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venerdì 14 agosto 2020

ILDEGARDA DI BINGEN




Nelle sue opere, è straordinario quindi, che riporti numerose citazioni letterarie, dai vari libri della Bibbia, il cui commento è sempre attribuito alla voce di Dio. In questi commenti troviamo pensieri, quasi echi delle opere dei grandi autori sacri, da Tertulliano a Girolamo, Ambrogio, Agostino, da Isidoro a Rabano Mauro, sino ai contemporanei, quale Ruperto di Deutz, Onorio e gli altri già nominati sopra. Stupisce, perché in contrasto con le sue dichiarazioni di completa ignoranza, che si trovino nelle sue opere anche tracce d’autori assai poco noti, come, ad esempio, Etico Istro e altri conosciuti per il loro lavoro nel campo filosofico, come Calcidio, o Costantino Africano nel campo scientifico. Come ciò sia avvenuto, non ci si può spiegare, non ci sono mai citazioni letterali, ma riferimento ai pensieri.

Ildegarda, quando nomina la scienza, si riferisce a quella dei testi sacri. La scienza umana pare che l’interessi soprattutto in quanto rende evidente la grandezza, sapienza e potenza di Dio, che è il Creatore e Signore dell’universo. C’è però una scienza che nomina di continuo, perché è quella che determina la vita dell’uomo: la scienza del bene e del male. Si riferisce al versetto della Genesi, dove Dio dice: “Ecco, Adamo è diventato come uno di noi, conoscendo il bene ed il male” (3,22). L’uomo possiede questa conoscenza e quindi la possibilità di scelta; è quindi libero, perché conosce il bene e il male. Per agire da uomo, in modo responsabile, può compiere opere buone e così ama Dio, perché ha la scienza del bene. Lo teme, se compie il male, perché questo è il risultato della sua scelta. Poteva scegliere tra il bene e il male; ha scelto il male. Se avesse una sola di queste due scienze, non potrebbe, per così dire, distinguere, dice Ildegarda, il giorno dalla notte. Quando fa il bene, è come il giorno, se fa il male, è come la notte. La sua vita è un continuo rispondere alle offerte che si presentano, sia per il bene sia per il male. Al bene, per una conferma e un’accettazione, al male per un rifiuto.

Ildegarda dice: “Tu, o uomo, o donna, perché hai nel tuo cuore la cognizione del bene e del male, sei posto come ad un bivio. Se tu consideri il male e vuoi fuggirlo, pensa in che modo ti si è insegnato a declinare e fuggire il male e a fare il bene. Pensa che il Padre celeste non ha risparmiato il Figlio suo per liberarti e prega Dio che ti soccorra. Tu affermi che non puoi operare il bene? Sei ingiusto e bugiardo, hai gli occhi per vedere, gli orecchi per sentire, eccetera…Tu devi scegliere: opponiti al male e fa il bene”. Questo opporsi al male, insiste Ildegarda, è sempre una lotta. Lo dice tante volte che l’uomo è un soldato, milita nella battaglia per la vittoria di Dio. La scienza del male ha anche la sua parte positiva, in quanto scienza L’uomo può evitare il male, in quanto lo può riconoscere.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

mercoledì 10 giugno 2020

ILDEGARDA DI BINGEN



L’aspirazione alla trascendenza ha pure un altro effetto: una nuova valutazione della Vergine Maria. Se prima ella era una manifestazione della potenza di Dio, è ora inserita a questa possibilità di comunicare con Dio trascendente e diventa un importante passo intermedio sulla via che porta l’uomo a Dio. Nell’uso del metodo tipologico, secondo il quale Cristo è il prototipo di Adamo, Maria è posta di fronte a Eva; Cristo è il nuovo Adamo e Maria, la nuova Eva. C’è un nuovo principio per giungere a Dio. Maria ha una parte attiva nell’opera d’espiazione e quindi di redenzione; secondo quest’interpretazione, non è soltanto partecipe dell’opera della redenzione, ma si trova anche a poter essere invocata come interceditrice.

Nell’opera di Bernardo di Chiaravalle, di Ruperto di Deutz, d’Onorio di Autun e di altri grandi autori del XII secolo, Maria appare come la sposa di Dio. Questo rapporto di sposa-sposo costituisce l‘immagine prima dell’amore tra l’anima umana e Dio. Da qui consegue la nascita spirituale del Figlio di Dio nell’uomo. Ed in quanto questo modello è riferito all’uomo, Maria rappresenta la mediatrice più alta tra Dio e l’uomo. Per mezzo della sua mediazione, viene dato all’uomo un aiuto essenziale per uscire fuori dalla sua immanenza e per giungere all’unione con Dio, al suo destino, qual era nel primo paradiso.

L’interesse del tempo per il sapere è anche aumentato dai nuovi rapporti con il vicino Oriente, della conoscenza della civiltà araba e della cultura di cui essa è mediatrice. Che cosa pensa della scienza Ildegarda, “semplice, indotta”, “povera donna senza studi e quel poco che sa, un po’ di latino che servirebbe a recitare i salmi in coro l’aveva imparato dalla sua maestra, Jutta, che pure non ha studiato”? Ildegarda mostra grande stima per i dotti, ne ammira il sapere, le qualità per cui si distinguono, le opere, che ne sono il frutto e ricorda, senza però farne i nomi, gli antichi filosofi, che erano in amicizia con Dio. I suoi apprezzamenti valgono soprattutto per quelli che fecero oggetto dei loro studi e le loro ricerche la Parola di Dio nella Scrittura e la resero accessibile ai fedeli in senso profondo e spesso oscuro dei testi sacri. Grande è il suo rispetto per la sapienza di questi uomini grandi, mentre per quanto riguarda lei, poveretta, dice solo che la sua scienza si limita a comprendere il significato dei testi. E questo, per illuminazione concessa da Dio.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

domenica 24 maggio 2020

L’uomo non deve mai smettere di chiedere, perché Dio ad un determinato punto gli risponderà al suo modo, anche se non direttamente.



ILDEGARDA  DI  BINGEN

La ricerca delle vie che portano dalla lontananza da Dio alla sua vicinanza fa sì che anche il pensiero vada alla ricerca di strutture che ne siano l’espressione. Giacché l’uomo, immagine creata, rimandi al primo Essere increato, pure ogni altra cosa deve poter essere trasparente per essere riferita all’Eterno ed esserne un segno. Egli rende tutte le cose altrettanti segni, punti di riferimento per l’uomo che gli indica la sua provenienza. La natura non è guardata semplicemente come “natura”, gli avvenimenti e le cose in loro stessi, ma sono trasparenti, devono essere interpretati da noi per portarci a Dio. Ildegarda vede tutto quello che succede come una domanda; Dio interviene attraverso le persone e ci chiede determinate cose: pazienza, sopportazione, un determinato lavoro; anche un incontro con una persona è una “domanda” di questo tipo, a cui io devo dare una risposta. Dio non ci parla soltanto nella preghiera, ci parla ad ogni momento. Quello che ci è detto, dev’essere anche interpretato, non si tratta di un’accoglienza passiva, si tratta di un’accoglienza attiva, umana. Però, la vita è intesa come domanda e risposta. Ildegarda afferma che finché l’uomo ha l’esigenza di porre domande a Dio, anche se non trova le risposte, c’è sempre la speranza di una risposta; l’uomo non deve mai smettere di chiedere, perché Dio ad un determinato punto gli risponderà al suo modo, anche se non direttamente.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

