venerdì 6 dicembre 2019

FUGGITA DA SATANA



MICHELA 

La mia lotta per scappare dall'Inferno



La suora di madre Teresa

Tutte queste immagini mi scorrevano dinanzi agli occhi mentre il treno continuava ad avvicinarsi sempre più alla mia meta, quel 6 gennaio. Erano trascorsi molti anni dall'ultima volta in cui ero stata a Roma, però durante la settimana di preparazione avevo continuamente ripercorso mentalmente tutto l'itinerario: dalla stazione Termini dovevo fare un giro in centro con la metropolitana per attendere l'orario dell'incontro, poi avrei preso nuovamente la metro A e quindi la metro B fino a Eur Fermi e per ultimo l'autobus che mi avrebbe por- tata a Trigoria.
Avevo chiamato in comunità qualche giorno prima e stranamente lei era venuta al telefono e mi aveva dato l'appuntamento per la sera dell'epifania: ho infatti saputo in seguito che Chiara era distrutta perché aveva vissuto un periodo particolarmente intenso e faticoso, tanto da decidere di non prendere alcun tipo di impegno, almeno per quel giorno di festa. Ma, come mi rivelerà Chiara in persona, aveva percepito che in me c'era qualcosa che non andava, che ero fortemente in pericolo e che era importante, nonostante il suo estremo bisogno di riposo, ricevermi lo stesso e parlarmi.
Nella telefonata le avevo raccontato una storia che ci eravamo inventati con la Dottoressa per poter superare eventuali obiezioni: «Tu non mi conosci, ma io ho sentito parlare molto di te e di quello che fai. Appartengo a un movimento cattolico e mi piacerebbe poter vivere qualche giorno lì da voi, perché sto pensando di dedicarmi a tempo pieno a un'esperienza di volontariato e mi è sembrato che Nuovi Orizzonti potrebbe essere il luogo giusto».
Una cosa stranissima accaduta in treno fu che, quando mi recai al posto per il quale avevo la prenotazione, trovai sul sedile una pagina di «Romasette», l'inserto domenicale del quotidiano cattolico «Avvenire», dove si parlava di Chiara e della sua comunità. Lessi l'articolo, che parlava della sofferenza dei giovani, e ricevetti la conferma di quello che dovevo fare. Pensai: "Che ne sa davvero lei di questa sofferenza? Lei non conosce tutto quello che io ho vissuto. Crede di cavarsela aprendo una comunità!".
Toccai il coltello con cui dovevo ucciderla e mi sentii rassicurata. Lo avevo infilato dietro ai jeans, fra la cintura e il pantalone, e ne sentivo la consistenza, anche se il fatto che avesse la lama a scatto non lo rendeva particolarmente ingombrante. Con me avevo poca roba: il solito zainetto era stato sufficiente a contenere un ri- cambio e il minimo indispensabile per stare fuori di casa un paio di giorni. Non era infatti necessario ammazzarla subito. Potevo anche fare un primo sopralluogo, per controllare la situazione a Trigona e i movimenti nella villetta dove aveva sede la comunità, e tornare dopo qualche giorno per attuare il mio compito.
Il mio programma romano si svolse alla perfezione. Arrivai con il treno alla stazione Termini nella tarda mattinata del 6 gennaio e presi la metropolitana fino a piazza di Spagna, per fare un giro come mi era stato indicato dalla Dottoressa. Ero tranquillissima. Ho passeggiato, sono entrata in un ristorante per mangiare e poi mi sono seduta sulla scalinata di Trinità dei Monti per osservare la gente che passava, come una qualsiasi turista. Alla fine del pomeriggio ho di nuovo preso la metro per andare all'Eur e di lì proseguire per Trigoria.
In metropolitana, un altro evento strano. Io stavo in piedi e mi reggevo al corrimano. Proprio di fronte a me c'era, da sola, una suora della congregazione di madre Teresa di Calcutta: aveva gli occhi azzurri e dai pochi capelli che spuntavano dal velo si capiva che era bionda. Aveva una borsa di tela con i manici di legno e in una mano teneva la corona del Rosario. Sulla veste, il consueto abito bianco-azzurro delle Missionarie della Carità, spiccava un rattoppo a forma di sette. Lei mi osservava e il suo sguardo mi dava un enorme fastidio. Sentivo come se volesse dirmi: «So quello che stai per fare e prego per te». Non ha mai distolto gli occhi da me sino a quando è scesa, qualche fermata prima della mia.

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