Introduzione
Oggi – specialmente a partire dall’autunno del 2019 (vedasi la catastrofe religiosa del Pachamama e quella sanitario/biologica del Covid/19) – si sente parlare sempre di più di leggi, tramite le quali si porterebbero via, anche con la forza, i figlioli ai genitori (è già successo nel 2019 a Bibbiano di Reggio Emilia e il governatore emiliano ha promesso pubblicamente nella primavera del 2020 di tornare “a prenderli casa per casa” …), se costoro si ostinassero a rifiutare la teoria e la pratica immonda del Gender e a non voler permettere la corruzione spirituale e morale della loro prole.
Oltre le varie altre leggi contrarie al Diritto naturale e divino, che già abbiamo sperimentato, da oltre mezzo secolo, sulla nostra pelle – a partire dalla legalizzazione del divorzio (1972) e dell’aborto (1978) – in occasione e durante il recente “pandemonio” del Covid/19; quest’ultima (ossia, l’obbligatorietà della degenerazione “gender/dizzata”) sarebbe insopportabile (umanamente e spiritualmente) e, dunque, sarebbe doveroso resistere “con le unghie e con i denti” contro una simile depravazione diabolicamente studiata e applicata.
La divina Rivelazione ci viene in aiuto e ci dà degli esempi di come comportarci in simili eventuali frangenti. Si veda il caso dei fratelli Maccabei (I – II Maccabei), che resistettero con le armi alla legislazione tirannica di Antioco IV Epifane, dei quali abbiamo già parlato approfonditamente in questo stesso sito.
Nel presente articolo, perciò, vorrei (dopo aver riassunto brevissimamente l’esempio maccabico) studiare dettagliatamente e porgere all’attenzione del lettore la figura attualissima, che non è stata ancora contemplata in questo sito, di Sansone (Giudici, XVI), il quale non esitò a lottare, sino all’estremo sacrificio della sua vita, contro l’empia perfidia degli idolatri Filistei, corrotti nella fede e nei costumi, operando positivamente non solo con la preghiera, ma con le armi dategli dal Signore, per la loro annichilazione (“si vis pacem, para bellum”).
L’esempio maccabico brevemente esposto
Conosciamo già i due episodi commoventi riportati dal II Libro dei Maccabei (VI, 18, ss. e VII), riguardanti 1°) Eleazaro, il quale preferì morire piuttosto che fingere soltanto di magiare la carne di porco, e, 2°) una madre di cui non si conosce il nome, che assisté al martirio dei suoi sette figli, incoraggiandoli[1], e poi li seguì nella morte per fedeltà a Jaweh, sotto gli occhi di Antioco (cfr. G. Ricciotti, Storia d’Israele, Torino, SEI, 1932, 2° vol., p. 274).
Vita e morte di Sansone nel Testo Sacro (Gdc, XVI, 1-32)
«1 Sansone andò a Gaza, vide una prostituta e andò da lei. 2 Fu detto a quelli di Gaza: “E` venuto Sansone”. Essi lo circondarono, stettero in agguato tutta la notte presso la porta della città e tutta quella notte rimasero quieti, dicendo: “Attendiamo lo spuntar del giorno e allora lo uccideremo”. 3 Sansone riposò fino a mezzanotte; a mezzanotte si alzò, afferrò i battenti della porta della città e i due stipiti, li divelse insieme con la sbarra, se li mise sulle spalle e li portò in cima al monte che guarda in direzione di Ebron. 4 In seguito si innamorò di una donna della valle di Sorek, che si chiamava Dalila.5 Allora i capi dei Filistei andarono da lei e le dissero: “Seducilo e vedi da dove proviene la sua forza così grande e come potremmo prevalere su di lui per legarlo e domarlo; ti daremo ciascuno mille e cento sicli d`argento”. 6 Dalila dunque disse a Sansone: “Spiegami: da dove proviene la tua forza così grande e in che modo ti si potrebbe legare per domarti?”. 7 Sansone le rispose: “Se mi si legasse con sette corde d`arco fresche, non ancora secche, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque”. 8 Allora i capi dei Filistei le portarono sette corde d`arco fresche, non ancora secche, ed essa lo legò con esse. 9 L`agguato era teso in una camera interna. Essa gli gridò: “Sansone, i Filistei ti sono addosso!”. Ma egli spezzò le corde come si spezza un fil di stoppa, quando sente il fuoco. Così il segreto della sua forza non fu conosciuto. 