domenica 10 maggio 2020

ILDEGARDA DI BINGEN



L’uomo può raggiungere quest’immagine e somiglianza seguendo Cristo, può morire e risorgere già ora, la morte va patita nell’anima per giungere alla vita in Cristo. I gradi dell’umiltà o d’amore sono i gradi della risurrezione dell’anima dall’impurità alla purificazione, dal buio, dalle tenebre, all’illuminazione. Importante è per questo motivo il lavoro cui l’uomo deve sottoporsi per giungere al suo fine. Qui potremmo riportarci alle parole di San Benedetto, “Dobbiamo mettere mano al lavoro con la fatica dell’obbedienza, per riparare il male della disobbedienza”. Il desiderio di giungere a Dio porta a formarsi in una mistica sposa di Cristo. “Mistica sposa” non è più soltanto la Chiesa, ma anche la singola anima d’ogni uomo. L’anima accoglie Dio; perfino tutta la Gerusalemme celeste è localizzata nell’anima. Ecco l’importanza d’ogni singolo uomo. Ildegarda parla di tutto questo nello Scivias e anche nelle altre opere.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

venerdì 24 aprile 2020

ILDEGARDA DI BINGEN



LA  SPIRITUALITÀ  DI  SANT’ILDEGARDA NEL  QUADRO  DEL  XII  SECOLO

La decisione di creare il mondo, secondo Ildegarda, viene in seguito a quella di creare l’uomo. L’uomo, secondo Ildegarda e anche degli altri, è il primo pensiero di Dio. Egli è creato dopo la caduta degli angeli per sostituirli come decimo coro. Il mondo è creato per l’uomo. La condizione privilegiata dell’uomo è rilevata dal frequente richiamo che si fa sulla sua posizione. L’uomo stat, sta ritto, ha gli occhi rivolti verso l’alto e il suo capo è eretto, guarda in alto, ha un posto che è in mezzo, tra la materia e Dio, tra l’immanenza e la trascendenza. Per quanto limitato, può sollevarsi verso l’alto per rivolgersi all’Infinito. I tre ultimi cori angelici sono legati direttamente a Dio, come l’anima, nella forma trinitaria: i Troni sono al servizio della Potenza di Dio, il Padre; i Cherubini ne contemplano la Sapienza, il Figlio; i Serafini ne amano la Bontà, lo Spirito Santo. Essi sono i mediatori tra la Trinità divina e la triade dell’anima. Per questo Dio ha creato gli angeli, perché aiutassero l’uomo, per mezzo della triade delle virtù, ad uscire dall’immanenza per muoversi verso la trascendenza, ad uscire dall’umano per muoversi verso Dio.

Il peccato che porta la responsabilità dell’abisso che si è aperto tra l’uomo e Dio appare ora sotto un aspetto nuovo. La distruzione del peccato non ha soltanto per fine il rendere possibile l’unione con Dio nell’al di là, si spera di raggiungere l’unione in questa vita. L’immagine della peccaminosità si forma dal riferimento al fine: l’uomo che vuole giungere all’immagine e somiglianza di Dio quaggiù vede il peccato in relazione alla negazione di quest’immagine e somiglianza, di cui Dio è l’autore. Quindi, questa relazione deve esistere ora e su questa terra. L’uomo vede il peccato, come ciò che distrugge la nostra via verso il fine.

I comandamenti di Dio sono espressi con il nome di “legge” si vede questa legge come qualcosa d’esterno, che uno deve osservare per andare a Dio. Invece, si trova che il primo comandamento di Dio è l’amore di Dio e del prossimo. Questo amore di Dio e del prossimo si esercita rispettando il prossimo, che vuol dire rispettare la persona dell’uomo, e questo rispetto della persona si esplica attraverso l’osservanza di questi comandamenti. Non è che i comandamenti ci vengano “dal di sopra”, “dal di fuori”, i comandamenti sono in noi; siamo noi stessi a rispettare gli altri, se viviamo secondo questa legge. La legge non è esteriore, è interiore. Diciamo “Gesù ha portato la legge dell’amore”; ma l’amore si osserva, osservando i comandamenti. Se l’uomo distrugge se stesso, distrugge la possibilità di arrivare a Dio; se distrugge l’altro, distrugge la possibilità di arrivare a Dio. Il peccato non è altro che distruggere la via di comunicazione con Dio.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

martedì 31 marzo 2020

ILDEGARDA DI BINGEN



L’uomo cerca la salvezza, ma non più solo al di là nella vita eterna, la vuole qui; cerca Dio e desidera unirsi a lui prima della morte. I contenuti dei dogmi vogliono un’altra, se non formulazione, almeno un’interpretazione riferita all’uomo. Il rapporto con Dio vuole diventare personale. Resta incontestato il fatto che il peccato originale ha per conseguenza la perdita della grazia e l’allontanamento da Dio, ma si affaccia una nuova visione: oltre al peccato, resta il fatto che l’uomo non è solo discendente di Adamo, ma è anche, e in primo luogo, creatura di Dio.
“Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. La Trinità ha agito nella creazione, le tre Persone vi hanno partecipato, da ciò risulta che l’uomo non è soltanto immagine di Dio, ma anche immagine della Trinità.

Ildegarda interpreta questo passo di San Giovanni: “…tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue e questi tre sono concordi” (1Gv 5,7.8). Questi tre danno testimonianza in terra e in cielo, il Padre, il Verbo e lo Spirito.  Ildegarda dice: “I tre sono una cosa sola. Lo Spirito: un uomo non può dirsi uomo se è solo spirito, se non ha la materia sanguinea del corpo. Né formano un uomo vivente il corpo e il sangue, senza l’anima. Questi due, anima e corpo, non vengono a nuova vita in grazia della nuova legge, se non per l’acqua della rigenerazione e così sono una cosa sola nella Redenzione”. Come ci sono tre Persone di Dio che formano la Trinità, così ci sono tre elementi che formano l’uomo.

Dunque, l’anima umana è trinitaria, perché l’originale di cui è immagine è trinitario. Tra l’anima umana e la Trinità divina c’è un’analogia, se l’anima guarda in se stessa, riconosce in sé Dio in tre Persone. Il rapporto tra Dio e l’uomo prende il suo inizio dalla considerazione dell’uomo per giungere a Dio. L’uomo, definisce il suo rapporto con Dio in base alla conoscenza che ha di se stesso e definisce se stesso non in conformità a concetti d’essenza ed esistenza, ma secondo l’analogia della Trinità. L’uomo, per il fatto stesso d’essere uomo, è in rapporto con Dio, non è escluso da Dio. Ildegarda tratta molte volte della Trinità, proprio per l’interesse che ha di far vedere all’uomo quanto egli è partecipe di essa.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

sabato 7 marzo 2020

ILDEGARDA DI BINGEN



LA  SPIRITUALITÀ  DI  SANT’ILDEGARDA NEL  QUADRO  DEL  XII  SECOLO

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Nei secoli precedenti il XII secolo nei paesi d’Ildegarda, a giudicare dai documenti letterari che ci sono pervenuti, la situazione del credente era una delle più austere: nel suo stato di peccatore, egli guardava con ansia all’aldilà. Egli, che viveva nel tempo, poteva giungere a Dio, il Trascendente, l’Infinito, l’Immenso, l’Eterno solo con la morte corporale, dopo il terribile giudizio. La prospettiva era tale da infondere l’ansia. Quanto gli spettava di fare durante la vita per giungere a Dio era di astenersi dal peccato e fare penitenza, quanto in vita poteva fare per arrivare alla meta, era pesato dalla divina giustizia, per decidere la sua eternità. Questa era la mentalità generale di gran parte del popolo.

Il rapporto tra Dio e l’uomo è impersonale, non ci s’immagina un’unione con Dio prima dell’entrata nell’eternità e un compenetrarsi dell’umano con il divino. Si dice, per esempio, che Dio ha creato gli angeli perché essi indichino agli uomini, che ne sono i sudditi, il retto cammino, mentre manca ogni accenno al loro compito di servizio a favore degli uomini e ci si rivolge alla Vergine Maria, quale mediatrice tra terra e cielo, ma non attraverso un rapporto personale.

