(Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini)
LA MONETA
Il libro, che è fondamentalmente diviso
in due parti: la prima, che tratta della
Banca d’Italia e del Trattato di Maastricht, e la seconda, della moneta del
popolo, si apre con una limpida introduzione che, in poche pagine, e con un
linguaggio accessibile a tutti, svela
“quell’aspetto della finanza e
dell’economia che è sempre rimasto
nascosto, nei luoghi oscuri del palazzo, come qualcosa che non convenisse svelare al popolo”.
Non esiste argomento più interessante e
stimolante della moneta, a condizione
che se ne colga l’esatto significato e,
quindi, se ne conosca l’unica funzione
a cui essa dovrebbe essere destinata.
È moneta ciò che è convenzionalmente usato come mezzo di scambio e come misura del valore.
Quindi, non è importante, perché una
“cosa” acquisti dignità di moneta, che
essa sia fatta di una o di un’altra materia: la storia ricorda come i popoli abbiano conferito valore e funzione di
moneta non solo ai metalli preziosi, ma
anche ai più disparati beni che fossero
di difficile o faticoso reperimento; è
importante, invece, porre in evidenza
come la nostra moneta debba avere, come “causa”, la “convenzione” e, come “effetto”, la funzione di “misurare il valore” dei beni, perciò, lo “strumento per lo scambio” di questi beni.
Se questo secondo requisito sembra abbastanza comprensibile, perché l’intermediazione della moneta evita il ricorso all’antico e non pratico sistema del baratto, il primo requisito, quello della “convenzione”, ha bisogno di una
breve riflessione: una moneta può adempiere la propria
funzione in quanto è accettata dai cittadini: sono infatti
costoro che, accettandola, le danno valore.
Per dimostrare questo assioma, si ricorre all’esempio
dell’isola deserta, dove, evidentemente, il possesso di moneta da parte dell’unico abitatore equivarrebbe a possesso
di nulla, proprio per l’impossibilità che quella moneta possa essere accettata.
Quindi, il valore della moneta è la conseguenza di una
“convenzione”: se non c’è accettazione, da parte dei cittadini, la moneta non acquista valore, oppure lo perde, e perciò, venendo meno la sua funzione caratteristica, cessa
di essere moneta.
Questo significa che il “concetto di moneta” ha radice
nello spirito dell’uomo e che, perciò, appartiene ad una
categoria spirituale. La moneta fu pensata dall’uomo, onde poter servire come strumento per lo scambio dei beni,
in un tempo in cui, ampliatisi i commerci, il baratto, fino
allora utilizzato, cominciò a denunciare
la propria inadeguatezza.
All’inizio, la moneta veniva emessa dal
sovrano, in pezzi di metallo prezioso
(oro, argento, rame, ecc.), appositamente “coniati” perché fosse garantita
la sua provenienza ed il suo peso, e
quindi, il suo valore.
In una seconda fase, quando sorsero le
prime banche, sia il sovrano, sia i cittadini, preferirono depositarvi il loro capitale monetario, soprattutto per motivi
di sicurezza, ricevendo in cambio una
ricevuta (fede di deposito), esibendo la
quale ottenevano la restituzione del relativo importo in monete metalliche.
Successivamente, commercianti e artigiani, al fine di rendere rapidi ed agili i
loro affari, si resero conto che, invece
di ritirare i loro depositi bancari, potevano utilizzare, per i pagamenti, le
stesse ricevute dei banchieri, le quali,
in tal modo, cominciarono ad adempiere le stesse funzioni della moneta che
rappresentavano (banconote). Poiché
venivano accettate dai creditori (rassicurati dalla garanzia rappresentata dai
depositi bancari), quelle ricevute acquistarono funzioni e valore di moneta vera e propria, nonostante che
non avessero alcun valore intrinseco,
essendo di carta. “Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014
a cura del dott. Franco Adessa
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