sabato 11 settembre 2021

Un vescovo parla

 


DOPO LA SECONDA SESSIONE DEL CONCILIO VATICANO II 

Dopo questa seconda sessione del Concilio Vaticano II non è inutile fare il punto, prendendo in particolare come base dei nostri giudizi quelli formulati dal Papa stesso alla fine della sessione. Dobbiamo affermare in primo luogo con il Sommo Pontefice che «non si può abbracciare tutto in una descrizione, tanti elementi di questo Concilio appartengono al campo della grazia e a quel regno intimo delle anime dov'è sovente diffìcile penetrare, e del resto molti di questi frutti del nostro lavoro non sono ancora giunti a maturità ma si trovano piuttosto allo stato di germi affidati alla zolla e attendono dal futuro e dai nuovi interventi della misteriosa azione divina il loro sviluppo effettivo e benefico». Tuttavia il Santo Padre, dopo alcune considerazioni, entra effettivamente nel vivo dell'argomento e, enumerando gli obiettivi che furono sottoposti all'assemblea, dà precisazioni estremamente importanti che devono essere accettate da tutti i padri come un orientamento per la futura sessione. In circostanze come quelle di un concilio, in cui i Papi hanno sempre voluto armonizzare la libertà dei padri con l'esercizio della propria funzione di guida, da Nostro Signore loro affidata, le minime allusioni, se sono chiare, non devono forse essere accolte dai padri con devozione filiale e orientare il loro giudizio? La libertà nel Concilio. - Il Santo Padre si rallegra nel constatare che «il lavoro conciliare si è svolto in totale libertà di espressione e questo sentimento di soddisfazione non è per nulla diminuito dal fatto che le sentenze formulate nelle discussioni conciliari sono state varie, molteplici, anche diverse…». Questa libertà esisteva d'altra parte già nei concili di Trento e del Vaticano I, come scrive Theiner, uno studioso di storia dei concili: «Secondo le istruzioni dei Papi, doveva essere riservata a ciascuno la più ampia libertà di parola fino a permettere che fossero proferite eresie, purché, una volta presa la decisione, ci si sottomettesse» (Introduzione, XIX). 


RISULTATI ACQUISITI 

La liturgia. - Secondo l'ordine proposto dal Papa stesso, accostiamoci in primo luogo alla liturgia. Il posto e la funzione della liturgia sono mirabilmente tracciati dal Santo Padre in un'esposizione succinta ma vigorosa. «Vi scopriamo», dice il Papa, «un omaggio alla scala dei valori e dei doveri: Dio ha il primo posto, la preghiera è il nostro primo dovere…». Poi viene la funzione della liturgia, «fonte prima della vita divina…, prima scuola di vita spirituale…, primo dono che possiamo fare al popolo cristiano». In poche righe il Santo Padre traccia tutto un programma. Infine, «invito al mondo affinché sciolga le sue labbra fino a qui mute…, canti con noi le lodi di Dio…». Appello ardente a quelli che ancora non pregano con il popolo cristiano. Poi, in un secondo paragrafo, il Santo Padre studia la relazione tra la liturgia e la Chiesa e afferma l'importanza capitale della liturgia nella vita della Chiesa. «La Chiesa è una società religiosa, una comunità di preghiera…». Avverte con insistenza che se sono state effettuate talune semplificazioni, esse non significano per nulla «diminuire l'importanza della preghiera, né posporla alle altre preoccupazioni del ministero sacro o delle attività pastorali e tanto meno sminuire la sua forza d'espressione o le sue attrattive artistiche». Ciò va ricordato per interpretare bene i decreti che saranno emanati in avvenire.