L’uomo occupa il posto degli angeli caduti, il decimo coro: nove sono i cori degli angeli, il decimo è dell’uomo, con la conseguenza che anche lui sarà punito com’essi se non vive secondo la legge. Da che cosa dipende ciò? Non tanto dall’idea che provenga da Dio, come si potrebbe credere al primo acchito, quanto dal concetto negativo che si ha dell’uomo. E neppure ci si ricorda della posizione privilegiata dell’uomo, cosicché ne sia dato la signoria sul creato, né si dà rilievo al fatto del suo essere creato ad immagine e somiglianza di Dio. Un uomo è definito secondo il suo stato di peccatore: egli è il discendente d’Adamo. Non è definito secondo il suo privilegio quale signore del creato e secondo il suo rapporto con Dio in quanto creato a sua immagine e somiglianza. La distanza tra l’uomo e Dio, come ho detto sopra, sarà superata solo dopo la morte. Certamente, si conosce il passo del libro della Genesi, in cui è detto che l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio, ma non si pensa ad interpretarlo nel suo pieno significato e di mettere in rilievo il conseguente valore antropologico.

Nello stesso modo, non si ricorda più che pure Cristo è immagine e somiglianza di Dio e che l’uomo è chiamato ad essere immagine di Cristo. Noi leggiamo, per esempio, nella Lettera ai
Colossesi: “Cristo è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni altra creatura; poiché in lui tutto è stato creato, in cielo e sulla terra, le cose visibili e le cose invisibili… Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui…” (1,15.16) “…Perché quelli che egli ha distinti nella sua prescienza li ha predestinati ad essere a conforme all’immagine del Figlio suo”. (Rm 8,29). La Chiesa è mediatrice tra Dio e l’uomo e porta la responsabilità per la salvezza dell’anima dell’uomo, ma il termine “sposa” vale solo per la Chiesa, non per la singola anima, che nel suo rapporto con Dio è vista solo come membro della Chiesa.

Per circa la metà del secolo XI e quello XII si tende ancora in forme diverse a subordinare i laici alla Chiesa, rendendoli coscienti del loro stato di peccatori e dell’opera di salvezza di Dio e questo sempre in vista dell’aldilà, secondo l’influsso cluniacense. Anche nel campo liturgico, i cluniacensi si dedicano alla preghiera per i defunti, introducono la festa dei morti; invece i cisterciensi cambiano indirizzo. Il laico non è più contento delle semplici nozioni di fede o di una partecipazione formale alle funzioni ecclesiali e religiose. Vuole intendere e comprendere, incomincia a poco a poco a farsi strada una nuova epoca con nuove esigenze.

Si apprezza sempre di più la vita eremitica e si aspira ad una vita religiosa profonda ed intima. Il malcontento per la riforma cluniacense porta a quella cisterciense. Il desiderio di una vita ascetica ed austera esige una nuova regola, per esempio, per la vita dei canonici. Nasce così il nuovo ordine dei Premonstratensi, accanto ai Canonici Regolari di Sant’Agostino. La vita eremitica ha una nuova fioritura: i Camaldolesi. Predicatori erranti percorrono i paesi, sorgono gli ordini religiosi cavallereschi. Incominciano a sorgere le università.

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Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

mercoledì 26 febbraio 2020

ILDEGARDA DI BINGEN



LA  SPIRITUALITÀ  DI  SANT’ILDEGARDA NEL  QUADRO  DEL  XII  SECOLO
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Caratteristiche e novità del XII secolo rispetto al periodo precedente: la tendenza all’interiorizzazione e la considerazione dell’individuo. L’io, l’uomo, diventa di una grandezza importante. C’è un nuovo rapporto con la natura; essa non è soltanto la forza cieca alla quale l’uomo è sottomesso, se ne vede un nuovo aspetto. Ê immagine e simbolo della realtà di Dio nella sua opera di salvezza. Da qui, l’uso del linguaggio simbolico; il simbolo non definisce, non pone limiti precisi, ma allude e quindi è sempre aperto a nuovi aspetti. Si può continuare a considerare la natura come un’espressione di Dio e trovare in essa sempre cose nuove da meditare.

Un altro punto è la tendenza più forte alla razionalizzazione. Prima di tutto, il rapporto con il mondo arabo porta gli uomini del tempo ad incontrarsi con nuove forme di cultura. Queste nuove forme di cultura diventano anche una materia di riflessione. Una nuova importanza assume la logica: sappiamo che lo studio medioevale era quello del Trivio (la grammatica, la retorica, la dialettica) e del Quadrivio (l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia). Ora, a questo studio subentrano cinque altre discipline: la medicina, il diritto canonico, il diritto civile, la teologia e la filosofia. L'interesse d’Ildegarda per queste discipline è testimoniato nelle e dalle sue opere. Cita spesso il diritto canonico, per esempio, e il diritto civile e fa tante allusioni ad essi, il che dimostra che aveva una conoscenza precisa delle norme di legge. Per quel che riguarda la medicina, sappiamo che Ildegarda si è interessata di medicina e sembra che abbia conosciuto l’opera di colui che è stato il fondatore della Scuola di Salerno, Costantino Africano.

C’è poi un altro aspetto, il conflitto con l’eresia. Le dimostrazioni su base razionale accanto all’esegesi biblica entrano sempre più al primo posto. Ildegarda ha delle discussioni che a volte confinano con l’eresia e ne prende parte. Lo dimostrano le sue lettere contro l’eresia dei catari. C’è poi un movimento di riforma nella Chiesa; prima di tutto per assicurare la Chiesa l’indipendenza dal potere politico, per liberarla dalle infiltrazioni di questi interessi politici ed economici. Anche a questo Ildegarda non è indifferente e lo testimonia soprattutto la sua corrispondenza. C’è un movimento di riforma anche negli Ordini religiosi. Ildegarda lascia Disibodenberg e cerca per la sua comunità una libertà d’organizzazione al di fuori dell’influsso di Cluny, al quale subentra quello dei cisterciensi, per opera di San Bernardo. L’interesse e la cura della vita spirituale dei laici ce li dimostrano non poche lettere d’Ildegarda, lettere di consiglio, d’ammonizione, d’incoraggiamento, che indirizza a loro; non solo a dei laici, ma anche a delle comunità monastiche. La riforma del clero è un altro pensiero del tempo che interessa Ildegarda, come lo vediamo nelle sue lettere ai vescovi, sacerdoti, abati e a semplici monaci, e anche nelle sue opere maggiori, specialmente nello Scivias.

Noi ora tratteremo soprattutto il primo di questi punti d’interesse: l’uomo, la sua importanza e grandezza e il rapporto dell’uomo con il cosmo. Ripeto, immaginarsi la storia della cultura senza il Medioevo è come pensare ad un sorgere improvviso del Rinascimento. Se ci si chiede che cosa mai è la cultura europea, ci troviamo di dovere ad apprezzare sempre di più il Medioevo. Incontriamo i segni della grandezza di quest’epoca ad ogni passo, per così dire, nei meravigliosi prodotti dell’architettura e della pittura, che non sono pure imitazioni, ma frutto di creatività. Attività creativa si trova pure in vari campi, particolarmente in quelli della religione e della politica. L’Europa comincia a seguire il proprio cammino; non ha più una cultura da imitare, conosce ormai la cultura classica, ne conosce un’altra, che le pone dei punti interrogativi. Quando poi nei secoli successivi la nuova cultura europea si sarà formata e affermata, succederà quanto succede in casi simili, che, arrivata in alto, soddisfatta della propria grandezza, guarda indietro, conscia del progresso fatto, guarda con commiserazione, se non con disprezzo.

