IV. SCHIAVITÚ E LIBERTA
Quando si parla di leggi si parla di obbligazioni e quindi di limitazione di libertà. Questo concetto l'uomo è portato a estenderlo anche alla legge di Dio. All'apparenza anch'essa limita la libertà; ma in effetti è il contrario: la legge di Dio rafforza la libertà; la sua trasgressione, ossia il peccato, la riduce, fino a toglierla completamente. Dice Gesú: «chi fa del peccato è servo del peccato». (Gv. 8, 34).
Dice S. Paolo: «La legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Non comprendo quello che faccio, perché non faccio quello che voglio, ma quello che odio... Non faccio il bene che voglio, bensí il male che non voglio. Secondo l'uomo interiore provo diletto nella legge di Dio, ma vedo nelle mie membra un'altra legge, che lotta contro la legge nella mia mente e che mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra». (Rom. 7, 14).
L'uomo piú fa il peccato, piú è necessitato a farlo: come ad esempio la masturbazione, la fornicazione, l'ubriachezza e soprattutto la droga. Questo, d'altronde accade per ogni vizio: per l'ira, per l'avarizia, per la gola, per la pornografia e la pornocinematografia, per la TV, per il fumo ... È cosí che quello diventa schiavo del denaro, quella di un uomo, quello di una donna, quello della politica, quello del fumo, quello di altri istinti.
Migliaia di persone mi hanno detto con sincerità che avrebbero voluto eliminare qualche loro vizio, ma che non ci riuscivano. Un amico, colpito da cancro ai polmoni da fumo, prima di morire fra atroci dolori, mi disse che aveva tentato ripetutamente di liberarsi dal fumo, ma che non ci era riuscito; una volta c'era riuscito, ma era bastata una sigaretta offerta da un amico per farvelo ricadere; se avesse previsto quello che soffriva, non avrebbe preso mai una sigaretta per tutto l'oro del mondo. Questa triste condizione umana di schiavitú del peccato faceva gridare a s. Paolo: «Oh, infelice uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di peccato?» (Rom. 7, 24). Il liberatore è solo Gesú. Egli, liberandoci dal peccato, ci libera contemporaneamente dalla morte.
Dice Gesú: «La verità vi farà liberi» (Gv. 8, 32).
L'uomo si avvelenava liberamente soltanto quando sapeva che in quel bicchiere c'era veleno, e non quando credeva ci fosse liquore; rifiuta liberamente un testamento che lo nomina erede universale quando sa, ad es., che il defunto possedeva un miliardo, e non quando falsamente credeva che egli fosse pieno di debiti. L'uomo si danna liberamente soltanto quando sa cosa è il Paradiso che egli rifiuta e l'inferno che egli sceglie. Ma allora dov'è la sua responsabilità?
Nel rifiutare di conoscere che è venuto dall'altro mondo egli ci dice che ci sono il Paradiso e l'inferno, e gli dà effettive garanzie di quanto afferma.
Se l'uomo conoscesse il Paradiso che perde e l'inferno che guadagna col peccato, non peccherebbe mai.
L'uomo è vittima della sua ignoranza o meglio della sua voluta stupidità, perché non c'è niente di piú stupido che rifiutarsi di esaminare se c'è un'altra vita o no; come non c'è niente di piú stupido per un pilota che rifiutarsi di controllare, sebbene avvisato, se è stata messa nel motore una bomba ad orologeria. L'uomo fa il peccato perché non sa cosa è il peccato.
Per questo il primo rimedio contro il peccato è la conoscenza delle sue conseguenze. Giustamente s. Alfonso de' Liguori disse: «Meditazione e peccato non possono stare insieme».
La lettura del Vangelo, dei libri di evangelizzazione e dei libri formativi ci fa conoscere quella verità che ci allontana dal peccato e ci rende liberi.
La liberazione non è altro che liberazione dall'ignoranza e dal peccato; quindi abbandono psichico di esso e mutamento di concezione e di pratica di vita, ossia conversione. Tutto questo viene sancito, per volontà di Gesú, con la confessione. La perseveranza nella nuova rotta viene resa possibile dalla vigilanza, ossia dall'allontanamento delle occasioni, dalla preghiera e dalla comunione, come Gesù ha insegnato:
«Vigilate e pregate per non cadere in tentazione» (Mt. 26, 41). «Senza di me non potete far nulla» (Gv. 15, 5).
L'uomo, che non è schiavo dei suo istinti e della materia, dirige ogni cosa al fine per cui Dio l'ha creata e raggiunge in vita l'equilibrio e la pace, e con essi il miglior bene terreno, e, in morte il Paradiso. Giustamente s. Paolo dice: «La pietà è utile a tutto, ed ha la promessa della vita presente e della futura» (I Tm. 4, 8).
Nessun commento:
Posta un commento