10 Poi Dalila disse a Sansone: “Ecco tu ti sei burlato di me e mi hai detto menzogne; ora spiegami come ti si potrebbe legare”. 11 Le rispose: “Se mi si legasse con funi nuove non ancora adoperate, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque”. 12 Dalila prese dunque funi nuove, lo legò e gli gridò: “Sansone, i Filistei ti sono addosso!”. L`agguato era teso nella camera interna. Egli ruppe come un filo le funi che aveva alle braccia. 13 Poi Dalila disse a Sansone: “Ancora ti sei burlato di me e mi hai detto menzogne; spiegami come ti si potrebbe legare”. Le rispose: “Se tu tessessi le sette trecce della mia testa nell`ordito e le fissassi con il pettine del telaio, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque”. 14 Essa dunque lo fece addormentare, tessé le sette trecce della sua testa nell`ordito e le fissò con il pettine, poi gli gridò: “Sansone, i Filistei ti sono addosso!”. Ma egli si svegliò dal sonno e strappò il pettine del telaio e l`ordito. 15 Allora essa gli disse: “Come puoi dirmi: Ti amo, mentre il tuo cuore non è con me? Già tre volte ti sei burlato di me e non mi hai spiegato da dove proviene la tua forza così grande”. 16 Ora poiché essa lo importunava ogni giorno con le sue parole e lo tormentava, egli ne fu annoiato fino alla morte17 e le aprì tutto il cuore e le disse: “Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un Nazireo di Dio dal seno di mia madre; se fossi rasato, la mia forza si ritirerebbe da me, diventerei debole e sarei come un uomo qualunque”[2]. 18 Allora Dalila vide che egli le aveva aperto tutto il cuore, mandò a chiamare i capi dei Filistei e fece dir loro: “Venite su questa volta, perché egli mi ha aperto tutto il cuore”. Allora i capi dei Filistei vennero da lei e portarono con sé il denaro. 19 Essa lo addormentò sulle sue ginocchia, chiamò un uomo adatto e gli fece radere le sette trecce del capo. Egli cominciò a infiacchirsi e la sua forza si ritirò da lui. 20 Allora essa gli gridò: “Sansone, i Filistei ti sono addosso!”. Egli, svegliatosi dal sonno, pensò: “Io ne uscirò come ogni altra volta e mi svincolerò”. Ma non sapeva che il Signore si era ritirato da lui. 21 I Filistei lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con catene di rame. Egli dovette girare la macina nella prigione. 22 Intanto la capigliatura che gli avevano rasata, cominciava a ricrescergli. 23 Ora i capi dei Filistei si radunarono per offrire un gran sacrificio a Dagon loro dio e per far festa. Dicevano: “Il nostro dio ci ha messo nelle mani Sansone nostro nemico”. 24 Quando il popolo lo vide, cominciò a lodare il suo dio e a dire: “Il nostro dio ci ha messo nelle mani Sansone nostro nemico, che ci devastava il paese e che ha ucciso tanti dei nostri”. 25 Nella gioia del loro cuore dissero: “Chiamate Sansone perché ci faccia divertire!”. Fecero quindi uscire Sansone dalla prigione ed egli si mise a far giochi alla loro presenza. Poi lo fecero stare fra le colonne. 26 Sansone disse al fanciullo che lo teneva per la mano: “Lasciami pure; fammi solo toccare le colonne sulle quali posa la casa, così che possa appoggiarmi ad esse”. 27 Ora la casa era piena di uomini e di donne; vi erano tutti i capi dei Filistei e sul terrazzo circa tremila persone fra uomini e donne, che stavano a guardare, mentre Sansone faceva giochi. 28 Allora Sansone invocò il Signore e disse: “Signore, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, Dio, e in un colpo solo mi vendicherò dei Filistei per i miei due occhi!”. 29 Sansone palpò le due colonne di mezzo, sulle quali posava la casa; si appoggiò ad esse, all`una con la destra, all`altra con la sinistra. 30 Sansone disse: “Che io muoia insieme con i Filistei!“. Si curvò con tutta la forza e la casa rovinò addosso ai capi e a tutto il popolo che vi era dentro. Furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita. 31 Poi i suoi fratelli e tutta la casa di suo padre scesero e lo portarono via; risalirono e lo seppellirono fra Zorea ed Estaol nel sepolcro di Manoach suo padre. Egli era stato giudice d`Israele per venti anni» (Giudici, XVI, 21-31).