A ciò si aggiungerà più tardi la riforma protestante, che porterà a considerare la Chiesa da un punto di vista negativo. Dirà: quello che era d’imperfetto nel passato ora è stato riconosciuto e corretto e, per quanto possibile, distrutto. Ora, non voglio fare la glorificazione del Medioevo, che era un’epoca umana, come ogni altra, e quindi non ha solo lati positivi, ma semplicemente la rettificazione. Ricordiamo che allora nel VIII-IX secolo c’era un’Europa unita, sotto i Carolingi, e una corrispondente fioritura di cultura. Quindi, pensiamo del Medioevo come di un’epoca di trapasso, sì, ma come un’epoca che ha portato molto.
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Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

mercoledì 5 febbraio 2020

ILDEGARDA DI BINGEN



LA  SPIRITUALITÀ  DI  SANT’ILDEGARDA NEL  QUADRO  DEL  XII  SECOLO

Prima di incominciare il tema d’oggi, vorrei dire due cose: una riguardante il XII secolo, e l’altra riguardante Ildegarda. Vorrei che si pensasse a lei in modo corrispondente a lei stessa. Sento dire spesso che Ildegarda è “una donna dei nostri tempi”; direi piuttosto: è una donna dei suoi tempi, o meglio, di tutti tempi, per quel che personalmente vale e per quel che personalmente può dare, ma è una donna del suo tempo. Che cosa dice Ildegarda di se stessa? Vi abbiamo accennato anche la volta scorsa. La prima cosa: che lei è “creatura Dei, ipsius gratia”, creatura di Dio, per la sua grazia. Il fatto d’essere creature di Dio è da lei pienamente inteso e compreso, ne conosce il significato; è una gran cosa, essere creatura di Dio e questo lo è ciascuno di noi, una creatura di Dio, per la sua grazia. Di se stessa dice in particolare che è “la poverella, la persona semplice, fragile e indotta”, che “fa parte della discendenza della fragile costola d’Adamo”, “cenere di cenere, putredine di putredine”, timorosa quando deve parlare, che non conosce nessun insegnamento dei maestri umani, “non sa leggere con intelligenza le opere dei filosofi”. Ma nello stesso tempo dice pure che lei è “docta interius per mysticum spiramen (= lei ha avuto l’insegnamento nell’intimo per il soffio dello Spirito Santo. Questa è Ildegarda, una donna semplice e, nello stesso tempo, per grazia di Dio, una grande donna.

Che cosa dice Ildegarda della donna e dell’uomo? Anche questo è da sapere per evitare falsi giudizi sulla dottrina d’Ildegarda, considerandola come un’iniziatrice del femminismo. Commentando il passo di San Paolo della prima lettera ai Corinzi (1 Cor 7) dice che, come la donna è stata formata dall’uomo, così pure l’uomo è formato per mezzo della donna. Ogni cosa poi viene da Dio, lei dice così, iniziando con la formula che usa quasi sempre quando commenta la Scrittura: “La donna è stata creata per l’uomo e l’uomo è stato fatto per la donna, cioè, per mezzo della donna, perché, come Eva è stata tratta dall’uomo, così anche l’uomo nasce dalla donna; essi collaborano ad un’unica opera. Essi fanno come l’aria e il vento, che s’implicano a vicenda nella loro opera. In che modo? L’aria è mossa dal vento e il vento s’intreccia con l’aria, cosicché nel loro ambito, là dove sono, quanto vive e cresce dipende da loro. Così l’uomo e la donna sono impegnati insieme nell’opera filiorum, nella procreazione di figli. L’uomo e la donna esistono e per volontà e secondo le disposizioni di Dio, perché Dio li ha fatti secondo la sua volontà”. Penso che, incominciando questa spiegazione, dica: l’uomo e la donna sono diversi; appunto, l’uno si chiama ‘uomo’ e l’altra, ‘donna’.

Quanto riguarda il XII secolo, non vorrei pronunciarmi sul XII secolo in generale, ma sul XII secolo in Germania. La storia della cultura ha uno sviluppo diverso nei vari paesi: la spiritualità della Germania del XII secolo forse non corrisponde in tutto alla spiritualità in Italia nello stesso secolo. Mi rifaccio in parte alle poesie e composizioni di carattere popolare piuttosto che ai documenti culturali, che pure citeremo. Nel XII secolo troviamo una grande ricchezza di motivi e novità di interessi. Se, come spesso si è fatto nel passato, il Medioevo è considerato come un tempo di oscurantismo, si vive in un malinteso di un tempo scuro, in cui la filosofia è schiava della teologia e la storia della cultura europea è vista esclusivamente in due tempi: quello della cultura classica greco-romana e quello del Rinascimento; in mezzo, le tenebre.

Questa visione di comprensione unilaterale di quello che è cultura, avrebbe per conseguenza di non portarci a conoscere Ildegarda di Bingen, o considerarla come la monaca indotta che parla solo sotto l’ispirazione dall’alto e ci renderebbe quasi impossibile di giungere alla conoscenza di questa personalità che unisce, insieme ai doni spirituali straordinari, un’acuta intelligenza e comprensione dei problemi del tempo e un vivo interesse per ogni campo di sapere. Ildegarda vive nel suo tempo nel conoscerne le aspirazioni, in parte condividendole. Ne prova le difficoltà, ne sente pure i pericoli.

Come data dell’inizio del Medioevo ci sono varie proposte: 365, 395, 476 a.D. Non importa. Anche per la fine ci sono varie proposte: la scoperta d’America, o, prima, la caduta di Costantinopoli. Attraverso i primi autori cristiani il Medioevo ci trasmette quanto di positivo ha fatto il Medioevo per la cultura: un patrimonio di cultura antecedente non indifferente; non solo dal II secolo in poi, ma anche del periodo classico. Autori classici sono letti, studiati, copiati. Per dare un esempio, nella rilegatura di un manoscritto d’Ildegarda, quello del “Libro dei meriti di vita”, (manoscritto nove di Dendermonde) si è trovato pagine di codice degli Epodi d’Orazio, quindi si vede che quest’autore fu letto nel convento, dove il manoscritto fu steso.

Ildegarda nasce alla fine del XI secolo e vive durante una gran parte del XII secolo. Il XII secolo è il frutto più ricco e straordinario del Medioevo; quello che più tardi sarà il Rinascimento, lo è questo periodo per il Medioevo. Segna una svolta e un inizio della cultura europea. Perché? In parte possiamo trovarlo nelle condizioni di vita che stanno mutando: le città cominciano ad acquistare importanza, la vita politica nella città si annuncia nell’interesse degli abitanti nel divenirne partecipi e a liberarsi dalla dipendenza dai vescovi. La cultura si arricchisce con il contatto con l’Oriente più evoluto nei campi delle scienze e della filosofia. Ed è appunto la filosofia, quell’aristotelica, che è curata e sviluppata dagli arabi e che determina un nuovo indirizzo nella ricerca del pensiero. La teologia, poi, continua con nuovi metodi ad inserirsi nella filosofia, cui a poco a poco, nelle epoche successive, lascerà il posto. Il che non vuol dire che la teologia non esisterà più.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

venerdì 17 gennaio 2020

ILDEGARDA DI BINGEN



Le opere di Ildegarda

La prima è lo Scivias, in tre libri, che tratta nel primo libro sei visioni della storia del mondo e della la creazione, per la quale nel dodicesimo secolo ci fu un grandissimo interesse. Il secondo libro tratta i sacramenti e la vita religiosa e il terzo libro tratta le virtù, gli angeli, l’influsso delle virtù sulla vita dell’uomo e come bisogna servirsi delle virtù per vivere secondo Dio. Per Ildegarda la storia del mondo non era la storia umana, ma la storia dell’uomo con Dio e tutta la storia è storia sacra che procede attraverso tante vicende, cominciando con il peccato dell’uomo, poi la redenzione che dev’essere realizzata e vissuta dagli uomini e si conclude con la celeste armonia. Vedremo poi quale importanza ha il concetto dell’armonia per Ildegarda. Il libro finisce con la descrizione di come tutte le anime sono unite nell’armonia celeste e si rallegrano e gioiscono davanti a Dio. Il concetto di armonia vuole dire per Ildegarda tutto: il ritorno al disegno iniziale di Dio; egli ha fatto tutto bene, l’uomo ha sciupato questo bene con il peccato, non ha voluto osservare la legge di Dio. 

