I doni della vita intima e della luce
Avendo voluto assumere nei nostri confronti una paternità integrale, il Padre è chino su di noi per dispensarcene tutti i benefici; perché questa paternità, effettivamente iniziata dopo il trionfo glorioso del Figlio di Dio, è un dono che non si esaurisce, e che il Padre sostiene e rinnova ad ogni istante, circondandoci del suo amore paterno e colmandoci di attenzioni e favori.
Egli sviluppa in noi, ininterrottamente, tutti gli aspetti di una vita filiale. « Dio ci ha dato la vita eterna », dice san Giovanni, aggiungendo che questa vita si trova nel Figlio suo'. A causa di questa vita eterna noi apparteniamo a un mondo superiore, il mondo celeste che è del Padre. Si tratta, è chiaro, di una vita tutta interiore, nascosta, di cui abbiamo co-
scienza solo in modo imperfetto e che non valorizziamo appieno. Ma si tratta di una vita che contiene in sé i più sublimi splendori.
San Paolo usa espressioni forti e ardite per descrivere questi splendori segreti, e li riferisce sempre al grande amore del Padre per noi. Dopo aver descritto l'umanità lasciata in balia del peccato, egli dichiara: « Dio, che è ricco in misericordia, mosso dall'immensa carità con cui ci ha amato, a noi, proprio quando eravamo morti per i peccati, ridiede la vita insieme con Cristo, per la grazia del quale siete stati salvati, e con lui ci risuscitò e ci fece sedere nei cieli in Cristo Gesù. E così la sua bontà verso di noi in Gesù Cristo mostrerà nei secoli avvenire le sovrabbondanti ricchezze della sua grazia ».
Così noi portiamo già in noi la risurrezione e l'ascensione di Cristo: « siamo cittadini del cielo ». Nella vita che chiamiamo la vita della grazia è racchiuso tutto un mondo celeste, che noi ci raffiguriamo a fatica. Il corso esteriore della nostra vita terrena è ben poca cosa in confronto della vita superiore che anima l'intimo del nostro essere; nella nostra fragile esistenza carnale, così soggetta al flusso degli avvenimenti, si dispiega una vita già immutabile, di una grandezza insospettata. È la vita filiale, per mezzo della quale il Padre ci ha accolti nella sua intimità.
San Paolo, che capiva l'immensità di questo dono, si rendeva conto che era impossibile coglierne il valore se non illuminati dall'alto. Ed era ancora al Padre che egli chiedeva la luce necessaria. « Che il Dio del Signor nostro Gesù Cristo, il Padre glorioso, conceda a voi spirito di sapienza rivelatrice per conoscerlo pienamente, e illumini gli occhi della vostra intelligenza, affinché sappiate quale è la speranza a cui siete chiamati, quali le ricchezze della sua gloriosa eredità che vi prepara tra i santi, e quale la sovraeminente grandezza della sua virtù a riguardo di noi credenti, siccome l'attesta l'efficacia della sua vigorosa potenza, da lui così energicamente adoperata in Cristo, risuscitandolo da morte e facendolo sedere alla sua destra nei cieli ».
Il Padre chino su di noi è dunque il Padre che agisce con tutta la sua potenza per compiere in noi cose mirabili. Egli ci ha infatti destinato la sua eredità, il suo regno, che è « il regno del Figlio del suo amore ». Perché in Cristo siamo divenuti allo stesso modo di lui « figli del suo amore », figli diletti del Padre, e il regno ci viene donato integralmente, come il cuore stesso del Padre. Anche Cristo, prima di san Paolo, aveva profondamente ammirato quella generosità paterna: « Non abbiate timore, piccolo gregge, aveva detto ai suoi discepoli, perché il Padre vostro si è compiaciuto di darvi il regno ». E Gesù nel gruppo apparentemente piccolo dei suoi fedeli vedeva chiaramente la grandezza di quel regno e la grandezza dell'amore del Padre che l'aveva loro destinato. Per il Padre, dare il suo regno significava dare tutto ciò che possedeva. E tra i beni di cui ci ricolma, tra quei tesori di cui san Paolo ama parlare come di ricchezze incommensurabili e inesauribili, vi é il dono della luce. Il « Padre della gloria », cioè colui che ci comunica la vita divina, é anche il « Padre dei lumi », colui che illumina la nostra anima. Egli versa in noi, secondo la parola dell'Apostolo, « lo spirito di sapienza e di rivelazione » e « illumina gli occhi del nostro cuore ». Con un atto paterno egli apre gli occhi dei suoi figli; ma mentre un padre umano si limita a lasciar agire la natura e a cogliere i primi sguardi e i primi bagliori di coscienza del suo bambino, il Padre celeste risveglia uno sguardo soprannaturale. La sua azione va fino al « cuore », fino alla radice più profonda dello spirito, rendendolo accessibile alle verità ultraterrene, accendendovi quel lume che lo farà capace di conoscere Dio. È il Padre che innalza i discepoli di Cristo all'altezza delle verità della fede. Non basta comprendere l'insegnamento-di Gesù per accettarlo ed aderirvi, né vedere Cristo all'opera, soprattutto nei miracoli, per riconoscere in lui un personaggio divino. I discepoli stessi avrebbero potuto essere tentati di pensare che la loro fede in Cristo era spontanea, frutto di una semplice convinzione naturale; ma Cristo fa loro comprendere che quella fede proviene da un'azione del Padre, da quella rivelazione segreta che egli opera nello spirito umano. Quando Pietro, sulla via di Cesarea, fa la sua professione di fede: « Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente », Gesù la riferisce tutta al Padre: « Tu sei felice, Simone, figlio di Giovanni, perché non la carne e il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli ». La felicità di Pietro, dunque, non consiste soltanto nel fatto di aver compiuto un atto di fede, ma soprattutto nell'origine di quest'atto, cioè nella rivelazione data dal Padre, il quale aveva illuminato il suo pensiero e parlato per bocca sua.