L’insegnamento della Tradizione patristico/scolastica e degli Esegeti approvati su Sansone e l’eccidio dei Filistei
L’esistenza terrena di Sansone fu grande, ma gli ultimi anni di essa (Giudici, XVI, 1-31) furono rovinati dalla sua condotta gravemente immorale[3]; fu proprio così che egli, il quale pur aveva messo in fuga tanti e tanti avversari, si lasciò vincere da una donna (Dalila), ma in ciò non fu l’unico personaggio della Sacra Scrittura a partire dal primo Uomo, Adamo (vinto da Eva e portato da lei a compiere il peccato originale), per poi arrivare a San Pietro (vinto da una serva nel cortile del Sommo Sacerdote e spinto a rinnegare Gesù)… “Qui existimat se stare caveat ne cadat” (S. Paolo, I Cor., X, 12).
- Ambrogio da Milano (Apolog. II Davidis, cap. III) scrive: “Sansone, forte e gagliardo, soffocò un leone, ma non poté soffocare il suo amore per Dalila. Spezzò le catene dei nemici, ma non riuscì a sciogliere i legami delle sue concupiscenze, bruciò le messi degli stranieri, ma perse la messe della sua virtù acceso dal fuoco della passione per una sola donna”.
Prima di cadere nelle mani dei Filistei[4], Sansone, con la sua forza preternaturale compì ancora alcune azioni strepitose, ma esse vennero fatte a suo personale vantaggio e non per il bene del Popolo una volta eletto da Dio. Perciò il Signore gli tolse il dono della forza eccezionale che gli aveva dato ed egli cadde, umiliato, nelle mani dei suoi nemici.
Tuttavia in risposta agli insulti dei Filistei, Sansone chiese a Dio di poter “far vendetta…”. Egli disprezzò la propria morte corporale ed ottenne un trionfo spirituale contro i nemici del Signore, che fu superiore a tutte le sue precedenti vittorie.
La vendetta in senso teologico va distinta in 1°) justa vindicatio o giusta vendetta (San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, II-II, q. 108, aa. 1 – 4), che non solo è moralmente lecita, ma perfino moralmente buona e doverosa. Infatti essa consiste nel castigare il male fatto dal delinquente, infliggendogli una giusta pena, ossia un altro male fisico corrispondentemente proporzionato. Per essere buona e giusta la vendetta deve essere fatta per un buon fine, ossia ά) per mantenere l’ordine giuridico, ristabilendo così la giustizia violata (pena, che innanzitutto è vendicativa) e β) per la correzione de malfattore (pena, che solo dopo è medicinale), da chi ha l’autorità e la competenza per farlo. Invece, 2°) se la vendetta viene fatta per un fine cattivo, ossia poiché a) si vuole male a colui e viene punito perché ci ha offeso personalmente; b) per soddisfare il nostro risentimento verso il nemico; c) per il piacere malsano di colpirlo e ferirlo; allora essa è moralmente cattiva ed illecita moralmente. Nel caso di Sansone ci troviamo appieno nella justa vindicatio, comandata dal Signore a Sansone stesso contro i Filistei, in quanto nemici di Dio, per il ristabilimento della giustizia da loro violata – non solo con l’accecamento e la prigionia di Sansone, ma anche col culto idolatrico prestato da essi al dio Dagon – per la loro correzione[5].
Inoltre ci si deve chiedere se Sansone abbia voluto veramente suicidarsi nel senso stretto e teologico del termine, ossia uccidere se stesso direttamente. Infatti sembrerebbe che egli abbia voluto la sua morte solo indirettamente, cioè per poter abbattere la protervia, l’idolatria e l’ingiustizia dei Filistei. Questa è la cosiddetta “uccisione indiretta di sé, che non è un suicidio o omicidio di se stesso in senso proprio” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, 1955, p. 1329, voce “Suicidio”; II ed., Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2 voll., 2019).
Inoltre, secondo S. Cesario di Arles, Sansone che abbatte il tempio, facendo cadere le colonne su cui esso poggiava è un esempio per noi, insegnandoci che possiamo distruggere la casa del diavolo il quale ci gira attorno, abbattendo col dolore dei nostri peccati le colonne dei nostri vizi. Infatti le braccia di Sansone, allargate orizzontalmente verso le due colonne, prefigurano la crocifissione di Gesù. Infine la morte di Sansone, le cui vicende possono essere paragonate a quelle di Adamo che ci rovinò col suo peccato d’origine, è anche tipo della morte di Cristo Sommo Sacerdote, morto sul calvario per la Redenzione dell’umanità (S. Efrem il Siro).