È anche interessante come Ildegarda considera la legge: non è la legge esterna, è data dalla natura di ogni cosa, per l’uomo e per le varie cose; vuol dire scoprire l’interiorità delle cose, la nostra interiorità e la nostra armonia e quanto si sciupa la nostra armonia. Il nostro sforzo dev’essere di riportare l’armonia alla nostra vita. Armonia vuol dire ordine, vuol dire anche cosmo. Ogni cosa deve aver il suo posto e l’uomo deve avere il suo posto, che è voluto da Dio, secondo Ildegarda, prima del peccato e ancor prima della creazione. Dio ha sempre pensato all’uomo come all’essere al centro della creazione, il quale, attraverso malgrado il peccato, doveva ritornare alla sua posizione iniziale. L’uomo riassume in sé il mondo, è un piccolo mondo, perché è l’unica creatura dotata di ragione e avvalora tutto quello che Dio ha creato. Non è il centro del mondo, il centro del mondo è Dio; però è al centro del mondo, se è in Dio. Ed essendo in Dio, tutto diventa armonia, tutto diventa cosmo. E così finisce lo Scivias.

Nel Liber vitae meritorum ci sono vari motivi che si intrecciano, il motivo della creazione, quello degli elementi, il motivo di Dio, centro del mondo, il motivo della lotta fra il peccato, i vizi, e le virtù. Le virtù e i vizi si affrontano; la cosa interessante è che la virtù è semplice nel suo modo di esposizione, mentre il vizio parla bene, si presenta bene, dà buoni consigli, ma la descrizione che Ildegarda ne fa è orrenda: del vizio sentiamo gli allettamenti, ma non ne vediamo la realtà com’è. Ildegarda ce lo dimostra in questo modo.

Il terzo libro è il più bello, il più interessante e certamente il più difficile: è il Libro delle operazioni di Dio, in cui fa vedere come l’uomo è in rapporto con tutto il mondo. Il mondo non è indifferente a come l’uomo si comporta e l’uomo è legato in certo senso con il mondo, perché, secondo Ildegarda e gli altri autori del suo secolo, la creazione stessa, essendo opera di Dio, è un libro che va letto e la creazione ci può istruire sugli intenti di Dio. Ed è per questo che si trova un linguaggio simbolico in lIdegarda, perché, guardando il mondo e vedendo, per esempio, le costellazioni delle stelle, lei capisce che queste sono una parola di Dio che bisogna cercare di comprendere e interpretare.

Queste sono le grandi opere, ma scrive ancora delle Vite di santi, di San Disibodo, di San Ruperto, un’interpretazione della Regola di San Benedetto, non completa, scrive anche delle risposte a questioni teologiche che le vengono poste dai monaci del monastero di Villers, e settanta canti con la musica; dice di non aver mai imparato la musica, però scrive una musica eccezionale, bella, che presenta, come tutti gli scritti di Ildegarda, anche moltissimi problemi, perché sono sempre una fonte di ricerche. C’è sempre da scoprire qualcosa su Ildegarda; è talmente ricca in quello che dice, riassume sempre diversi aspetti, che si riesce a capire solo poco per volta.

Scrive anche, un problema ancora scottante di cui mi sto occupando, ma di cui sono ancora lontana dal trovarne una risoluzione, quasi mille parole in una lingua ignota che usa un alfabeto ignoto, di cui lei dà la traduzione in latino e tedesco medioevale. Per quale motivo aveva scritto queste mille parole, tutte sostantivi, e le aveva difese in una lingua che lei stessa forma? Cerchiamo di studiarlo e capirlo senza finora riuscirci, certamente non senza motivo, perché Ildegarda è una persona estremamente pratica, ogni cosa che fa ha uno scopo. Se lei scrive questa lingua ignota, certamente lo fa con uno scopo, per aiutare a far capire certe cose.  Delle volte pensavo che forse fosse una reazione al movimento filosofico dei nominalisti, per cui le cose non avevano valore in sé, ma il mistero rimane.

Scrive la spiegazione del Simbolo di Sant’Atanasio e infinite lettere, un piccola dramma teatrale,
Ordo virtutum,(= Il coro delle virtù), che è stata rappresentata varie volte, forse anche a Milano, in Germania molte volte, anche in Inghilterra, in Italia a Siena. Presenta l’assalto che il Diavolo fa all’Anima e la difesa che l’Anima trova nelle Virtù. Le Virtù cantano, mentre il Diavolo grida soltanto, non conosce la musica, perché per lui l’armonia non esiste.

Riassumendo cercheremo la volta prossima di vedere del XII secolo quali elementi Ildegarda accolga in sé dei movimenti, delle aspirazioni, dei nuovi indirizzi di questo secolo aureo, che è quasi il rinascimento del Medioevo. Sono i nuovi aspetti, le nuove tendenze che Ildegarda in sé assume, perché in ciascuna delle sue opere c’è qualcosa di queste nuove aspirazioni che commuovono e muovono la sua epoca.

Una precisazione sulle Lettere di Ildegarda

Nel Medioevo la lettera come genere letterario era sempre una cosa pubblica, sarebbe stata una vergogna, un’offesa, una cosa inaudita se uno avesse ricevuto una lettera, l’avesse presa e letta per sé. Quello che noi possediamo delle lettere di Ildegarda sono lettere ufficiali. Le lettere personali, in cui, per esempio, lei chiedeva dei manoscritti da leggere, o riferiva una necessità pratica, non esistono. Abbiamo solo lettere ufficiali  e forse già corrette per pubblicazione, perché esiste di lei un libro di lettere, emendate e corrette ad uso per la lettura.

La grande difficoltà dell’edizione delle sue lettere era appunto questa: abbiamo parecchi manoscritti, ma nessuno ha tutte le lettere e le redazioni sono molto diverse, per cui si vede la lettera come doveva essere all’inizio e poi nel famoso Riesenkodex, ancora conservato a Wiesbaden, in cui c’è la redazione ufficiale, il libro delle Lettere, che va letto per aver consigli, ma non si tratta delle lettere stesse originali che Ildegarda scriveva a Federico Barbarossa, all’abate di Disibodenberg e così via. È quindi molto interessante il confronto tra queste varie redazioni di lettere, un lavoro fatto con molti anni di grande fatica, che in parte è ormai concluso; manca ancora la Vite di Disibodo e di Ruperto, che inizia con una lettera di presentazione, queste non sono state ancora edite, ma il lavoro verrà completato.

A proposito delle traduzioni integrali in italiano delle opere di Ildegarda

C’è una traduzione integrale del Libro dei meriti di vita e un’altra della breve trattazione sulla
Regola di San Benedetto. Ci sono traduzioni integrali in tedesco e in inglese, ma non di tutte le opere. Tradurre Ildegarda rappresenta una fatica enorme! Quando devo preparare una conferenza, ci vuole più tempo per tradurre le brevi citazioni, che per fare il resto, perché il testo è talmente condensato, il latino è medioevale, ma esprime tutto quello che lei vuole esprimere. Bisogna leggere i testi nell’originale per quanto possibile, o ci sono delle buone traduzioni in tedesco, alcune, però, non complete.

Nell’introduzione al “Libro dei meriti di vita” – Liber vitae meritorum – (1158-63), la seconda grande opera dopo lo Scivias, Ildegarda elenca gli scritti composti nel periodo che va dal 1151, fine dello Scivias, al 1163.

