LA DIREZIONE SPIRITUALE
Il discepolo
Carattere soprannaturale. Iniziamo il discorso mettendo subito nel dovuto rilievo il carattere eminentemente soprannaturale dei suoi rapporti con i direttori. Anche se era ad essi legato da sentimenti ed affetti profondamente umani, non erano questi che ispiravano e motivavano il frequente ricorso a loro. Lo scambio d'idee si maturava e svolgeva in clima soprannaturale. Alla base e alla mèta prevalentemente non si trovava l'uomo ma Dio.
Se padre Pio chiede luce per poter seguire la via tracciatagli dalla divina provvidenza, o "aiuto e conforto al suo dolore", egli fa appello solo "a quell'amore che a Gesù ci unisce, amore che non conosce termine, che non è soggetto a legge" (24 1 1915). Non solo, ma alle volte suggerisce delicatamente ai direttori di evitare certi "regali" e certe "premure", che potrebbero far pensare a motivi troppo umani:
"Sentite, padre, sono compreso abbastanza del vostro tenero affetto che mi portate, vi chiedo quindi la carità di non più confondermi inviandomi si fatta roba, specialmente privandovene voi; vi chiedo solo la carità d'essere aiutato sempre con il vostro consiglio e con la vostra preghiera. Di altro non ho bisogno, e, se vi fosse anche bisogno, ne posso volentieri fare senza" (23 10 1921).
D'altra parte padre Pio era ben consapevole della superiorità culturale dei suoi direttori, come pure del posto che essi occupavano nella cerchia dei superiori provinciali.
Ma non furono mai questi i motivi determinanti per cui chiedeva loro consigli ed orientamenti e accettava le loro determinazioni al suo riguardo:
"Mi sforzo di stare alle assicurazioni di chi tiene le veci di Dio" (27 2 1916). "Mi sforzo a tutto studio di stare fermo a quanto mi è stato da voi detto da parte di Gesù" (17 3 1922).
E' questo il cardine della sua totale sottomissione alla voce dell'autorità, della quale parleremo appresso. E ci teneva anche ad inculcare questo principio ai suoi direttori:
"Mi sembra che ormai non sia più il caso che voi con qualche residuo dei vostri sospetti continuate a tormentare queste poverine. Gesù stesso fa loro da guida e voi non siete altro se non ministro di questa sublime guida" (21 7 1913).
Anch'egli si regolava con questi principi soprannaturali nel guidare le anime, alle quali voleva comunicare soltanto ciò che imparava alla scuola di Gesù e di Maria:
"Dio sa quanto ho poi pregato Gesù, ché mi manifestasse la sua volontà in proposito di quell'angelica creatura! Il pietoso Gesù mi assista e la sua santissima Genitrice diriga la mia mano, perché possa ritrarre in iscritto fedelmente, almeno in parte, ciò che essi mi vanno suggerendo" (26 6 1913).
Il motivo di fondo dei frequenti ricorsi e delle accorate chiamate ai direttori era sempre lo stesso: conoscere in ogni circostanza la volontà di Dio, per avviarsi sicuramente al suo pieno compimento; scoprire tempestivamente gli ostacoli che potessero impedirgli l'adeguarvisi con fedeltà e amore.
L'anima assetata di verità inorridiva dinanzi alla possibilità di essere vittima delle insidie di satana o delle proprie illusioni; e consapevole che nulla vi è di più efficace nella presente economia della salvezza per vivere nella realtà, se non ascoltare la voce di Dio che parla attraverso i suoi legittimi rappresentanti, si dirige a questi con assoluta sincerità per conoscere il loro parere e i loro orientamenti.
D'altra parte, poiché il solo pensiero della possibilità di non piacere a Dio gli causava indicibili sofferenze morali, che spesso si ripercuotevano dolorosamente anche nel fisico, l'autorevole assicurazione dei ministri di Dio si rendeva necessaria per conservare o riacquistare la pace e la tranquillità dello spirito:
"Esaminate, ve ne prego, il presente scritto, e trovandovi in ciò inganno del demonio, non mi risparmiate di disingannarmi. Questo pensiero mi fa tremare, io non vorrei essere vittima del demonio" (7 7 1913).
"Vi scongiuro, per amore di Gesù, di esaminare attentamente la cosa e di non esser facile e tenero a voler giudicar bene di me, ma conoscendo di essere nell'inganno aiutarmi, colla grazia del celeste Padre, ad uscirne il più presto" (1 11 1913).
Era tale il suo timore di essere vittima d'illusione che perfino quando in coscienza non poteva negare la realtà di alcune manifestazioni divine, non le accettava per vere finché non fossero assicurate come tali dall'approvazione del direttore. E se capitava che il direttore avanzasse qualche dubbio al riguardo, padre Pio, per spiegare in qualche modo la certezza che egli aveva e l'incertezza del direttore, si serve di una curiosa distinzione tra l'assenso accidentale (al direttore) e l'assenso sostanziale (alla sua coscienza). E con semplicità chiede una spiegazione a questa apparente contraddizione:
"Sapete, padre, io non vorrei in niente essere vittima del demonio, e sebbene io sia certo della realtà di quelle locuzioni, più che non sono certo della mia stessa esistenza, pure mi protesto, facendo lotta con me stesso, di non voler credere a tutto quello, solamente perché voi, mio direttore, l'avete messo in dubbio. Fo bene o no? Del resto, sapete, padre, anche Gesù non si è affatto mostrato disgustato dal perché non gli ho voluto dare importanza ed il mio assenso accidentale. Dico accidentale per distinguerlo da quello intimo e sostanziale convincimento, che pur rimane dopo tutte le proteste che l'anima fa per non credergli. Spogliarmi di questo non sono io libero. Come fare, o padre? Sono vittima io del nemico senza nemmeno conoscerlo? Chiaritemi questo punto, per carità, che pur io vorrei che fosse oscuro per me" (7 4 1915). Padre Pio si era imposta per norma la totale sottomissione del suo mondo interiore al giudizio ed al controllo del direttore e vi rimase incrollabilmente fedele:
"Non mi sono mai affidato a me stesso, e posso dire davanti alla mia coscienza di non aver mai dato un passo senza l'altrui consiglio. E su certi passi specialmente già dati, ci sono sempre ritornato sopra, chiedendo sempre nuovi lumi a quante persone mi sono capitate" (fine gennaio 1916).
PADRE PIO DA PIETRELCINA
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