« La mia bocca proclamerà la verità, e le mie labbra detesteranno l'empio».
(Prov. VIII, 7)
L'uso comune, che a detta del Filosofo [ Topic., II, c. I, n. 5] dobbiamo seguire nel denominare le cose, ha stabilito che siano chiamati sapienti coloro che ordinano rettamente le cose, e che sanno ben governarle. Ecco perché tra le prerogative che si attribuiscono al sapiente il Filosofo afferma, che «è proprio del sapiente ordinare» [Metaph., I, c. 2, n. 3]. Ma la regola o norma di quanto è ordinato a un fine deve desumersi dal fine stesso: poiché ogni cosa è disposta nel migliore dei modi quando è ben ordinata al proprio fine, essendo il fine il bene di ogni cosa. Notiamo infatti che tra i mestieri l'uno è guida e direttiva dell'altro, quando ne costituisce il fine: la medicina, p. es., dirige e guida l'arte del farmacista, per il fatto che la guarigione, che è oggetto della medicina, è il fine di tutti i medicinali confezionati dall'arte farmaceutica. Lo stesso si riscontra nei rapporti tra l'arte nautica rispetto alla cantieristica navale; o tra l'arte militare e il maneggio di cavalli e di ogni altro apparato bellico. Ebbene, queste arti, o mestieri, che presiedono sulle altre sono denominate architettoniche, ossia arti principali: e i loro capimastri, talora denominati architetti, rivendicano il nome di sapienti, o periti. Siccome però cadesti artigiani, occupandosi dei fini di cose particolari, non raggiungono il fine universale di tutte le cose, sono denominati sapienti in questa o in quell'altra materia, secondo l'espressione paolina, [1Cor., 3, 10]: «Come sapiente architetto ho posto il fondamento». Ma il nome di sapiente in senso assoluto va riservato a colui che rivolge la sua considerazione al fine dell'universo, che poi è anche il principio di tutte le cose. Cosicché il Filosofo scrive, che è proprio del sapiente considerare «le cause supreme» [Metaph., I, c. I, n. 12; c. 2, n. 7].
Ora fine ultimo di ogni cosa è quello perseguito dal primo autore e motore di essa. Ma il primo autore e motore dell'universo è un'intelligenza, come dimostreremo in seguito [c. 44, lib. II, c. 24]. Quindi l'ultimo fine dell'universo è necessariamente un bene di ordine intellettuale: ossia è la verità. Perciò è necessario che la verità sia l'ultimo fine di tutto l'universo; e che la sapienza abbia come scopo principale la considerazione di essa. Ecco perché la Sapienza divina incarnata attesta di essere venuta nel mondo per manifestare la verità, [Giov., XVIII, 37]: «Per questo io sono nato, e per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità».
Anche il Filosofo del resto conclude che la Filosofia è «la conoscenza della verità»; non di una verità qualsiasi, ma di quella che è origine di ogni verità, ossia quella che riguarda il primo principio dell'essere per tutte le cose; cosicché la sua verità è il principio di ogni verità, poiché le cose stanno alla verità esattamente come stanno all'essere [Metaph., I, c. I, nn. 4, 51.
È compito però dell'identica realtà perseguire una data cosa e respingere il suo contrario: la medicina, p. es., mentre dona la guarigione esclude il suo contrario. Perciò come è compito precipuo del sapiente meditare ed esporre agli altri la verità circa la causa prima, così è suo compito impugnare la falsità contraria.
È giusto quindi che per bocca della Sapienza vengano indicati i due compiti del sapiente nelle parole che abbiamo premesso: proclamare, cioè, la verità divina meditata, che è la verità per antonomasia, con l'espressione: «La mia bocca proclamerà la verità»; e impugnare l'errore contrario alla verità, con l'espressione: «e le mie labbra detesteranno l'empio», la quale sta a indicare la falsità contraria alla verità divina, che è contraria appunto alla religione, denominata anche pietà, cosicché la falsità opposta assume il nome di empietà.
SAN TOMMASO D’AQUINO
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