Essi sono: un trattato di scienze naturali e di medicina (Subtilitates naturarum diversarum creaturarum), una raccolta di canti ed una sacra rappresentazione (Symphonia harmoniae caelestium revelationem; Ordo virtutum), una raccolta di lettere (Responsa et admonitiones tam minorum quam maiorum plurimarum personarum), l’elenco di quasi mille vocaboli di una lingua ignota con il rispettivo alfabeto (ignota lingua et litterae), lettere con alcune esposizioni (litterae cum quibusdam expositionibus), sotto il cui nome s’intendono probabilmente le cinquantotto esposizioni dei Vangeli delle domeniche e di alcune feste (Exposisitiones evangeliorum) e vari scritti minori, cioè: la Spiegazione della Regola di San Benedetto (Explanatio Regulae S. Benedicti), la Spiegazione del Simbolo di Sant’Anatasio (Explanatio Symboli S. Athanasii); la Vita di San Disibodo (Vita Sancti Disibodi) e la Vita di San Ruperto/Roberto (Vita Sancti Ruperti); le Soluzioni delle trentotto questioni su argomenti riguardanti per lo più la Sacra Scrittura (Solutiones triginta octo quaestionum). Non abbiamo l’originale del Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, di cui ci sono pervenute redazioni più tarde, mentre la parte riguardante le scienze naturali è stata divisa da quella sulla medicina; possediamo così, giunte per tradizioni diverse, due opere: l’una, la più ampia, con il titolo di Fisica (Physica); l’altra sotto quello di Cause e cure (Hildegardis causae et curae). Della numerosa corrispondenza sono rimaste trecentonovanta lettere.

 La terza grande opera della cosiddetta Trilogia, e senz’altro la più significativa ed importante, in cui Ildegarda mostra la piena maturità del suo pensiero e la straordinaria ricchezza delle sue conoscenze, è il “Libro delle opere divine”, Liber divinorum operum, che va anche sotto il titolo di “Libro dell’operare di Dio”, Liber de operatione Dei. Nel capitolo introduttivo ne viene datata la composizione (1163-1170). Ma la redazione finale deve essere più tarda. Ildegarda, insicura delle sue conoscenze di grammatica latina, faceva rivedere i suoi scritti dal monaco Volmaro, perché ne correggesse gli eventuali errori e nel 1175, alla morte del fedele segretario, aveva ancora bisogno di aiuto per poter portare a termine l’opera. Lei stessa ricorda in seguito con riconoscenza i nomi di chi fu pronto a prestarglielo.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

lunedì 23 dicembre 2019

ILDEGARDA DI BINGEN


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Poco a poco la vita a Rupertsberg prende un corso regolare. Già lo Scivias e il riconoscimento di papa Eugenio a Treviri della missione di Ildegarda avevano fatto sì che la fama delle sue visioni si spandesse in una larga cerchia. Ben conosciuta, stimata, ricercata per consigli da vicino e lontano,
da persone di ogni condizione sociale, intraprese anche dei viaggi, seguendo il corso del Reno verso il nord, verso il sud, il corso del Meno e il corso della Mosella; probabilmente viaggiava sempre lungo i fiumi. C’erano dei conventi che si trovavano in situazioni molto difficili che chiedevano il suo consiglio, c’era un abate che chiedeva se doveva o no dare le dimissioni, altri chi dovevano accettare l‘incarico.

Gli ultimi mesi della sua vita furono duramente provate dal famoso interdetto. Ildegarda aveva permesso che fosse sepolto nel cimitero del monastero un giovane che era stato scomunicato, ma che si era convertito poco prima di morire e aveva ricevuto l’assoluzione. Il vescovo di Magonza in quel tempo era a Roma e il clero di Magonza non era molto favorevole verso Ildegarda, perché lei aveva scritto alcune lettere, precisando cose che Dio non voleva trovare tra loro. Essi non vollero riconoscere la conversione del giovane prima della morte e pretesero che Ildegarda facesse asportare il cadavere dal cimitero. Lei si oppose, nascose il luogo preciso dove era sepolto e accettò la scomunica per sé e per il suo monastero. Il che voleva dire che non si poteva recitare l’Ufficio, non si poteva assistere alla Messa, ricevere la comunione e gli altri sacramenti. Morì il 17 settembre dell’anno 1179 e alla sua morte ci fu un segno celeste, un segno di croce in cielo.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

martedì 3 dicembre 2019

ILDEGARDA DI BINGEN



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A questo punto vorrei dire alcune cose, anche se molto succintamente sulla sua famiglia. Di lei si diceva che era figlia di una famiglia dipendente dei conti di Spanheim, la famiglia di Jutta. Invece studi recenti hanno fatto conoscere vari membri della sua famiglia. Su un registro cominciato l’anno dopo la morte di Ildegarda che raccoglie tutte le donazioni di beni che sono state fatte al convento, a cominciare dall’anno 1147, l’anno della fondazione. Fra questi donatori si riesce a trovare i vari nomi, tra cui Ildeberto di Bernersheim, Ugo, figlio di Ildeberto, “Ugo cantore”, primo cerimoniere del vescovo di Magonza, che viene nominato anche da Ildegarda nelle sue lettere. Attraverso questo nome di Ugo si riesce a trovare i fratelli di Ugo, in modo che si ricostruiscono i nomi di otto membri della famiglia di Ildegarda: Ugo, Drutwin, Odilia, Irmingarda, Jutta, Clemenzia, Rorich; mancano solo due. Tutti questi fratelli fanno donazione completa al convento di Rupertsberg, cosicché sembra che la famiglia si sia estinta. Forse gli altri due erano donne sposate, tuttavia nei più di mille documenti esaminati non si trovano altre tracce di nomi che si riferissero a questa famiglia. Bisogna pensare che era il tempo della seconda crociata (1146-49) e che se erano maschi, forse vi avevano partecipato e erano morti.

Conosciamo dei nipoti dalle lettere e da altri documenti e il cugino di Ildegarda, il vescovo di Treviri, Arnoldo di Walencourt, una famiglia della Lorena. Lui scrive in una sua lettera: “L’amicizia tra parenti è cosa celeste, l’età non le porta impedimento, anzi l’accresce, è sincera, non conosce tregua, piuttosto aumenta di giorno in giorno. Ma mentre entrambi noi sin dal principio della nostra vita siamo  stretti da vera amicizia, ci chiediamo con meraviglia perché mai Voi (Ildegarda) abbiate più caro l’adulatore del vero amico, mentre il profeta dice: ‘l’olio del peccatore non impingua il mio capo’, e il nostro fratello, il prevosto di Sant’Andrea in Colonia, noi lo riteniamo un adulatore. Ildegarda gli risponde in una lettera molto amabile, ma sulla parentela non una parola, forse per l’allusione negativa fatta da lui al riguardo del fratello Wezelin.

Si vorrebbe maggior informazione sulla famiglia di Ildegarda, ma ciò che risulta è che aveva moltissimi contatti con la famiglia di Staufen. Lo zio di Federico Barbarossa aveva i suoi possedimenti confinanti con quelli di Bermersheim, i luoghi della famiglia di Ildegarda. Il primo benefattore del nuovo monastero di Rupertsberg è il conte Palatino Ermanno di Stahleck, la cui moglie era sorella del re Corrado. Ildegarda ottiene l’esenzione per il suo monastero dall’Imperatore Federico Barbarossa, in data del 18 aprile 1163. A lui scrive lettere con una straordinaria audacia, muovendogli rimproveri e minacciandogli dei castighi di Dio, quando alla morte dell’antipapa Vittorio IV Federico si accinge di eleggere il suo successore, Pascasio III. Dice: “Nella mia visione mistica vedo Te come fossi un pargolo e uno che vive senza ragione dinanzi agli occhi del Dio vivente”. E in un’altra lettera dice: “Dio dice così: ‘Guai, guai, io distruggo la protervia orgogliosa, la superbia e la contraddizione di quelli che mi disprezzano. Riduco in frantumi la mia stessa opera. Guai, guai a Te, ascolta quel che Ti dico se vuoi vivere, altrimenti la mia spada Ti percuoterà”. Così erano i suoi rapporti con Federico Barbarossa. Dopo la sua morte il fratello di Federico, Corrado, conte Palatino di Tureno, fondò una donazione in suo nome a favore di Rupertsberg e depone anche un lascito alla sua memoria.