Ancora più significativa è l'esclamazione di Gesù davanti a una dimostrazione di fede data da persone d'animo semplice, incolte e di modesta condizione. « In quel momento Gesù rispose », ci dice san Matteo. E si comprende subito a chi: non alle persone umane, ma al Padre, perché egli aveva parlato attraverso lo slancio di fede di quell'umile gente. San Luca fa notare che la risposta è pronunciata in un trasporto di gioia, in un trasalimento, in una vibrazione di tutto l'essere, perché in quella fede di popolo Cristo ha incontrato con più luminosa evidenza il Padre e la sua azione: « Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose a coloro che hanno sapienza e intelletto e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché tale fu il tuo beneplacito ».
Ciò che più ha importanza agli occhi di Gesù è il fatto che questa fede è opera del Padre; e perciò egli esulta, e ne afferma solennemente il principio: « Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre ».
Un uomo non potrebbe, con la sola sua intelligenza, riconoscere Gesù come Figlio di Dio. Coloro che son tenuti in gran conto per intelletto e sapienza hanno dimostrato di esserne incapaci; mentre gli umili sono riusciti ad arrivarvi, perché fosse ben evidente che la fede in Cristo non derivava da una intelligenza o da un sapere maggiore, da una migliore educazione delle facoltà naturali. L'attitudine a riflettere e a ragionare propria dei filosofi, la finezza d'intuizione di chi sa decifrare gli elementi di una situazione e cogliere il nocciolo di un problema non sono di alcun aiuto: per scoprire chi veramente è Cristo è necessario ricevere in dono la conoscenza che il Padre aveva del Figlio, precisamente quella conoscenza divina che egli aveva comunicato a quell'umile gente e che risplendeva nella loro professione di fede.
La parola di Gesù ci invita a porci nel punto di vista del Padre, il vero punto di vista, poiché la - fede in Cristo è una partecipazione alla contemplazione eterna con la quale il Padre guarda il Figlio e si compiace in lui. Ancora una volta dobbiamo riconoscere la sollecitudine del Padre nel donare: la luce che egli ci elargisce è quella della sua conoscenza divina; traendoci dall'oscurità della nostra visuale terrena, egli riesce ad associarci al suo sguardo luminoso e ad insegnarci a guardare il Figlio come egli stesso lo guarda. Ogni atto di fede è dunque una nuova immissione in uno spirito umano di questa sublime conoscenza del Padre.
La rivelazione concessa dal Padre è preceduta e accompagnata da un'attrazione essa pure di origine celeste e paterna. « Nessuno può venire a me se non lo attrae il Padre che mi ha mandato », dichiara Gesù. Infatti noi conosciamo bene e profondamente soltanto ciò che desideriamo conoscere: una certa propensione deve esistere perché noi possiamo assimilare la luce che ci viene donata, e tale propensione e suscitata e sviluppata in noi dal Padre. All'opera esteriore, nella quale il Padre ci ha presentato il Figlio facendolo nascere e vivere in Palestina e trasmettendoci il suo ricordo attraverso le pagine della Scrittura e l'insegnamento della Chiesa, corrisponde un profondo e incessante lavorio all'interno delle anime, per far loro cogliere l'invisibile che si trova in Cristo.
Così, tutte le verità che possediamo per mezzo della fede, e soprattutto la verità centrale della divinità del nostro Salvatore, sono un dono del Padre.
Di Jean Galot s. j.
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