«Per raggiungere questo risultato», aggiunge infine il Santo Padre in un terzo paragrafo, «noi non vogliamo che si ledano le norme della preghiera ufficiale della Chiesa con l'introdurvi riforme private o riti particolari. Non vogliamo che ci si arroghi il diritto di anticipare arbitrariamente l'applicazione della Costituzione… La sua armonia in tutto il mondo costituisce la nobiltà della preghiera della Chiesa. Nessuno la turbi, nessuno la violenti…». Parole forti, vigorose, rese necessarie, ahimè! da tante iniziative addirittura inverosimili di cui migliaia di fedeli sono testimoni impotenti e profondamente addolorati. Numerose, infatti, sono le chiese dove le regole liturgiche sono impunemente violate. Ciò che è più grave, forse, della stessa innovazione liturgica, introdotta da questi sacerdoti, è soprattutto l'abitudine e l'esempio della disobbedienza pubblica da parte di coloro che hanno promesso obbedienza e che dovrebbero esserne i modelli. Presto saranno rese pubbliche le istruzioni ufficiali della Santa Sede. È auspicabile che il primo risultato della loro pubblicazione sia la cessazione delle iniziative private. A proposito della Costituzione sulla liturgia non è inutile ricordare che il Papa rimane sempre libero di ritoccarla se lo giudichi opportuno, anche senza nessun ricorso ai vescovi, anche dopo averla approvata solennemente. Trattandosi di una costituzione disciplinare e non dogmatica, il successore di Pietro è unico giudice della pubblicazione e dell'applicazione. 


Comunicazioni sociali. 

- Dopo la liturgia, il Santo Padre indica come secondo frutto del Concilio «il decreto sui mezzi di comunicazione sociale». E aggiunge: «Il decreto mostra che la Chiesa è capace di unire vita interiore e vita esteriore, contemplazione e azione, preghiera e apostolato». Trattando questo argomento la Chiesa non esce dalla sua funzione. Alcuni avrebbero voluto respingere questo schema, a loro parere insufficientemente scientifico. Il Papa non ha ritenuto opportuno aderire al loro desiderio e ha proposto lo schema ai padri che lo hanno approvato.

Nuove facoltà concesse ai vescovi. - Il Papa allude poi alle facoltà accordate ai vescovi, la competenza dei quali viene in tal modo estesa. La presentazione delle facoltà accordate ai vescovi non ha avuto la fortuna di piacere a coloro che avevano affermato in concilio tali facoltà non dover essere considerate come concesse ai vescovi, ma come loro restituite. Affermavano infatti che il Sommo Pontefice poteva limitare le facoltà dovute ai vescovi unicamente per ragioni di bene comune della Chiesa, avendo i vescovi un diritto rigoroso a tali facoltà per il fatto stesso della loro consacrazione e della loro missione canonica in una diocesi o in una giurisdizione particolare. Ora appare chiaro che il Papa non ha giudicato opportuno riconoscere la legittimità di questa istanza. Nessuna allusione è fatta a un diritto dei vescovi. È sempre impiegato il termine «concedere», «accordare», e i motivi sono la grande stima che il Papa ha per i padri conciliari, il maggiore risalto dato alla dignità episcopale, la maggiore efficacia che ne deriva alla loro missione pastorale. Si può legittimamente concludere che il Papa conferma indirettamente la tesi tradizionale, la quale vuole che tutto il potere giurisdizionale dei vescovi sia dispensato dal Papa stesso nella misura in cui lo giudichi opportuno. Se per il suo potere d'Ordine il vescovo ha una capacità radicale di giurisdizione e se, quando questa gli è data, egli la esercita di diritto divino, non è per ciò meno vero che il Papa ne rimane il dispensatore con intero potere di allargare o restringere la giurisdizione stessa. Benché il diritto canonico indichi tali poteri concessi dal Papa, in questa materia il diritto non vincola il successore di Pietro.


 RISULTATI PARZIALMENTE ACQUISITI

«Ma non è tutto», dice il Santo Padre, «il Concilio ha lavorato molto. Ha, come sapete, affrontato numerosi problemi; per una parte di essi le soluzioni sono già virtualmente fissate… Altre questioni restano aperte a studi e discussioni ulteriori… Non ci dispiace che problemi di tale gravità siano oggetto di una pacata riflessione…». Il Papa fa quindi allusione a una ulteriore riduzione dei testi, il che fa intravedere un nuovo rifacimento degli schemi, onde ne escano «testi profondamente studiati, enunciati rigorosi e portati a tutta la densità e la concisione desiderabili». In definitiva, dovremo ritornare a un enunciato dogmatico preciso, il solo capace di realizzare il desiderio del Santo Padre, tanto comprensibile dopo le interminabili discussioni dovute all'ambiguità dei termini e agli enunciati equivoci. Gli esempi che seguiranno sembrano riallacciarsi piuttosto ai «problemi gravi», «che restano aperti a studi e discussioni ulteriori». In effetti, i tre esempi indicati dal Papa sono molto importanti: la Rivelazione, l'episcopato, la Vergine Maria. Anche qui le indicazioni e gli orientamenti dati dal Papa sono di grande valore e, sebbene ricchi di sfumature, sufficientemente chiari, soprattutto per quanto riguarda l'episcopato. 