- Ambrogio (Lettere LXII, 31-34) insegna che “Sansone da morto ottenne un trionfo più grande di tutte le precedenti sue vittorie con una fine per nulla indegna e ingloriosa; nella morte vinse se stesso e dimostrò un coraggio insuperabile, così da non temere più nemmeno la morte che è il più grande di tutti mali. Concluse la sua vita con una morte non da schiavo, ma da trionfatore, infatti restano i servi e muoiono gli eroi. Sansone morì e fu seppellito, ma non dai giavellotti, bensì dai cadaveri dei nemici, ricoperto dal proprio trionfo. […]. Da tutto questo appare chiaro pure che bisogna evitare le unione matrimoniali con i pagani”.
Origene (La preghiera XIV, 15) spiega che la frase detta o pronunciata da Sansone, fu un’espressione impiegata per far conoscere tramite la parola (“Muoia Sansone, ma con tutti i Filistei”) un suo desiderio, ispiratogli da Dio; quindi essa, in senso stretto, è una “supplica”, ossia una preghiera umile e fervorosa più che una “invocazione”, la quale è quasi un chiamare e gridare con voce alta e con insistenza, chiedendo aiuto e vendetta per il male subìto.
San Cesario di Arles (Sermoni CXIX, 15) aggiunge che “il pentimento cancella i peccati che lo hanno preceduto. Infatti Sansone recupera la forza primitiva, quando gli ricrescono i capelli secondo il voto di Nazireato, che gli era stato fatto interrompere anche per sua negligenza colpevole e distrugge il tempio di Dagon uccidendo pure gli infedeli che vi si trovavano; così oggi ogni uomo caduto nel peccato, se si converte e fa penitenza cancella i suoi vizi, dando così spazio alla virtù. Insomma, se con la morte di Sansone vengono annientati tutti i nemici di Dio; anche con la nostra morte, se buona, verranno distrutti i nostri veri avversari: il mondo, il diavolo e la carne, i quali non potranno più nuocerci”. Infine “noi cristiani possiamo abbattere il nemico del genere umano nella sua stessa casa tramite la distruzione e la morte della nostra stessa carne” (Sermoni CXIX, 3). Infine sempre S. Cesario spiega che «la morte di Sansone prefigura la morte in croce di Cristo. Infatti Sansone allargando le braccia, le tese verso le due colonne del tempio di Dagon, come se fossero i due bracci della croce di Cristo, ma morendo schiacciò i propri avversari e la sua morte divenne la morte dei suoi persecutori. Infatti la Scrittura dice: “Ne uccise più da morto di quanti ne avesse uccisi da vivo”. Ora Gesù, morendo sulla croce portò a compimento la nostra Redenzione, che aveva annunciata già da vivo» (Sermoni CXVIII, 6).
Sansone veramente “morì gloriosamente …”? Egli può essere considerato un esempio da noi?
Da quanto contenuto nella divina Rivelazione apprendiamo che “Sansone si pentì del male che aveva fatto, riottenne così la forza perduta e morì gloriosamente, vendicandosi dei Filistei” (M. Sales, commentato da, Il Vecchio Testamento. Giosuè, Giudici, Ruth, I e II dei Re, II ed., Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2020, vol. II, p. 176, nota nn. 1/3) non tanto con odio personale verso i suoi nemici personali, ma castigandoli in quanto nemici di Dio e del Suo popolo.
Tra i Padri della Chiesa molti – tra i quali spiccano soprattutto S. Agostino (Sermo 107 de temper.), S. Girolamo (In cap. I Ephes.) e S. Gregorio Magno (Hom. XXI in Evang.) – commentano la vicenda di Sansone come se egli fosse stato una figura o un tipo di Gesù. Infatti le sue vittorie contro i Filistei rappresentano bene le vittorie di Gesù contro il demonio, il mondo e la carne; le umiliazioni di Sansone figurano quelle patite da Cristo da parte dei Giudei infedeli a lui coevi ed infine Sansone che muore sterminando i Filistei dimostra bene che Gesù con la sua morte in croce sarebbe stato la rovina del regno del diavolo su questo mondo e della sua principale ancella, la “Sinagoga di Satana” (Apoc., II, 9; III, 9).