La franchezza di linguaggio che aveva Ildegarda con i potenti di questo mondo è forse in parte dovuta alla sue condizione sociale, per cui se lo poteva permettere. E soprattutto dovuta al suo profondo senso di giustizia. Ci restano trecentonovanta lettere, di cui è stata ultimata qualche settimana fa l’edizione critica. Si rivolge ad abati, a sacerdoti, a laici, a persone semplici, all’Imperatrice di Bisanzio, al re d’Inghilterra, a membri di tutte le classi sociali con una franchezza, una chiarezza e un coraggio indicibile.

Gli anni che seguono dal 1151 fino alla morte di Ildegarda sono ricchi di avvenimenti  e pieni di attività esterne. Delle difficoltà di ogni genere all’inizio, a causa del rifiuto dei monaci di consegnare alla monache la loro dote, Ildegarda dice: “Io rimasi in quel posto con venti giovani monache di famiglie ricche e nobili, alle quali era finora nulla mancato, in una grande penuria.
Non vi era altra abitazione nel vicinato che quella di una persona anziana e dei suoi figli e figlie”.
Poi si aggiungeva a questa situazione difficile la critica assai malevola della gente a proposito. “I monaci e la gente del vicinato si chiedevano per qual motivo avessimo lasciato una regione ricca di pingui campi e vigne, com’era Disibodenberg, e così amena, per andare a finire in un luogo arido e solitario, in cui non c’era da aspettarsi alcun vantaggio e si mettevano insieme per andarci contro e c’era chi mi diceva vittima di false apparizioni”.

Non ultima cosa a farla soffrire era la reazione di alcune sue figlie: “Si separarono da me e alcune più tardi vivevano così disordinatamente, da far dire a molti che il loro operato di per sé rivelava che avevano peccato contro lo Spirito Santo e contro chi mosso dallo Spirito parlava loro. Quante poi mi volevano bene si domandavano con stupore come mai io venissi così provata, mentre non altro volevo che fare del bene”. Anche in seguito per alcuni anni ebbe a soffrire da parte delle sue figlie, che, come lei diceva, avendole viste nella visione, “…erano avvolte nella rete di spiriti aerei, che combattevano contro di noi e che le avevano catturate per mezzo di vanità. Alcune mi guardavano con occhi torvi e di nascosto mi mordevano con le loro critiche, dicendo che non potevano sottomettersi alla stretta della disciplina regolare, alla quale io le volevo costringere. Ma Dio mi diede sollievo per mezzo delle altre consorelle buone e sagge”. Nel Liber vitae meritorum (= “Libro dei meriti di vita”), la seconda grande opera di Ildegarda, in cui sono stati descritti trentacinque vizi, si dice che per descrivere questi vizi lei non dovesse fare altro che guardare alcune delle sue figlie!

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Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

venerdì 15 novembre 2019

ILDEGARDA DI BINGEN


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Dice Ildegarda di Bingen, riferendosi a questo monastero da lei fondato: “Dalla periferia al centro, dall’eremitaggio alla confluenza del Nahe e del Glan - dove era vissuto finora – ai colli sulla riva del Reno” - alla confluenza del Reno e del Meno, laddove da tutte le direzioni, da tutti punto cardinali passavano le vie di comunicazione, oltre a quelle fluviali, sul Reno e sul Meno. È un punto centrale, per cui ha facilità di comunicazione con persone, conventi, in tutta la Germania e con altri paesi, con il Belgio, per esempio e con i paesi dell’Est.

Il distacco da Disibodenberg non avvenne senza difficoltà. Per i monaci la presenza di Ildegarda significava più che mai un’attrattiva spirituale che si veniva a perdere. Un’altra perdita, materiale e rilevante, era quella della dote sua e delle altre sue compagne, che fino a quel punto era stata amministrata dal monastero. La questione restò aperta per anni, lo vediamo dalle lettere, forse fino a 1170. Ildegarda continua a chiedere la restituzione, perché ne aveva diritto e anche bisogno per la sua comunità e anche perché la giustizia era per lei il fondamento della santità. In una lettera all’abate Helinger si rivolge a lui senza tanti riguardi, incominciando col dirgli quanto ne vede nella sua visione, per continuare molto energicamente: “Ora, ascolta e apprendi, perché Tu abbia da arrossire, se sei capace di assaporare nell’anima quello che io Ti dico. A volte Ti comporti come un orso, che in segreto brontola tra sé e sé, a volte pure come un asino. Non Ti prendi cura di quello che devi fare e Te ne stai zitto e sotto certi aspetti pure con imperizia e così di quando in quando non ci riesci a portare all’effetto la malvagità dell’orso. Per questo Tuo comportamento il Padre celeste dice: 'Guai, guai a Te; questa instabilità non è secondo la mia volontà’”. Verso la fine della lettera conclude: “Il Tuo cuore non prenda beffa dell’opera di Dio, perché non sai quando la sua spada può colpirTi”.

La lite durò a lungo fino a che col tempo si giunse a una soluzione accettabile da ambe le parti. Tra il riconoscimento dell’autenticità delle visioni di Ildegarda da parte di papa Eugenio nel 1147 e il trasferimento dal monastero di Disibodenberg a Bingen trascorsero circa tre anni, durante i quali venne costruito, sebbene non completamente, il nuovo monastero. Di questo cambiamento c’erano anche dei motivi politici. I tempi antichi non erano sempre così tranquilli, come si è portati a credere. Nell’anno 1146, quando Ildegarda era ancora a Disibodenberg, fu solo per l’influenza di Bernardo di Chiaravalle, che per poco non pagò il suo intervento con la vita, che la comunità ebraica di Magonza, ricostituita da non molto, dopo il pogrom di 1096, poté salvarsi non senza aver patito gravi perdite. Un fatto molto doloroso era successo, il gruppo di ebrei si era rifugiato presso il vescovo, il vescovo era venuto a Rudersheim e aveva promesso di proteggerli. Avendo visto che non lo poteva, li lasciò andare ed erano stati uccisi forse nelle vicinanze di Eibingen e del nuovo monastero.

Più da vicino ci toccano le vicende del successore del vescovo Enrico di Magonza, Arnoldo. Sul vescovo di Magonza in quanto tale correva il detto: “Maguntinus post Imperatorem princeps est principum” (=subito dopo l’Imperatore, il vescovo di Magonza è il principe dei principi). Arnoldo era stato eletto dal re Corrado, come Cancelliere dell’Impero. Siamo in quel momento cruciale in cui si comincia il sorgere dell’indipendenza delle città e anche il lento sorgere della borghesia.
Arnoldo cercò di ristabilire il potere del vescovo nella città e venne a trovarsi in conflitto con il conte Palatino, Ermanno di Stahleck, uno dei più grandi benefattori di Ildegarda. La contesa ebbe per conseguenza saccheggi, devastazioni, destruzione delle chiese, dei villaggi, dei castelli, delle fattorie. Barbarossa cercò di mettere pace e tra altro sottopose nobili facinorosi a una gran pena molto disonorevole, detto das Hundetragen, il portare a spasso un cane. Era il tempo in cui il Barbarossa preparava la spedizione contro Milano. Arnoldo aveva più volte pregato l’Imperatore per non prenderci parte, però invano. Ma i suoi sudditi magontini si rifiutavano di pagare il tributo per la guerra e per questo motivo, egli, dovendo partire per l’Italia, lanciò loro la scomunica.

