martedì 11 agosto 2020

Moneta del popolo, TASSE ZERO



(Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini)


LA MONETA

Il libro, che è fondamentalmente diviso in due parti: la prima, che tratta della Banca d’Italia e del Trattato di Maastricht, e la seconda, della moneta del popolo, si apre con una limpida introduzione che, in poche pagine, e con un linguaggio accessibile a tutti, svela “quell’aspetto della finanza e dell’economia che è sempre rimasto nascosto, nei luoghi oscuri del palazzo, come qualcosa che non convenisse svelare al popolo”. Non esiste argomento più interessante e stimolante della moneta, a condizione che se ne colga l’esatto significato e, quindi, se ne conosca l’unica funzione a cui essa dovrebbe essere destinata. È moneta ciò che è convenzionalmente usato come mezzo di scambio e come misura del valore. 

Quindi, non è importante, perché una “cosa” acquisti dignità di moneta, che essa sia fatta di una o di un’altra materia: la storia ricorda come i popoli abbiano conferito valore e funzione di moneta non solo ai metalli preziosi, ma anche ai più disparati beni che fossero di difficile o faticoso reperimento; è importante, invece, porre in evidenza come la nostra moneta debba avere, come “causa”, la “convenzione” e, come “effetto”, la funzione di “misurare il valore” dei beni, perciò, lo “strumento per lo scambio” di questi beni. Se questo secondo requisito sembra abbastanza comprensibile, perché l’intermediazione della moneta evita il ricorso all’antico e non pratico sistema del baratto, il primo requisito, quello della “convenzione”, ha bisogno di una breve riflessione: una moneta può adempiere la propria funzione in quanto è accettata dai cittadini: sono infatti costoro che, accettandola, le danno valore. Per dimostrare questo assioma, si ricorre all’esempio dell’isola deserta, dove, evidentemente, il possesso di moneta da parte dell’unico abitatore equivarrebbe a possesso di nulla, proprio per l’impossibilità che quella moneta possa essere accettata. 

Quindi, il valore della moneta è la conseguenza di una “convenzione”: se non c’è accettazione, da parte dei cittadini, la moneta non acquista valore, oppure lo perde, e perciò, venendo meno la sua funzione caratteristica, cessa di essere moneta. Questo significa che il “concetto di moneta” ha radice nello spirito dell’uomo e che, perciò, appartiene ad una categoria spirituale. La moneta fu pensata dall’uomo, onde poter servire come strumento per lo scambio dei beni, in un tempo in cui, ampliatisi i commerci, il baratto, fino allora utilizzato, cominciò a denunciare la propria inadeguatezza. All’inizio, la moneta veniva emessa dal sovrano, in pezzi di metallo prezioso (oro, argento, rame, ecc.), appositamente “coniati” perché fosse garantita la sua provenienza ed il suo peso, e quindi, il suo valore. In una seconda fase, quando sorsero le prime banche, sia il sovrano, sia i cittadini, preferirono depositarvi il loro capitale monetario, soprattutto per motivi di sicurezza, ricevendo in cambio una ricevuta (fede di deposito), esibendo la quale ottenevano la restituzione del relativo importo in monete metalliche. 

Successivamente, commercianti e artigiani, al fine di rendere rapidi ed agili i loro affari, si resero conto che, invece di ritirare i loro depositi bancari, potevano utilizzare, per i pagamenti, le stesse ricevute dei banchieri, le quali, in tal modo, cominciarono ad adempiere le stesse funzioni della moneta che rappresentavano (banconote). Poiché venivano accettate dai creditori (rassicurati dalla garanzia rappresentata dai depositi bancari), quelle ricevute acquistarono funzioni e valore di moneta vera e propria, nonostante che non avessero alcun valore intrinseco, essendo di carta. “Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014

a cura del dott. Franco Adessa

Nessun commento:

Posta un commento