Le ultime denunce della Rivoluzione
L'8 novembre 1870 la polizia italiana procedette all'occupazione del Quirinale con l'aiuto di un fabbro ferraio. Fu necessario un grimaldello per scardinare i battenti della grande porta della sala degli Svizzeri chiusi e sigillati. Vittorio Emanuele arrivò il penultimo giorno dell'anno accolto dalla fanfara reale. Il 23 gennaio 1871 si insediò al Quirinale l'erede al trono Umberto, principe di Piemonte, con la moglie Margherita e con il bambino, il futuro Vittorio Emanuele III 55. L'occupazione della grande reggia del Quirinale non fu foriera di lieti eventi per i Savoia. Vittorio Emanuele lasciò per l'ultima volta la residenza dove aveva passato la sua infanzia dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale. Il padre Umberto I fu vittima, il 29 luglio 1900, di una mano omicida; il figlio Umberto II subì nel giugno 1946, dopo un discusso referendum, l'esilio.
Il 13 maggio 1871 uscì sulla «Gazzetta Ufficiale» del Regno la legge delle Guarentigie, in diciannove articoli, che regolavano unilateralmente le relazioni tra Stato e Chiesa nella nuova Italia, «per garantire anche con franchigie territoriali, l'indipendenza del Sommo Pontefice ed il libero esercizio dell'autorità spirituale della Santa Sede». Lo Stato Pontificio era soppresso. Al Papa venivano riconosciuti il rango e i privilegi di un sovrano in Italia, una dotazione annua di 3.225.000 lire e il "godimento", non la proprietà, dei Palazzi Vaticani. Lo Stato manteneva il diritto per la nomina dei vescovi, lasciando insoluto il problema della proprietà ecclesiastica.
Pio IX, con l'enciclica Ubi nos 56 del 15 maggio, rifiutò la legge respingendo la dotazione annua assegnatagli e continuando ad affidarsi per le proprie necessità all'obolo di san Pietro, costituito dalle offerte volontarie dei cattolici di tutto il mondo: «Noi dichiariamo - proclama solennemente il Papa - che mai potremo in alcun modo ammettere o accettare quelle garanzie, ossia guarentigie, escogitate dal Governo Subalpino, qualunque sia il loro dispositivo, né altri patti, qualunque sia il loro contenuto e comunque siano stati ratificati.(…) Infatti ad ognuno deve risultare chiaro che necessariamente, qualora il Romano Pontefice fosse soggetto al potere di un altro Principe, né fosse dotato di più ampio e supremo potere nell'ordine politico, non potrebbe per ciò che riguarda la sua persona e gli atti del ministero apostolico, sottrarsi all'arbitrio del Principe dominante, il quale potrebbe anche diventare eretico o persecutore della Chiesa, o trovarsi in guerra o in stato di guerra contro altri Principi».
«Certamente - continua il Pontefice - questa stessa concessione di garanzie di cui parliamo non è forse, di per sé, evidentissima prova che a Noi fu data una divina autorità di promulgare leggi concernenti l'ordine morale e religioso; che a Noi, designati in tutto il mondo come interpreti del diritto naturale e divino, verrebbero imposte delle leggi, e per di più leggi che si riferiscono al governo della Chiesa universale, il cui diritto di conservazione e di esecuzione non sarebbe altro che la volontà prescritta e stabilita dal potere laico?». «Nel riflettere e considerare tali questioni - conclude il Pontefice - Noi siamo costretti a confermare nuovamente e dichiarare con insistenza (…) che il potere temporale della Santa Sede è stato concesso al Romano Pontefice per singolare volontà della Divina Provvidenza e che esso è necessario affinché lo stesso Pontefice Romano, mai soggetto a nessun Principe o a un potere civile, possa esercitare la suprema potestà di pascere e governare in piena libertà tutto il gregge del Signore con l'autorità conferitagli dallo stesso Cristo Signore su tutta la Chiesa» 57.
La tensione tra Chiesa e Stato non diminuì negli anni successivi. Nel 1872 Vittorio Emanuele firmò una legge che prevedeva l'espulsione di tutti i religiosi e le religiose dai loro conventi: vennero confiscate 476 case e disperse 12.669 persone. Messo a conoscenza del provvedimento, in un'epistola del 16 giugno 187258, il Pontefice respinse l'ipocrisia delle richieste di "conciliazione" con il governo usurpatore con queste parole: «A nulla giova proclamare la libertà del Nostro Pastorale Ministero, quando tutta la legislazione, anche in punti importantissimi, come sono i Sacramenti, si trova in aperta opposizione con in principi fondamentali e le leggi universali della Chiesa. A nulla giova riconoscere per legge l'autorità del Supremo Gerarca quando non si riconosce l'effetto degli atti da Lui emanati: quando gli stessi vescovi da Lui eletti non sono legalmente riconosciuti e loro si proibisce con ingiustizia senza pari di usufruire del legittimo patrimonio delle loro chiese e finanche di entrare nelle loro case episcopali» 59.
Nel 1873 furono soppresse, in tutte le università, le facoltà di teologia, e i seminari furono sottoposti al controllo governativo. L'anno successivo la legislazione esistente sulla soppressione degli ordini religiosi e la confisca delle loro proprietà fu estesa anche a Roma; il Colosseo fu sconsacrato a simboleggiare la sovranità laica su Roma, i preti furono costretti a prestare servizio militare.
