Un filo spinato, pur sostenuto da esili paletti, può salvare da un precipizio.
Oggi ci sono accorgimenti più sofisticati per salvaguardare dai pericoli.
Tuttavia c'è un fatto indiscutibile: basta la puntura di un'ape, il ronzio di una zanzara, un banale mal di denti, un qualsiasi contrattempo... perché la tentazione perda tutta o in gran parte la sua forza seduttrice.
La modestia cristiana offre un'infinità di espedienti, talvolta assai piccoli, per rompere il fascino del peccato.
La volontà, quando è sinceramente risoluta, diventa chiaroveggente; poi la grazia, invocata in qualunque modo, fa la sua parte.
Non si tratta evidentemente di un gioco di prestigio o d'azzardo; ma di sostenere un vero combattimento, forse ad arma bianca, contro uno strano nemico che appare tanto più fascinoso, quanto più nefasto.
Non siamo nati per fare della vita una guerra d'indipendenza dal Creatore; nessuno però è esonerato dal combattere perché questo tentativo non avvenga: e c'è da sudare parecchio!
Questo, il duro lavoro (militia) dell'uomo sulla terra (cf. Gb 7, 1).
Forse ci è capitato di vedere qualche avanzo di trincea scavata nelle due ultime guerre mondiali. Un rotolo di filo spinato, vecchio e arrugginito, poteva fare quanto non avrebbe fatto un pesante mezzo di artiglieria. Il nemico è sempre in agguato nei labirinti del cuore umano: bisogna difendere il proprio suolo.
«O inclinazione malvagia, da dove sei balzata, per ricoprire la terra con la tua malizia?» (Sir 37, 3).
Lo stesso Libro sacro, più avanti, consiglia di educare rettamente la propria coscienza, perché come attenta sentinella dia l'allarme e metta allo scoperto il nemico: «La coscienza di un uomo talvolta suole avvertire meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare. Al di sopra di tutto questo prega l'Altissimo perché guidi la tua condotta secondo verità» (Sir 37, 14-15).
Chi vuol salvarsi dalla seduzione, appena si accorge del filo spinato, si ritira dal pericolo: «L'accorto vede il pericolo e si nasconde, gli inesperti vanno avanti e la pagano» (Pro 27, 12).
Non si farà mai abbastanza attenzione anche alle piccole cose, che possono essere fatali a chiunque. Un acrobata, che per anni e anni ha corso grossi rischi e se l'è cavata sempre con onore, può andarsene all'altro mondo per l'infezione procuratagli da un chiodino delle sue scarpe.
Un improvviso e sottile banco di nebbia crea problemi al più provetto autista.
Un celebre professore può dire "pane per polenta" (i famosi lapsus linguae).
Piccole astuzie (veri tentacoli quasi invisibili delle nostre misere passioni) hanno fatto precipitare dei colossi nella virtù; piccolissimi accorgimenti invece prevengono lotte furiose.
«Già con i suoi giochi il fanciullo dimostra se le sue azioni saranno pure e rette» (Pro 20, 11). Bellissimo!
I Santi praticavano la mortificazione (oggi chiamiamola austerità) come i ragazzi i loro giochi: presagio di grandi conquiste.
Non ci si può - ad esempio - credere dei campioni nel campo della castità del corpo e del cuore e intanto "scherzare con il fuoco", cioè mettersi in occasioni pericolose.
Chi sa dire prontamente di no e taglia netto di fronte all'attrattiva impura, fa un salto di qualità paragonabile ad un volo.
Il taglio netto.
È l'infallibile prova di una forte statura morale. Chi tergiversa dà spazio al nemico.
Non è lezione buona solo per i principianti, quella di chi, in retrovisione, ricorda l'amarezza lasciatagli dal peccato ogniqualvolta lo ha trattenuto in casa come un amico.
«È piacevole all'uomo il pane procurato con frode, ma poi la sua bocca sarà piena di granelli di sabbia... I guadagni procurati in fretta da principio non saranno benedetti alla fine» (Pro 20, 17.21).
Meglio soffrire prima, molto meglio!
Sarebbe bastato un nonnulla, un'inezia, per prevenire la caduta.
Un frammento di croce. Per un trionfo.
Certo, ci vorrà una buona dose di virtù umane; di controllo e di dominio, di umile sentire di sé, di prontezza nel reprimere e nel riparare. Chi invece assume un'aria di falsa sicurezza, è capace di qualsiasi sbaglio. «Lo stolto dilapida tutto» (Pro 21, 20).
Sentiamo ancora una volta come ragionano i Santi, così esperti di croci e di miracoli.
Santa Margherita Maria Alacoque chiama "genuine esigenze del puro amore" le varie specie di sofferenze che il Signore le offriva, con una particolare sottolineatura per le umiliazioni e i disprezzi. Fra l'altro scrive: «Non ho mai trovato nessuna sofferenza paragonabile a quella che sentivo per non soffrire abbastanza, perché l'amore del mio Dio non mi concedeva riposo né giorno né notte...
Avrei voluto la croce nuda e il mio corpo oppresso da austerità e fatiche... e me ne addossavo quante ne potevano sopportare le mie forze, poiché non potevo vivere un solo istante senza patire». Non è un miracolo amare la sofferenza fino a questi punti?
Geniale amico e benefattore del Clero, don Giovanni Folci scriveva ad un sacerdote novello: «Se non vuoi perdere la gioia e la forza del tuo sacerdozio, perditi in Lui».
È famosa una sua esortazione di fuoco, che riportiamo in parte, e che riteniamo la sintesi della sua ascesi: «Morte di croce: Lui, nostro modello, fu obbediente fino alla consumazione in croce. Da questa obbedienza, che è la morte del nostro `io', la gioia e la serenità di vivere, il trionfo della fecondità di questa vita, non più nostra ma di Dio.
Se il grano di frumento...:
L'obbedienza è la consumazione ("tutto è compiuto'), che dà il pieno diritto di abbandonarsi in Dio.
Nelle tue mani, Signore... E d'attorno a quella Croce e a quel Sepolcro, la Risurrezione e la vita.
Tutto posso in colui che mi dà forza: La nostra paziente, volontaria, crocifissione, è l'Onnipotenza di Dio in noi e fuori di noi.
Solo "fatti Cristo", con te Cristo, vero Dio e vero Uomo, potremo vedere con la Tua vista, sentire con il Tuo cuore, esercitare con la Tua stessa potenza l'ineffabile ministero della glorificazione del Padre e della salvezza di tutte le anime. Solo "fatti Cristo con Cristo", per Dio - incertezze, dubbi, e ogni altra miseria scomparsi - brilleremo della vera luce, sentiremo del vero sapore e daremo davvero il Cristo». Uomo di Dio, don Folci, si nutrì di croci con una donazione instancabile. E fu la sofferenza a mettergli le ali per compiere imprese ardimentose per il Regno.
Noi forse ragioniamo diversamente e fuggiamo la rinuncia, il sacrificio, la penitenza espiatrice, la fatica, la ripresa, la pazienza, la vigilanza, l'autodisciplina, la direzione spirituale, l'obbedienza, la castità forte e perfetta, la povertà evangelica, l'insopportazione della falsità, il tormento dell'umiliazione ...; fuggiamo tutto questo come qualcosa di insopportabile e di ingombrante. In tal modo, la stessa vita nell'orazione si arresta. Le mani rimangono vuote. Ci sentiamo terribilmente poveri.
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