Prima del suo ritorno alla domenica delle Palme del 1160 la rievocò e sembrava che tutto fosse in pace; quando Arnoldo cercò di regolare i conti con i magontini, la lotta ricominciò più che mai. Poi
avvenne un fatto dolorosissimo ricordato da tutte le cronache dei monasteri della Francia, della Germania, dell’Inghilterra dell’epoca: il 24 giugno dell’anno 1160, l’abate di San Giacomo di Magonza, da dove erano partiti i fondatori per il convento di Disibodenberg, invita il vescovo Arnoldo al monastero e lì il vescovo viene ammazzato. Pare che Ildegarda abbia annunziato ad Arnoldo questa sua fine. Negli annali del tempo di un convento della Germania troviamo che: “C’era in quel tempo una santa, una vergine di nome Ildegarda, che in una visione spirituale vide che Arnoldo, di cui abbiamo parlato, sarebbe morto in pochissimo tempo. Gli scrisse: ‘O Padre, sta ben attento a Te, perché sono state sciolte le funi che tenevano legati i cani che Ti inseguono’. Ma egli non diede retta ad alcun monito”. Questa lettera citata si trova nel convento e non nell’epistolario di Ildegarda. Abbiamo un’altra in cui, con tono rispettoso, vengono dette delle parole di ammonizione e di rimprovero e che termina così: “Surge ergo ad Deum, qui ad tempus cito venit!” (= sorgi, volgiti dunque a Dio, il tuo tempo verrà presto!)

Arnoldo è stato poi un grande benefattore di Ildegarda, quando aveva concesso l’indipendenza al suo monastero. Un altro benefattore è Federico Barbarossa, il quale, in data di 18 aprile 1163 dà la piena indipendenza amministrativa per il monastero di Rupertsberg, senza obbligo di ricorre ad un curatore o ad un tutore, sia dalla parte laica che quella ecclesiastica. Ildegarda, questa contemplativa, era una persona estremamente pratica e non voleva assolutamente ingerenze alcune per la vita del suo monastero, né dalla parte del clero, né dalla parte dei benefattori laici. Voleva poter decidere lei stessa. Così, dalla semplicità della vita eremitica, sotto la tutela del monastero maschile, Ildegarda giunge alla piena indipendenza.

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Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

venerdì 25 ottobre 2019

ILDEGARDA DI BINGEN


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Questa visione straordinaria esige una risposta e vuol dare alla vita di Ildegarda una nuova direzione. Di questo avvenimento Ildegarda stessa dà la data con precisione, meglio ancora, con solennità. Lei introduce così la descrizione: “Nell’anno 1141 dell’Incarnazione di Gesù Cristo,Figlio di Dio, quando io contavo quarantadue anni e sette mesi vidi un grandissimo splendore: in esso si fece udire una voce dal cielo che mi disse: ‘O essere fragile, cenere da cenere e putredine da putredine, scrivi quello che vedi e odi’”. Questa visione è per Ildegarda una specie di battesimo di fuoco; la descrive così: “Una luce fiammeggiante con bagliori simili a quelli di un fulmine venne dal cielo e scese su di me, m’inondò il cervello, mi penetrò pure il petto con una fiamma che non consuma ma riscalda, come fa il sole per quanto cade sotto i suoi raggi. E d’improvviso mi aprì ilsenso delle Scritture, del Salterio, del Vangelo e degli altri libri del Vecchio e del NuovoTestamento, il loro senso, non il significato parola per parola, o altre regole retoriche. ‘Scrivi quello che vedi e odi’, così la voce”.

Per Ildegarda non fu facile aderire all’ingiunzione divina. Era troppo convinta della sua pochezza ed ignoranza. Vi si aggiungeva poi l’insicurezza di fronte alle cose straordinarie di cui era oggetto.
“Tutto ciò che ho descritto” ci spiega “io l’avevo visto e udito, tuttavia rifiutavo di descriverlo, non per ostinazione, ma nella convinzione della mia incapacità, a causa dei dubbi, dell’opinione non favorevole e delle diverse interpretazioni che vi si davano, fintanto che, come Dio vuole, caddi malata e infine, costretta nelle molte sofferenze, misi mano a scrivere”. Dice in latino: ‘manus  ad scribendum opposui”. Così inizia la sua attività di scrittrice e anche di questo inizio ci dà la data,mettendola in relazione con gli avvenimenti del tempo e del luogo in cui viveva: “Al tempo di Enrico, vescovo di Magonza, e di Corrado, re di Roma, di Kuno, abate di Disibodenberg, sotto Eugenio, papa, successero queste visioni e parole. Ed io le dissi e scrissi non secondo il mio sentire, o quello di altre persone, ma secondo come le vidi e le udii e ricevetti dal cielo per le vie misteriose e nascoste di Dio”.

Ma l’insicurezza le rimaneva. La visione poteva venire sì da Dio, ma sarebbe stato accolto il messaggio da una donna “semplice”, cioè, incolta? Assicurarla poteva soltanto una persona che alla profondità della dottrina unisse alla santità di vita e una tale persona era nell’anno 1147 non lontana: Bernardo di Chiaravalle era allora a Treviri per il Sinodo a cui prendeva parte pure un altro cisterciense, papa Eugenio III. Diamo qualcosa della lettera che Ildegarda gli scrive e della risposta di Bernardo. Ildegarda: “Sono in pena per questa visione che mi si rivela nell’anima in maniera misteriosa. Mai ne ho presa coscienza con gli occhi di carne. O mite Padre, nella Tua bontà rispondi alla Tua indegna serva che dall’infanzia mai ha vissuto una sola ora di sicurezza… Io mi affretto a venire a Te… Tu sei l’aquila che fissa lo sguardo nel sole”. E Bernardo risponde, poche parole, chiare e rassicuranti: “Ci rallegriamo con Te per la grazia che Dio opera in Te. Per quanto mi riguarda, io Ti esorto e scongiuro di stimarla come una grazia e di corrispondervi con tutta la forza del Tuo amore dell’umiltà e della dedizione”.

Intanto l’abate del monastero di Disibodenberg, Helinger, ne parla con il vescovo e Ildegarda stessa racconta nell’eremitaggio di Disibodenberg parla della sua incertezza con Jutta, la quale la consiglia di parlarne con un monaco, che molto probabilmente è lo stesso che più tardi sarà il segretario di Ildegarda. Il monaco ne parla con l’abate e l’abate parla con il vescovo. Il vescovo infine ne parla con il papa. Il papa che si trova in quel periodo a Treviri, a poca distanza da Disibodenberg, manda per questo motivo due suoi legati a Disibodenberg, incaricandoli di fare conoscenza personale di Ildegarda, di prendere informazioni molto precise su di lei e di chiedere pure di leggere il libro che Ildegarda sta scrivendo, lo Scivias, che verrà portato a termine nel 1151. Riguarda al titolo Ildgarda dice: “Nella mia visione ho saputo che a questo mio libro che dovevo scrivere per incarico di Dio dovevo dare il nome di ‘Sci vias Domini’”. Generalmente questo titolo viene tradotto “Conosci le vie del Signore”, ma non credo che questa sia la traduzione giusta, anche per quanto Ildegarda dice in seguito,  facendo questa osservazione: “Ho conosciuto le vie del Signore”. È la sua testimonianza sulla vita dell’uomo, sulla Chiesa, sulla storia.

Come leggiamo negli Atti della canonizzazione, Eugenio III stesso lo legge personalmente ai membri del Sinodo. A quanto ci racconta, Bernardo di Chiaravalle sarebbe intervenuto personalmente presso il papa con la preghiera di non lasciare che una simile lucerna restasse nascosta e il papa si mostra non solo favorevole nella richiesta ma esorta pure Ildegarda con una lettera, che abbiamo, a corrispondere alla grazia a lei fatta e a scrivere quanto verrebbe a conoscere nelle sue visioni, Così gli anni della solitudine e del silenzio volgono alla fine e nello stesso tempo, quasi per rendere più evidente la nuova direzione in cui procedere viene ingiunta in visione a Ildegarda di lasciare l’eremo e come nuova sede per la piccola comunità, che ormai contava diciotto persone, le viene indicato il monte di san Ruperto, il Rupertsberg, nella vicinanza di Bingen, sul Reno, dove, secoli addietro, questo giovane santo era vissuto e morto.

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Sr. ANGELA CARLEVARIS osb