Della Rivelazione. - Per quanto riguarda la Rivelazione, il pensiero del Santo Padre si esprime chiaramente e nel senso di una grande prudenza: «Il Concilio risponderà su tale argomento [questa espressione è netta] in modo da conservare il deposito sacro… e in modo da fissare una direzione agli studi biblici… nella fedeltà al magistero della Chiesa e assimilando tutti gli apporti seri della scienza moderna». I limiti sono ben tracciati e indicano la linea generale da seguire. 

Dell'episcopato. - Secondo esempio: «la grande e complessa questione dell'episcopato», affrontata in questo Concilio, «il quale, non dimentichiamolo, è la continuazione naturale e il completamento del concilio ecumenico Vaticano I». Il Santo Padre sviluppa il suo pensiero in modo non equivoco: «Il Concilio vuole di conseguenza mettere in luce, secondo il pensiero di Nostro Signore e secondo l'autentica tradizione della Chiesa, la natura e la funzione divinamente istituita dell'episcopato». Sono indicate due fonti: il pensiero di Nostro Signore e l'autentica Tradizione della Chiesa, che evidentemente non possono contraddirsi, l'autentica Tradizione essendo la maniera più sicura di risalire al pensiero di Nostro Signore ogni volta che la Scrittura non determina le modalità dell'istituzione divina. Se vi è qualche esitazione nell'interpretazione della parola di Nostro Signore che conferisce la missione agli Apostoli e dà loro i poteri, bisognerà interrogare la Tradizione e principalmente i fatti storici, dagli Apostoli ai nostri giorni. Come agirono gli Apostoli per darsi dei successori? Quali furono i loro poteri? Quali le relazioni dei successori di Pietro con i vescovi, particolarmente dopo che fu stabilita la pace? Che cosa dicono i primi scritti posteriori ai Vangeli a proposito dei vescovi? Quale fu la partecipazione dei vescovi di Roma nei concili? È chiaro che tutti gli Apostoli hanno agito nella medesima maniera, cioè hanno preposto vescovi a Chiese particolari, a sedi stabili, con giurisdizione limitata. Appare con evidenza sempre maggiore che solo il Vescovo di Roma ha una giurisdizione universale. Si ricorre a lui come alla sola istanza suprema. Nel 422 il papa san Bonifacio I diceva a Rufo, vescovo di Tessalonica: «Mai, infatti, è stato permesso di rimettere in discussione quello che è stato deciso dalla sede apostolica». Su questo argomento la Tradizione è luminosa. Per affermare che i vescovi hanno in comunione con il Papa una giurisdizione abituale, di diritto divino, sulla Chiesa universale, bisogna forzare i testi e negare i fatti. «Dichiarare quali siano i poteri dell'episcopato e come debbano essere esercitati, significa confermare», dice il Papa, «le prerogative pontificie del Pontefice romano, le quali implicano tutta l'autorità necessaria al governo universale della Chiesa». Come confermare tali prerogative se non affermando con tutta la Tradizione che il Papa è il solo a possederle e che i vescovi hanno potere solo su Chiese particolari, potere proprio, di diritto divino, il cui esercizio può aver luogo solamente attraverso l'autorità del Papa. Infatti, se il Papa possiede tutta l'autorità necessaria alla sua carica, essa sarà per forza indivisa. Voler trarre esempio e argomento dal Concilio per provare questa affermazione significa cercare un ben povero argomento, che conclude troppo e quindi non conclude nulla. Concluderebbe in effetti con l'affermare il diritto divino dei vescovi di sedere in un quasi concilio permanente, vale a dire il diritto divino dei vescovi di governare abitualmente la Chiesa universale con il Papa, il che è evidentemente contrario a tutta la Tradizione, ed equivarrebbe a dire che la Chiesa ha ignorato la propria costituzione per diciannove secoli o che i Papi hanno defraudato i vescovi di un potere che derivavano dallo stesso Nostro Signore. Altrettante assurdità! La storia dimostra al contrario che i concili non hanno mai avuto carattere di istituzione permanente e che essi stessi hanno respinto, tanto a Trento quanto nel Vaticano I, le proposte che tendevano a richiedere la convocazione di concili ecumenici a data fissa. L'auspicio che ha trovato voce nel concilio Vaticano II conforme a questa affermazione, è quello di un diritto dell'episcopato di eleggere alcuni delegati a sedere presso Pietro in maniera permanente al fine di esercitare il diritto divino che i vescovi uniti al Papa hanno sulla Chiesa universale. Se tale diritto esiste veramente, il Papa deve evidentemente accettare questo consiglio episcopale, senza possibilità di rifiutarlo. Ora che cosa dice il nostro Santo Padre, il Papa Paolo VI? «Naturalmente, sarà per noi una gioia scegliere fra le file dell'episcopato mondiale e degli ordini religiosi, come fu fatto per le commissioni preparatorie del Concilio, fratelli illuminati e competenti che, con membri qualificati del sacro collegio, ci portino aiuto e consiglio per tradurre in regole adeguate e circonstanziate le decisioni generali fissate dal Concilio. Così, senza minimamente ledere le prerogative del Pontefice romano definite dal primo Concilio Vaticano, l'esperienza e l'aiuto della divina provvidenza ci indicheranno il modo di rendere più efficace in seguito il concorso cordiale e devoto dei vescovi al servizio della Chiesa universale». Nessuna allusione a un diritto dei vescovi, a una elezione di delegati da parte delle conferenze episcopali: al contrario, il Papa indica che sarà per lui una gioia (non un dovere) scegliere (non accogliere) come fu fatto per le commissioni preparatorie del Concilio (vale a dire in base alla scelta del Papa solo e non come si fece per le commissioni del Concilio, nelle quali i due terzi dei membri sono eletti). Ogni parola è stata attentamente studiata e vagliata. Che cosa rimane della collegialità abituale del Papa e dei vescovi al di là di una comunione di fede e di carità, nell'esercizio di una missione che è universale per il Papa e particolare per i vescovi? Sollecitudine di tutti nei riguardi della Chiesa universale, ma responsabilità diversa secondo l'estensione dei poteri e del loro esercizio. Il Papa non affronta la questione delle conferenze episcopali, ma si può dire ugualmente che la collegialità al livello di gruppi di vescovi ha subito nel corso della sessione serie amputazioni e che in definitiva sopravvive soltanto un senso di comunanza fraterna, di convergenza di sforzi benevoli per fini precisi, ma che non incidono in nulla sul potere di ciascun pastore nella sua diocesi e non diminuiscono la sua responsabilità. I vescovi tedeschi, olandesi e americani, che pure si erano mostrati nella maggior parte accesi difensori della collegialità con il successore di Pietro nel governo della Chiesa universale, lo hanno chiaramente affermato. 