Vediamo cosa ci dice la Tradizione apostolica, ossia come i Padri ecclesiastici e i Dottori scolastici abbiano interpretato il testo della S. Scrittura (Gdc., XVI, 30). Il Dottore Comune o Ufficiale della Chiesa, San Tommaso d’Aquino, che compendia e sublima tutta la Tradizione patristica nel suo Commento alla Lettera agli Ebrei (cap. XI, 32, n. 629) scrive: “L’apostolo delle Genti presenta Sansone, che peccò suicidandosi (in morte sua peccavit interficiendo se) e quindi non dovrebbe essere citato nella S. Scrittura (videretur quod non deberet hic numerari). Tuttavia S. Agostino (De civitate Dei, I) lo scusa e dice di lui che fece crollare il tempio di Dagon per ordine di Dio, infatti con le sue sole forze naturali non avrebbe mai potuto far crollare un edificio stabile e ben costruito (non potuisset domum tantam, propria virtute, subvertere) come era il tempio filisteo del falso dio Dagon. Quindi lo fece con l’ausilio dell’unico vero Dio (hoc fecisse mandato Dei et virtute Dei), il quale non aiuta mai a fare il male morale (Deus non adiuvat ad malum faciendum)”.
Innanzitutto la forza erculea di Sansone non era naturale, ma gli veniva da un dono di Dio (Gdc., XVI, 17). Infatti Sansone rasato, ossia non più protetto dal voto di Nazireato[6], perse illico la forza (v. 19)[7]; quindi i Filistei gli cavarono gli occhi, lo legarono ad una macina asinaria di un mulino a mano, come se fosse stato una bestia da soma (v. 21), ma pian piano gli ricrebbero i capelli (v. 22) e con essi, ossia col riprendere la pratica del Nazireato, Sansone ritrovò l’amicizia con Dio, il pentimento dei suoi peccati e quindi la forza preternaturale, datagli da Dio in vista del suo voto da Nazireo[8]. I Filistei stavano banchettando idolatricamente tra danze e suoni nel loro tempio dedicato all’idolo nazionale filisteo detto Dagon (un uomo con la coda di pesce, dall’ebraico “dag” = pesce).
Mentre i Filistei danzavano al suono della musica in onore dell’idolo dagonita, Sansone era stato obbligato a saltare e a ballare anche lui (v. 25) e veniva pure schiaffeggiato dai Filistei (come Gesù sarebbe stato schiaffeggiato dai suoi aguzzini durante la sua Passione), ma fingendo una certa stanchezza (v. 26) chiese di potersi appoggiare a due colonne del tempio (v. 27), in cui si trovavano circa 3 mila persone.
Però, proprio nel culmine della sua umiliazione e cocente sconfitta, ecco venire la fine: Sansone invocò, allora, il nome del Signore (con le tre diciture classiche dell’ebraico: Adonai, Jaweh, Elohim) chiedendogli di ricordarsi di lui, di ridargli la sua prima forza, affinché potesse “vendicarsi” dei Suoi nemici, che gli avevano pure accecato entrambi gli occhi (v. 28).
“Dio lo aveva suscitato per far vendetta (nel senso teologico del termine) dei Filistei. Sansone sacrificò la sua vita per vendicare il popolo di Dio, mostrando ai Filistei che il loro idolo Dagon non era il vero Dio onnipotente” (Marco Sales, Giudici, cit., p. 180, nota n. 28).
Ci si può difendere dalla tirannia?
Come spiega il “Dottore Comune” della Chiesa, l’essenza della tirannide consiste nel governare per il proprio benessere personale o nel trattare i sudditi come schiavi (S. Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 64, a. 1, ad 3 e ad 5).
Il tiranno (temporale o spirituale) abusa dell’autorità, non governando per il bene comune dei sudditi, bensì per il proprio oppure facendo leggi contrarie alla legge naturale e divina.
Innanzitutto bisogna specificare che l’autorità, la cui missione è la salvezza del popolo come sua suprema legge, ha dei limiti. Il ruolo del potere e la sua ragion d’essere è di spingere ognuno verso il bene comune: “Se l’autorità fallisce questa missione perde non soltanto il diritto di comandare, ma la ragion d’essere”[9].
“Gli scolastici, da S. Tommaso (XIII secolo) a Francisco Suarez (XVII secolo), non esitano a dire che la nazione ha il diritto di destituire, di deporre, di cacciare il tiranno. Poiché ha perso il diritto di regnare ed è diventato illegittimo, ma bisogna che l’abuso sia grave, permanente ed universale”[10].