Pio IX, secondo l'attenta ricostruzione di Fiorella Bartoccini, non era isolato dal suo popolo, ma informatissimo di quanto avveniva in quella che chiamava «la capitale del disordine» 60. «Non era vero quindi quanto scriveva nel suo Diario Gregorovius, che il Papa viveva quasi dimenticato nella sua stessa Roma, che stava come un mito in Vaticano: gran parte della popolazione, superato un primo momento d'incerto timore, rispose per alcuni anni con una significativa e massiccia adesione, sollecitata e spontanea al tempo stesso» 61.
A Roma, nelle chiese, si pregava contro le leggi ecclesiastiche del nuovo Stato e al 20 settembre si contrapponeva come festa annuale il 12 aprile, che commemorava il ritorno a Roma di Pio IX dopo la tempesta repubblicana del '49. Fu solo una minoranza la parte dell'aristocrazia che aderì al nuovo regime e alla nuova corte. La maggior parte delle famiglie nobili romane accolse gli appelli di Pio IX e mantenne la vita semplice e austera che l'aveva sempre contraddistinta 62. Fu solo sotto Leone XIII che l'atmosfera cambiò e la vita dell'aristocrazia, tratteggiata dalle cronache di D'Annunzio, divenne mondana e lussuosa.
La classe sociale che anche sotto il pontificato successivo serbò maggior fedeltà allo spirito e alla memoria di Pio IX fu la borghesia romana, colpita dall'unificazione nell'identità della propria funzione e, spesso, nelle sue stesse risorse economiche. Anche quando il Vaticano si adattò, osserva Fiorella Bartoccini, essa «continuò a mantenere in alcuni clan familiari e sociali, isole di chiusura e di resistenza» al nuovo regime 63.
Nell'udienza concessa il 29 maggio 1876 ai rappresentanti delle 24 città della Lega Lombarda, Pio IX rivolse un discorso di capitale importanza che potrebbe essere definito, come ha sottolineato Antonio Monti 64, Il Risorgimento italiano giudicato da Pio IX. Pio IX ricorda in quel discorso le origini dei moti che sconvolsero l'ordine politico e sociale della Restaurazione: «Sorge allora una setta, nera di nome e più nera di fatti, e si sparse nel bel paese, penetrando adagio in molti luoghi (la Carboneria). Più tardi un'altra ne compare che volle chiamarsi giovane: ma per verità era vecchia nella malizia e nelle iniquità. A queste due altre ancora ne vennero dietro, ma tutte alla fine portarono le loro acque torbide e dannose alla vostra palude massonica». Questi agitatori e gli illusi da essi guadagnati, riuscirono al «trionfo del disordine e alla vittoria della più perfida rivoluzione».
Nel marzo 1876 Minghetti fu sconfitto in Parlamento e il re affidò l'incarico ad Agostino Depretis, che avrebbe presieduto otto governi nei dieci anni successivi, all'insegna del "trasformismo". Pio IX paragonò la Destra e la Sinistra rispettivamente al colera e al terremoto 65. «Né eletti, né elettori»: la formula che don Margotti aveva coniato fin dal 1857 si tradusse nel dovere dell'astensione e nell'invito ad un'opera di organizzazione metodica e capillare della società 66. Il movimento cattolico in Italia, a partire dal 1874, si raccolse attorno all'Opera dei Congressi, impiegando tutte le sue forze nella costruzione di una fitta rete di opere sociali ed economiche fiorenti attorno alle parrocchie 67.
Da allora fino alla morte, Pio IX rinnoverà continuamente le sue proteste contro la violenza subita, ribadendo che il principato temporale del Pontefice costituisce la condizione necessaria per il libero esercizio della sua autorità spirituale e che la "questione romana" non è una questione politica, legata al problema della indipendenza e della unità italiana, ma una questione eminentemente religiosa, perché riguarda la libertà del capo della Chiesa universale, nell'esercizio del suo sacro ministero 68.
Scopo della «sacrilega invasione», ripete ancora Pio IX nell'allocuzione concistoriale del 12 marzo 1877, non è infatti «tanto la conquista del nostro Stato, quanto il pravo disegno di distruggere più facilmente, mediante la soppressione del nostro dominio temporale, tutte le istituzioni della Chiesa, annientare l'autorità della Santa Sede, abbattere il supremo potere del vicario di Gesù Cristo, a noi, benché immeritevoli, confidato» 69.
In Francia la guerra franco-prussiana era terminata con la disfatta napoleonica e la rivoluzione socialista della Comune di Parigi 70. Mentre le truppe regolari domavano la rivolta, i ribelli reagirono fucilando numerosi ecclesiastici tenuti in ostaggio, tra cui lo stesso arcivescovo Darboy, uno degli esponenti della minoranza anti-infallibilista al Concilio, unito da una tragica sorte ai suoi predecessori: mons. Affre, ucciso davanti alle barricate del giugno 1848 e mons. Sibour, assassinato da un energumeno nel 1857 71.
Anche in Francia si sviluppò un movimento di reazione, equivalente all'Opera dei Congressi. Le manifestazioni popolari promosse da associazioni laicali e religiose, come la congregazione degli Assunzionisti, fondata dal padre d'Alzon, portarono alla costruzione del Santuario di Montmartre, riparazione della Francia poenitens et devota, agli oltraggi della Rivoluzione 72.
Le elezioni del 20 febbraio 1876 e quelle dell'ottobre 1877 dettero una schiacciante maggioranza ai repubblicani. All'estrema sinistra il giovane Clemenceau proclamava: «Il clero deve imparare che bisogna rendere a Cesare quel che appartiene a Cesare ... e che tutto appartiene a Cesare» 73.
Roberto De Mattei
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