Breve compendio storico sul primato di Pietro. Prendendo lo spunto dalle parole del Santo Padre sull'episcopato, è istruttivo e salutare rifarsi al Vangelo e a tutta la storia della Chiesa, in particolare a quella dei concili. Già i farisei si scandalizzavano degli onori resi dalla folla a Nostro Signore e gli dicevano: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli», e Nostro Signore rispondeva loro: «Vi dico: se essi taceranno, grideranno le pietre» (Lc. 19, 39). «I farisei allora dissero tra loro: Vedete, non riusciamo a nulla! Ecco, il mondo intero gli corre dietro» (Gv. 12, 19). Ora questo è vero di numerosi concili; molte obiezioni sono mosse al potere del Vescovo di Roma, del vicario di Cristo, quando non si trasformano in eresie. Lutero è succeduto ai farisei, dopo Wycliff (sec. XIV), dopo i Valdesi (sec. XII), dopo Michele Cerulario (sec. XI). Tutti hanno attaccato il potere del vicario di Cristo, ma sempre invano: il risultato fu, al contrario, una affermazione più decisa dell'autorità sovrana del Papa e della sua infallibilità. Al concilio Vaticano I si assistè allo stesso processo: nonostante tutti gli sforzi di una minoranza attiva e organizzata, nonostante l'appoggio di certi governi che si adombravano dell'autorità del Papa, furono proclamati il primato del Papa e la sua infallibilità. Assistiamo oggi allo stesso fenomeno sotto aspetti diversi: con l'argomento di una collegialità rafforzata che si presenta come un argomento dogmatico, con critiche alla Curia romana e specialmente contro il Sant'Uffìzio, ci si sforza di imporre al Papa un consiglio episcopale eletto, obbligatorio, di diritto divino, che ne condivida il governo. Fuori del Concilio, sulla stampa, nel cinema, c'è stato un concorso di critiche al papato. Pio XII è chiamato in causa nell'opera teatrale Il Vicario. Alla televisione, in Francia, proprio la domenica in cui il Santo Padre si trova a Nazareth, un religioso denuncia la papolatria e il papa-idolo. Infine, un altro religioso ben noto scrive di aver provato nausea sentendo ricordare incessantemente in Concilio il «Tu es Petrus» («I.C.I.», 15.12.1963). Hanno però ragione i piccoli e gli umili, le folle di Gerusalemme e di Roma, acclamanti il vicario di Cristo, che istintivamente afferrano la grandezza e la soavità di questo padre che ci è dato nella persona del successore di Pietro. Se il Papa si recherà negli Stati Uniti o in India, milioni di anime si precipiteranno per vedere colui che è il vero pastore universale su questa terra, per supplicarlo di benedirle. Bisogna avere lo spirito dei farisei o di Lutero per rimproverar loro questa manifestazione di amore filiale. Dal Concilio non potrà non ricevere luce il potere di Pietro come vicario di Cristo, pastore della Chiesa universale, il potere dei vescovi come padri e pastori delle anime loro affidate, l'intima comunione «tra i vescovi e il Sommo Pontefice e i vescovi fra loro» come membra unite alla testa in un solo corpo (Conc.Vat. I, La fede cattolica, n. 469), «che con Pietro e subordinati a lui lavorano al bene comune e al fine supremo della Chiesa stessa, di modo che la connessione gerarchica se ne trovi rafforzata e non indebolita, la collaborazione interna stretta maggiormente e non allentata, l'efficacia apostolica accresciuta e non diminuita, l'amore reciproco reso più ardente e non più tiepido». Sono parole testuali del Sommo Pontefice Paolo VI. 

