domenica 20 dicembre 2020

SAN PIO V IL PONTEFICE DELLE GRANDI BATTAGLIE

 


IL DIPLOMATICO 

“La vera saggezza, ha scritto Bossuet, si serve di tutto, e Dio vuole che quelli che sono da lui ispirati non trascurino i mezzi umani che sono preparati dalla sua bontà”. 

   Questo fu il principio a cui si ispirò Pio V attraverso le vie intricate della diplomazia, nelle quali dovette trovarsi per ragione del suo altissimo ufficio di capo della cristianità. La Chiesa infatti non è una società puramente spirituale; i diversi avvenimenti che si succedono la costringono a continue e delicate relazioni coi poteri della terra. Essa deve trattare con quelli che la combattono o paralizzano la sua influenza, e con quelli che sotto il pretesto di porgerle aiuto le tendono delle insidie. Quanti interessi, che sembrano terreni sono strettamente uniti alla salvezza delle anime! Il Papa, attento all'evoluzione delle idee e alle agitazioni dei popoli, ha la missione di frenare i violenti, difendere gli oppressi, entrare quale arbitro nei conflitti. Ciò spiega le rappresentanze che le nazioni hanno presso la Santa Sede, la quale a sua volta ha presso i governi i suoi nunzi, i suoi delegati apostolici, che devono a suo nome trattare le più gravi questioni. 

   Pio V, prima d'esser Papa, occupato nelle procedure dell'Inquisizione e nel ministero episcopale, s'era generalmente tenuto lontano dalla diplomazia. “Il Papa, scriveva il cardo Truchsess al duca di Baviera (1569), ha buone intenzioni, buona volontà, buon cuore e una bella intelligenza, ma gli manca esperienza”. 

   D'altra parte il suo carattere schietto, schivo dagli astuti raggiri, sembrava poco adatto alle vie tortuose e ai temporeggiamenti. La sua franchezza e il suo sistema di pigliare delle decisioni improvvise non avrebbero sconcertati i diplomatici, che misurano attentamente i loro passi, e colgono a volo quanto si può sottintendere in un atto di deferenza o in un momento di silenzio? Che avverrà, se il S. Padre pretende di sciogliere tutte le difficoltà colla fiduciosa audacia di chi non misura il pericolo, e gli va incontro perché non ha ancora imparate le gravi lezioni dell'esperienza? 

   La curia romana e gli ambasciatori si domandavano con inquietudine o ironia quale atteggiamento avrebbe preso Pio V, e la loro curiosità era tanto più viva in quanto le condizioni generali dell'Europa ne rendevano più difficile il compito. E veramente nella cancellerie europee si erano giocate assai di rado delle partite cosi accese, cosi grandi e decisive. I partecipanti rivaleggiavano tra loro in astuzia, disinvoltura e orgoglio; e il gioco andava oltre gli interessi ordinari, per attaccare nel vivo la religione. 

   Si verificavano i più strani riavvicinamenti; e si aveva l'impressione di essere accerchiati da macchinazioni occulte, che al tempo stesso lasciavano scoprire subito i tranelli tesi. Mentre si lavorava per concentrare le forze tra loro più disparate, queste si urtavano a vicenda, si sbriciolavano e divenivano incapaci di opporre alle astuzie e alle furie dell'eresia una resistenza efficace. Su qual campo radunare queste forze disperse, quando le lotte civili al pericolo di conflagrazioni esterne aggiungevano la desolazione interna? 

   In Germania la seduzione eccitata da Lutero continuava, vent'anni dopo la sua morte, ad adescare la maggior parte delle province germaniche. La Sassonia intorbidata da Carlostadt, e la Svizzera obbediente alla dominazione imperiosa di Calvino, s'erano staccate dalla Chiesa; la Svezia e la Danimarca non nascondevano la loro diserzione, e mentre la Russia tremava sotto il dispotismo feroce di Ivan IV il Terribile, la Polonia e la Baviera tuttora fedeli si sentivano profondamente agitate dal fermento della rivolta, e reprimevano debolmente i moti che minacciavano la loro religione. La regina di Scozia, Maria Stuarda, avvolta in una rete di peripezie che trionfavano facilmente della sua ingenuità, s'avviava verso la tragica imboscata tesale da quella Elisabetta di Inghilterra, che doveva ben presto svelare i suoi piani scismatici. 

   Anche negli Stati più devoti alla Santa Sede si faceva sentire il soffio dell'indipendenza. Le insurrezioni dell'Italia Settentrionale e del Regno di Napoli, scoppiate nel tempo stesso, incutevano timore al governo pontificio. Nell'Austria l'imperatore Massimiliano, astuto e prevenuto, tentennava tra le tradizioni religiose della sua casa e il protestantesimo, che aveva appreso dalle istruzioni del suo precettore Wolfgang Stiefel, discepolo di Lutero e Melantone. 

   La Francia, ufficialmente governata da un re di sedici anni e in realtà in balia dei capricci di Caterina de Medici, era tutta in agitazione. Questa sovrana inetta passava bruscamente dalla violenza all'abbattimento, suscitava sanguinose rappresaglie contro gli Ugonotti, diventando subito dopo la loro complice nei suoi “diavoli di scritture”, come s'esprimeva Monduc, che facevano perdere ai cattolici tutto il profitto delle loro vittorie. Sulla Spagna e nei Paesi Bassi regnava Filippo II, campione del cattolicismo, ma con un sistema di governo ch'era più atto a ispirare contro di lui l'avversione che l'amore. Dappertutto un'effervescenza pronta alle rivolte, un bisogno di mutamenti, non tam meliora quam nova, che gettava nelle avventure gli spiriti oziosi e malcontenti. E perché il disordine fosse maggiore, s'aggiungeva la consuetudine di ottenere delle franchigie da qualche Papa umanista, che pareva talvolta darsi maggior pensiero di illustrare il suo pontificato con lo splendore delle lettere e delle arti, che di affermare e conservare intatti i diritti della S. Sede. 

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Card. GIORGIO GRENTE 

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