Inoltre S. Tommaso, nel De regimine principum, pur insegnando che “la moltitudine può, senza ingiustizia, condannare il principe a disparire, ossia può mettere freno al suo potere, se egli ne usa tirannicamente” [11]. Tuttavia egli aggiunge che «pure se alcuni insegnano essere lecita l’uccisione del tiranno per mano di un qualsiasi privato […] è pericolosissimo permettere l’uccisione privata del tiranno, perché i malvagi si riterrebbero autorizzati a uccidere anche i re non tiranni, severi difensori della giustizia […] contro i tiranni eccessivi e insopportabili si può agire solo in virtù di una pubblica autorità»[12].
Il problema del tirannicidio è stato trattato sino ai nostri giorni. Nel XIX secolo da papa Leone XIII, nel XX secolo da papa Pio XI e nel secolo XXI da vari teologi o storici qualificati. Leone XIII, nell’Enciclica Diuturnum illud del 1881, insegna che quando l’ordine del principe è contrario al diritto naturale e divino, “obbedire sarebbe criminale”. Pio XI, nell’Enciclica Firmissimam constantiam del 1937, appoggiando, i Cristeros ricorda all’Episcopato messicano che, se i poteri costituiti ²attaccano apertamente la giustizia […], non si vede nessuna ragione di rimproverare i cittadini, che si uniscono per la loro difesa e a salvaguardia della nazione”, ossia è lecita una resistenza attiva ed anche armata che usi mezzi leciti.
Tuttavia occorre, seguendo la dottrina comune dei Dottori scolastici, spiegare bene che la resistenza attiva armata è legittima solo a quattro determinate condizioni: 1°) se la tirannia è costante (nel caso nostro continua dal 1978 e peggiora sempre di più specialmente dall’inizio del 2020); 2°) se è manifesta o giudicata tale dalla ²sanior pars” della società (molti magistrati, medici, avvocati, vescovi, sacerdoti, generali, virologi, scienziati… si sono espressi pubblicamente in questo senso); 3°) se le probabilità di successo sono numerose (questo nel nostro caso attuale non lo si può sapere, anzi sembrerebbe difficile ottenerlo…); 4°) se la situazione successiva non è peggiore dell’anteriore[13] (molto probabilmente sarebbe difficile far peggio del governo di Conte/bis eterodiretto da Soros, Rothschild, Rockefeller e Bill Gates[14]; tuttavia dato il regime di attuale Mondialismo o Globalizzazione, una singola Nazione non è più padrona del proprio destino).
“Quando la legge ingiusta cerca di imporsi con la violenza e con la forza [si veda lo “Stato di polizia” instaurato attualmente in Italia con la scusa del Covid/19, ndr], è lecito ai cittadini organizzarsi e armarsi, opporre la forza alla forza”[15]. Padre Reginaldo Pizzorni, recentemente scomparso, continua: “Il diritto di resistenza è generalmente ammesso, e, da S. Tommaso in poi, salvo rare eccezioni, è stato ammesso anche da tutti i teologi come ultima ratio, come ultimo ed estremo rimedio, quando tutti gli altri mezzi previsti non sono possibili o si sono dimostrati insufficienti”[16].
Conclusione: cosa fare? “Defendere se unguibus et rostro”
L’esempio datoci da Sansone è chiaro, sin troppo chiaro; il difficile è metterlo in pratica senza eccessi né difetti. Infatti sarebbe un eccesso temerario andarsi a cercare il martirio senza esservi chiamati dalle circostanze, così come sarebbe un difetto di pavidità rifiutare la lotta, anche armata, contro la tirannide che vorrebbe uccidere le nostre anime. Ora Gesù ci ha raccomandato di “non temere coloro che possono uccidere il nostro corpo, quanto piuttosto colui che può uccidere la nostra anima e gettarla nel fuoco eterno dell’inferno” (Mt., X, 28).
San Sansone martire ci aiuti assieme ai fratelli Maccabei a lottare con tutte le nostre forze (“unguibus et rostro / con le unghie e col becco o coi denti”), con tutta la nostra mente, la nostra anima e la nostra volontà contro coloro che già stanno operando e scorrazzando per il mondo a perdizione delle anime.
“Sancte Michael Arcangele, defende nos in proelio ut non pereamus in tremendo judicio!”[17].
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