La Vergine Maria. - Infine, il terzo esempio di cui parla il Santo Padre è quello della Santa Vergine. Qui ancora il Sommo Pontefice non esita a dare un chiaro orientamento. Le acclamazioni dei padri conciliari nell'udire questo passo sono state significative. «Allo stesso modo», diceva il Santo Padre, «per lo schema riguardante la Vergine noi speriamo [chi ormai non spera con il successore di Pietro?] nella soluzione che conviene meglio a questo Concilio, e cioè il riconoscimento unanime e fervente del posto assolutamente privilegiato che la Madre di Dio occupa nella Chiesa, oggetto principale del presente Concilio. Maria vi occupa dopo Cristo il posto più elevato e al tempo stesso più vicino a noi, così che potremmo onorarla del titolo di Mater Ecclesiae per sua gloria e nostro conforto». Chi oserà, dopo queste parole, relegare Maria Santissima all'ultimo posto nello schema sulla Chiesa o addirittura in appendice, o parlarne solo attraverso rare allusioni? È in queste righe che il Santo Padre si mostra perentorio e indica nella maniera più decisa il suo pensiero e il suo desiderio. Che Dio, che ha fondato la sua Chiesa su Pietro, sia lodato. Viviamo momenti in cui il soprannaturale, l'azione dello Spirito Santo, è visibile, tangibile. Si interroghino gli osservatori del Concilio: non avranno termini abbastanza espressivi per felicitarsi con noi e invidiarci un Vescovo al quale è stato dato il potere supremo sulla Chiesa, un Vescovo al quale rivolgerci quando siamo oppressi da dubbi o da tenebre e nel quale siamo sicuri di trovare la luce. «Simone, Simone, ecco che Satana ha ottenuto di vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc. 22, 32). È quanto il Papa Paolo VI, successore di Pietro, ha appena fatto con questo memorabile discorso di chiusura della seconda sessione del Concilio Vaticano II. 21 gennaio 1964

Marcel Lefèbvre

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