluomo andarono dal
Vicario per chiedere il da farsi. Questi ordinò di portare in processione le Ostie nella chiesa; e così si fece. Le Ostie vi giunsero verso le cinque ore e mezza della notte (è il tempo trascorso dopo
il tramonto), e furono riposte nel tabernacolo. Ciò avvenne nella notte del 24 febbraio».
IL SECONDO RITROVAMENTO
«La gente, però, non rimase pienamente consolata: mancava la maggior parte delle Ostie, secondo un conto sommario. Ma ecco che nella sera del giorno seguente, martedì
25, nello stesso luogo fu vista nuovamente comparire una piccola luce assai brillante, da molte persone: contadini, gentiluomini e sacerdoti, quali don Diego Guarino e don Giuseppe Lindtner.
Quest'ultimo, tutto sbigottito, indicò una pianta di senape e cominciò a gridare: "Oh Gesù! Oh Gesù! vedete là quella luce, vedete là!".
Ed allora anche gli altri videro una luce splendente: si alzava a un palmo e mezzo da terra, formando in alto la figura di una rosa.
Giuseppe Orefice, anche lui presente, asserirà che questa luce fu così splendente da restare, per qualche tempo, con gli occhi offesi e la vista offuscata.
Nuovamente, allora, si fece un'attenta ricerca in quel luogo per ritrovare il resto delle Ostie, ma invano. La sera del mercoledì 26 febbraio, però, una gran quantità
di luci, intorno a un pagliaio, fu notata da tre soldati a cavallo del reggimento borbonico di re Ferdinando IV. In seguito, questi deposero davanti al Vicario di aver visto: "più luci - sono le loro parole - come
stelle luminose".
Nella stessa sera, tornava da Caserta don Ferdinando Haam, gentiluomo di Praga in Boemia, cancelliere e segretario imperiale. Passando verso le tre ore di notte (tre ore dopo il tramonto)
per la strada regia, vicino al menzionato terreno, scese dal calesse per andare anch'egli a vedere quel luogo dove due giorni prima erano state ritrovate le Ostie rubate. Vi trovò molta gente e, tra gli altri, don
Giuseppe Lindtner, da lui conosciuto, che gli raccontò del furto e del miracoloso ritrovamento delle Ostie.
Dopo aver ascoltato le parole del prete, Ferdinando Haam gli disse che anch'egli, otto o nove giorni prima, cioè il 17 o il 18 di febbraio, verso le tre di notte, quando
non sapeva ancora nulla degli avvenimenti, vide una gran quantità di luci, quasi un migliaio, e intorno ad esse una folla silenziosa e raccolta. Spaventato da ciò che vedeva, chiese al cocchiere il motivo di
tante luci. Gli fu risposto che probabilmente veniva portato il SS. Viatico a qualche malato.
"No, replicò il signor Haam, ciò non può essere, perché si udirebbero almeno suonare i campanelli". E sospettò che tutte quelle luci fossero
l'effetto di qualche stregoneria; tanto più che il cavallo si era fermato e si rifiutava di andare avanti; perciò, fece scendere il cocchiere dal calesse per cercare di far camminare l'animale, che tutto
spaventato sbruffava. Finalmente, dopo molta fatica, il cavallo fu tirato fuori di là a forza; e, una volta sorpassato il luogo, si mise a correre così veloce che il cocchiere esclamò: "Gesù,
che sarà questo?". Così don Ferdinando giunse a Napoli preso da gran timore.
Tutto ciò fu deposto da lui stesso nella Curia arcivescovile. Nella sera di giovedì 27, Giuseppe Orefice e Carlo Marotta ritornarono nel solito luogo, e vi incontrarono
don Girolamo Guarino e don Giuseppe Lindtner; altre persone (quali Giuseppe Piscopo, Carmine Esposito e Palmiero Novello) erano prostrati a terra: piangevano per aver visto apparire e scomparire, più d'una volta,
una piccola luce. Allora, l'Orefice s'inginocchiò e recitò ad alta voce gli atti di fede, speranza e carità; e, al termine, vide anche lui questa luce, a forma di piccolo cero acceso, che si alzava
quattro dita da terra, da dove era uscita, per poi sparire di nuovo.
