PREGATE SEMPRE
Lo scopo della via interiore è di fare di tutta la nostra esistenza una continua preghiera. Tale è l’insegnamento formale delle ‘Conferenze’ di san Giovanni Cassiano, maestro incontestato della dottrina ascetica. L’uomo non trova il suo equilibrio, non ristabilisce la gerarchia distrutta in lui dal Peccato originale se non quando pensa a Dio: questa è la sua vera felicità, come indica il salmista (Salmo 72): ‘Mihi autem adhaerere Deo bonum est’: ‘per me il bene è aderire a Dio’. Nostro Signore chiede lo stesso per noi al Padre Suo quando dice: ‘Affinché tutti siano uno, come noi siamo uno. Io in loro e loro in me, affinché loro siano consumati nell’uno’. Lo spirito umano, però, come abbiamo già notato sopra, è mobile, dunque deve ricorrere a mezzi particolari per fissarsi in Dio. Questi mezzi, come ci insegnano gli autori spirituali dal tempo dei Padri del deserto, sono gli atti interiori sotto la forma d’intenzione, di preghiere giaculatorie, di desiderio, e della pratica della presenza di Dio.
1. L’Intenzione
Già molto tempo deve essere consacrato al nostro lavoro, ma il Signore ci dice esplicitamente in due passi già citati del Vangelo di san Luca che: ‘Bisogna pregare sempre, senza mai stancarsi’ (18.1), e ancora: ‘Vegliate e pregate in ogni momento’ (21.36). Possiamo concludere che anche il nostro lavoro deve essere trasformato in preghiera; per questo non c’è che un mezzo: vivificare ed animare ogni opera nostra con questa intenzione del cuore. Ora ci sono lavori insignificanti quanto al loro oggetto, ma che divengono di gran valore tramite questa anima vivificante che è la preghiera. Questo è il soldino della vedova, tanto ammirato da Nostro Signore, precisamente perché in questo piccolo corpuscolo metallico, un niente, c’era un’anima vivente.
Sant’Alfonso scrive nella Pratica di amar Gesù Cristo: ‘La retta intenzione è quella celeste alchimia per cui il ferro diventa oro, le azioni cioè anche più banali – come lavorare, mangiare, riposare, concedersi un sollievo – fatte per Dio, diventano oro di santo amore. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi dava quindi per certo che quelli che operano sempre con retta intenzione vanno dritto in Paradiso, senza Purgatorio’. La stessa santa, in una visione dell’anima di san Luigi Gonzaga rivestita in cielo di una gloria uguale ai più grandi santi, esclamava: ‘Chi potrebbe esprimere il valore e la forza degli atti interiori di virtù!’
Nell’ufficio della Maternità della Santissima Vergine celebrato l’11 ottobre, la Chiesa applica alla Santissima Madre di Dio questo testo dei Proverbi (31.29): ‘Molte figlie hanno raccolto ricchezze, Voi le avete oltrepassate tutte’. Qui si tratta evidentemente delle ricchezze spirituali delle buone opere. Ma perché si dice che la Santissima Vergine ha oltrepassato tutte le altre anime in questo campo? Si può dire, infatti, che c’erano santi che hanno fatto delle opere più notevoli o più numerose di lei. Bisogna osservare, tuttavia, che ciò in cui la Santissima Vergine ha oltrepassato tutte le altre anime era l’intenzione sovranamente pura con cui ella svolgeva le sue più piccole azioni, mediante l’applicazione costante ed intensiva del suo cuore a Dio in tutto ciò che faceva.
Abbiamo mostrato sopra che l’adorazione, il ringraziamento, e l’espiazione possono informare le nostre azioni come intenzioni. Lo stesso vale per le virtù sovrannaturali del timore, della speranza, e della Carità e di molte altre come l’ubbidienza e l’umiltà. Si osserva inoltre che si può compiere la stessa azione per più di un motivo: un religioso, ad esempio, può ubbedire al suo superiore per motivi di umiltà, di ubbidienza, di Carità verso Dio nella persona del superiore, per espiare i propri peccati etc. Ma l’intenzione la più alta e la più meritoria è senza dubbio quella della Carità.
Ogni atto lecito di un agente in stato di Grazia viene ordinato a Dio dalla Carità, essendo la Carità la forma di tutte le virtù. Se, essendo in stato di Grazia, ordino la mia tavola per poter meglio utilizzarla a scrivere lettere per scopi buoni, se compro pane per poter sopravvivere un altro giorno, questi piccoli atti e tutti i miei atti, per quanto insignificanti essi possano sembrare, sono indirizzati verso il mio fine ultimo: la mia santificazione alla gloria di Dio. Sono meritori ed, in quanto virtuosi, sono anche caritatevoli.
Ma la Carità in questione, per la maggior parte delle persone, sarà probabilmente solo virtuale. Per meritare di più, per pregare sempre, per perfezionarmi e santificarmi mentre agisco, occorre fare tutto per amore in modo consapevole. E più consapevole, più pura, più intensa, più fervorosa, più perfetta è questa intenzione, più meritoria sarà l’azione, e più amorevole, più santa, più perfetta la persona.
Tra tutte le intenzioni con cui si può operare, la Carità è la più grande in quanto la Carità è la regina di tutte le virtù. Quando essa raggiunge la perfezione, che è la stessa santità, cerca unicamente la gloria di Dio ed il compimento della Sua Santissima Volontà, senza alcuna ricompensa. Non contiene più niente di umano, ma solo il desiderio della Volontà di Dio, per cui merita di essere chiamata ‘l’intenzione divina’. ‘Sono del mio amato’ dice la sposa del Cantico dei Cantici, come per dire: ‘I miei pensieri, le mie parole, le mie azioni non hanno altro scopo che di soddisfare Lui. Non mi curo di me, mi occupo soltanto dei Suoi interessi’.
Questa dottrina dell’intenzione trova una bella illustrazione nella parabola delle vergini prudenti e sciocche secondo il commentario del beato Ludolfo certosino: ‘Loro (le vergini prudenti) hanno nel vaso del loro cuore questo olio che nutre lo splendore della luce e che è la purezza dell’intenzione e l’orientamento della volontà verso Dio. Possiedono due cose dunque: la lampada che brilla fuori illuminando il prossimo – sono le buone opere che la edificano –; e nell’intimo dell’anima l’umiltà, la sottomissione, la rettitudine della volontà: tutte virtù ignorate dal mondo, ma che sole possono fornire alla lampada delle opere un alimento duraturo. Le vergini sciocche non hanno olio: le loro lampade sono vuote…’
Padre Konrad zu Loewenstein
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