Dalla Gerarchia Cardinalizia di Carlo Bartolomeo Piazza
e dalle Rivelazioni Private della mistica Maria Valtorta
Deposizione di Sant’Agnese.
20 - l - 44, alle l6.101
A conforto della mia tristezza, il buon Gesù mi concede la seguente visione che mi affretto a descriverle pensando le possa far piacere.
Assisto alla deposizione di Agnese.102
Vedo un giardino di una casa patrizia. Non so se sia la casa paterna di Agnese o di altra famiglia cristiana. Del resto, ciò non ha molta importanza. Vedo, insomma, questo amplissimo giardino con viali e vialetti, aiuole, peschiere e piante d’alto fusto.
È sera, potrei dire notte perché le ombre sono già folte. Il luogo è rischiarato da un bel chiaro di luna e da rade fiaccole o lumi che siano. Vedo le fiamme piegarsi ogni tanto al lieve vento della sera. La luna è al suo primo quarto e perciò penso siano le 20 o anche meno delle venti, perché essa si è appena alzata all’orizzonte e in gennaio essa si alza presto, specie quando è nella sua fase iniziale.
In principio non vedo altro. Poi la scena si anima. Entrano nel giardino molte persone con lumi e torce, e la luce cresce. Sono certo cristiani e cristiane, condotti dai loro sacerdoti e diaconi al seppellimento di Agnese.
Ad un certo momento si apre una porta della casa e appare un peristilio vivamente illuminato, certo in corrispondenza con la via, perché di fronte a questa porta - dirò così: verso l’interno - ve ne è un’altra, che pure si apre come se qualcuno avesse bussato dal di fuori, ed entra un gruppo di persone portando su una lettiga una forma avvolta in un sudario.
Deposta la lettiga in mezzo a questo peristilio e chiusa la porta che dà sulla via, la forma viene scoperta, alzata piamente e deposta su un’altra specie di barella simile ad un lettuccio senza sponde, ricoperto di una stoffa rosso cupo ricchissima, direi trapunta a ricamo.
Vedo che la martire è già stata lavata e composta. Non è più sangue sul suo volto e nella sua chioma, non più sulla sua veste. Devono averle messo una tunica pulita perché nessuna macchia è su essa.
La giovinetta martire pare una statua marmorea, tanto è pallida in volto. Ma è tanto in pace. Sorride. Ha i capelli sciolti sotto il velo candido che la copre tutta. Ma il primo velo glielo fanno i suoi lunghi capelli biondi. Un vero manto d’oro che la avvolge sino alle ginocchia. Ha le mani congiunte sul petto ed una palma fra esse. La ferita al collo non si vede. Glie l’hanno coperta pietosamente colle ciocche d’oro e il candido velo. Intorno a lei si affollano i parenti che piangono senza strepito e la baciano sulle manine ceree e sulla fronte marmorea, i familiari, i compagni di fede, i sacerdoti.
Entra un vecchio venerando fiancheggiato da due altri. Sono tutti vestiti da romani dell’epoca. Da quanto avviene comprendo che il vegliardo è il Pontefice o un suo vicario. Ma direi il Pontefice, perché tutti si inginocchiano mentre egli entra e benedice. Anche egli si accosta alla martire e prega su lei. Poi si mette i paramenti sacerdotali e ugual cosa fanno i due diaconi che lo accompagnano, e così molti dei sacerdoti sparsi fra i cristiani, e il corteo si ordina.
Un gruppo di vergini, fra cui Emerenziana, si stringono alla barellina e la sollevano. Per quanto, vista distesa, Agnese sembri più alta di quando era viva, non deve essere soverchio il peso: è una bambina e non molto formosa. Le vergini sono tutte biancovestite e bianco velate: una siepe di gigli intorno al giglio spento coricato sulla porpora del drappo funebre. Davanti il Pontefice e i sacerdoti, preceduti e fiancheggiati da famigli con fiaccole, dietro le vergini con la martire, poi i genitori, i parenti, i cristiani, tutti con lumi, vanno per i viali del giardino, verso il luogo dove questo confina con una campagna (mi pare). Certo non vi sono altre case dopo, ma altre piante e prati.
La scena è placida e solenne. La luna bacia la candida forma e il vento la carezza. Vedo una ciocca bionda ondeggiare lievemente sotto il soffio del vento leggero.
I cristiani cantano a bassa voce. In principio stento a capire, forse perché sono distratta nel guardare tante cose. Poi afferro le parole della santa melodia latina e ricordo di conoscerla, non mi è nuova. Penso dove l’ho udita o letta.
Intanto si è giunti ad una specie di pozzo, molto largo di bocca, nel quale si scende per una scaletta tagliata nel tufo o arenaria che dir si voglia. Piano piano scendono i principali personaggi e nella cavità sotterranea, che è fatta in forma circolare con molti cunicoli che sembrano appena iniziati in diverse direzioni, le voci si fanno più forti e solenni.
Ora ricordo bene. Sono le parole dell’Apocalisse, nel punto dove parlano di quel “canto” che solo potranno dire coloro che non si contaminarono sulla terra.103 Ma non è detto tutto. È detto così. Lo dicevano così lentamente, quell’inno, che ho potuto trascriverlo, e poi ho guardato se la mia asineria aveva fatto molti errori latini.
“Et vidi supra montem Sion Agnum stantem” cantavano gli uomini.
“Et audivi vocem de cælo, tamquam vocem aquarum multarum” rispondevano le donne.
“Sicut citharoedorum citharizantium in citharis suis”.
“Et cantabant quasi canticum novum”.
“Et nemo poterat dicere canticum, nisi illa 144.000 qui empti sunt de terra”.
“Hi sunt qui cum mulieribus non sunt coinquinati: virgines enim sunt”.
“Hi sequuntur Agnum, quocumque ierit”.
“Hi empti sunt ex hominibus primitiæ Deo et Agno”.
“Sine macula enim sunt ante thronum Dei” cantavano
alternativamente, un versetto gli uomini, uno le donne.
Un’armonia celeste! Avevo le lacrime agli occhi e tuttora è in
me come un fiume di dolcezza che placa tutto. La sento sopra tutti i rumori che ho attorno...
Un ultimo saluto dei parenti e poi la salma viene sollevata e
portata verso il loculo lungo e stretto scavato nell’arenaria,
scavato di fianco, non per il lungo. Il Pontefice segue la
deposizione con queste parole: “Veni, sponsa Christi. Veni,
Agne sanctissima. Requiescant in pace”104.
Una pietra viene ribattuta e fissata sull’apertura. La visione si cristallizza lì.
Io mi sento in pace come fossi io pure coricata in quel piccolo loculo a fianco della dolce creatura, in attesa di risorgere con lei in Cristo dopo il martirio. Come se fossi, come lei, già uscita dai tormenti e dalle cattiverie del mondo e cantassi al suo fianco il cantico che cantano solo coloro che sono stati riscattati dalla terra.
È pur bello morire per Gesù! È pur bello potersi dire: “il mio dolore mi ottiene il Paradiso!”.
Ora mi raccolgo in attesa che lei venga. Mi raccolgo nell’eco di quel dolce canto così pieno di promesse per chi ha dato se stesso al servizio dell’Agnello e lo segue in ogni sua volontà.
A cura di Mario Ignoffo
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