Segnato il punto per non smarrirlo, l'Orefice ed il Marotta andarono ad avvisare don Girolamo Guarino, che sùbito si portò in quel posto ed esaminò il punto
segnalato. Nuovamente molte persone videro quella luce; Don Guarino, che non vedeva nulla, tracciò con la mano un segno di croce sulla terra, ed ordinò a suo fratello Giuseppe di scavare, con un attrezzo di campagna,
la terra dalla parte sinistra di quel segno, ma nulla si trovò.
Mentre si pensava di scavare in un'altra parte, Giuseppe Orefice - ch'era rimasto inginocchiato - poggiando la mano sul terreno e trovandolo molle e franoso, avvisò il
prete. Don Guarino si fece dare un coltello da suo fratello, e vibrò un colpo sul punto segnalato: si udì un rumore, come quando si spezzano più ostie unite insieme. Tirando, poi, fuori il coltello, tirò
pure una zolla di terra di forma rotonda e, unita ad essa, vide una massa di Ostie. Sbigottito da questa vista, il sacerdote gridò: "Oh, oh, oh!", e poi svenne, facendo cadere di mano il coltello, la zolla
e le Ostie. Rinvenuto, tirò dalla tasca un fazzoletto di lino e vi mise le Ostie. Dopo averle così avvolte, le ripose nella fossa dove erano state ritrovate: per il gran tremore sopraggiunto, specialmente nelle
braccia, non aveva più la forza di reggersi.
Saputa la notizia, il parroco si portò immediatamente sul luogo; e trovò tutti inginocchiati dinanzi a quel sacro Tesoro nascosto.
Dopo essersi informato meglio dell'accaduto, ritornò in chiesa e di là mandò il baldacchino, il pallio, l'ombrellino, tante candele e un calice, in cui
furono riposte le Particole.
[...] Un popolo numeroso accorse: non solo dal paese, ma anche dai villaggi vicini con i loro sacerdoti; e tutti piangevano per la commozione.
Nel frattempo, don Lindtner e il signor Giuseppe Guarino andarono a trovare il Vicario, e ritornarono con l'ordine di portare solennemente in processione le ritrovate Ostie alla
chiesa parrocchiale di S. Pietro a Patierno. Ciò fu fatto, cantando lungo il cammino le lodi al Signore. In chiesa fu impartita la benedizione con il calice contenente le Ostie a tutto quel popolo, che non cessava di
piangere e di ringraziare Dio che lo aveva così consolato».
CONCLUSIONE
Al termine del suo "Ragguaglio", Sant'Alfonso de' Liguori puntualizza: «[ ...] Se qualcuno però volesse mettere in dubbio anche quello da me narrato e
provato con tanta esattezza dalla Curia arcivescovile di Napoli, ben egli può accertarsene facilmente con l'andare al nominato paese di San Pietro a Patierno dove troverà molti laici ed ecclesiastici, i quali
gli attesteranno i prodigi che io ho riportato e che hanno visto con i propri occhi. Altri diranno del resto ciò che vorranno. Il fatto narrato lo ritengo più che sicuro ed è per questo che ho voluto renderlo
pubblico attraverso la stampa. E certo che il miracolo descritto non merita che una fede puramente umana [...]. Le testimonianze fornite rivestono un tale carattere di verità da rendere il fatto più che moralmente
certo. Perciò spero che tutti coloro che leggeranno il mio rapporto non si rifiuteranno di credervi, ma si adopereranno per far conoscere questi fatti a gloria del SS. Sacramento dell'altare».
Questo "Ragguaglio" sarà inserito dal santo vescovo alla fine di una sua opera intitolata: "Riflessioni su diversi argomenti spirituali", pubblicata con successo
nel 1773.
Purtroppo, nella notte tra il 23 e il 24 ottobre del 1978, lo stesso luogo è nuovamente profanato come due secoli prima: i ladri portano via, oltre ad oggetti sacri ed ostie
consacrate, anche il reliquiario con le sacre ostie del 1772.
Ma, questa volta, al furto non seguirà alcun ritrovamento.
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