Il pittore Parrasio, dipingendo il popolo di Atene, ebbe un’idea geniale: lo rappresentò con espressioni sempre diverse: di collera, di rabbia, di incostanza, di cortesia, di clemenza, di misericordia, di alterigia, di superbia, di umiltà, di vanità, di timidezza, e tutto ciò contemporaneamente; io, cara Filotea, vorrei mettere allo stesso modo contemporaneamente nel tuo cuore la ricchezza e la povertà, una grande cura e un grande disprezzo dei beni temporali.
Devi avere più cura tu di rendere i tuoi beni utili e fruttuosi di quanta non ne abbia la gente di mondo. Infatti i giardinieri dei grandi principi non sono forse più accurati e diligenti nel coltivare ed abbellire i giardini loro affidati che se fossero di loro proprietà? E perché? P- semplice: pensano che quei giardini appartengono ai principi e ai re nelle grazie dei quali vogliono entrare con quel servizio.
Filotea, tutto quello che possediamo non è nostro: Dio ce l’ha affidato e vuole che lo rendiamo fruttuoso e utile; se ne abbiamo cura per bene il nostro servizio gli sarà accetto. Deve essere una cura maggiore e più continua di quella che la gente del mondo ha per i propri beni. Essi si impegnano soltanto per amore di se stessi, noi invece lavoriamo per amore di Dio.
Se metti a confronto questi due amori arrivi alla conclusione che, poiché l’amore di sé è un amore violento, turbolento e ossessivo, anche la cura dei beni fondata su di esso sarà agitata, rabbiosa e piena di paure; per contro poiché l’amore di Dio è dolce, sereno e tranquillo, la cura dei beni fondata su di esso sarà serena, dolce e tranquilla. Cerchiamo di essere calmi nella cura dei nostri beni temporali, sia per conservarli, sia anche, all’occasione, per accrescerli, se la nostra condizione lo richiede. Questa è la volontà di Dio e noi dobbiamo realizzarla per amore.
Ma fa attenzione agli inganni dell’amor proprio; sa così bene scimmiottare l’amore di Dio, che a volte sembra proprio lui! Per impedire questo equivoco, ossia che la cura dei beni temporali si tramuti in avarizia, oltre a quanto ti ho indicato nel capitolo precedente, dobbiamo molto spesso praticare una povertà reale ed effettiva, pur vivendo circondati da tutte le ricchezze che Dio ci ha dato.
Comincia col disfarti di un po’ dei tuoi beni dandoli di tutto cuore ai poveri: dare significa impoverirsi nella misura in cui si dà, e più darai e più sarai povera. t- vero che Dio ti ricompenserà, non soltanto nell’altro mondo, ma anche in questo; infatti niente rende gli affari tanto prosperi quanto l’elemosina. Tuttavia, in attesa mancherai di quello che hai dato!
Ed è una santa e ricca povertà quella procurata dall’elemosina.
Ama i poveri e la povertà; è questo amore che ti farà sinceramente povera, giacché, come dice la Scrittura, noi assomigliamo alle cose che amiamo. L’amore rende simili gli amanti. Chi è infermo e io non sono come lui? dice S. Paolo. Avrebbe anche potuto dire: Chi è povero e io non lo sono come lui? L’amore lo rendeva simile a quelli che amava.
Se dunque ami i poveri parteciperai realmente della loro povertà e sarai povera con loro. Se è vero che ami i poveri, frequentali spesso: sii contenta quando vengono a casa tua e tu va a trovarli a casa loro. Parla volentieri con loro, sii contenta se ti vengono vicino in chiesa, per strada, ovunque. Usa un linguaggio semplice con loro, parlando come usano parlare tra di loro. Devi invece essere ricca di mano, distribuendo loro con abbondanza dei tuoi beni.
Vuoi fare ancora di più, Filotea? Non accontentarti di essere povera come i poveri, ma sii più povera dei poveri. E come? Il servo è minore del padrone: e allora tu fatti serva dei poveri. Va a servirli nei loro giacigli quando sono ammalati, intendo di persona, con le tue mani; sii la loro cuoca a tue spese; sii la loro cameriera, la loro lavandaia. Filotea, questo servizio vale più di una corona reale.
Sono preso da sconfinata ammirazione ogni volta che penso allo zelo con il quale S. Luigi lo mise in pratica: io considero quel monarca uno dei più grandi re della terra, ma di una grandezza che abbraccia tutti i settori. Spesso serviva alla tavola dei poveri che manteneva a sue spese; e quasi tutti i giorni tre li faceva sedere alla sua mensa e spesso mangiava con amore quello che rimaneva nei loro piatti. Quando visitava gli ammalati negli ospizi, e lo faceva spesso, abitualmente serviva quelli che erano colpiti dalle malattie più ributtanti, come lebbrosi, cancerosi e simili; li serviva a capo scoperto e in ginocchio, rispettando in essi la persona del Salvatore del mondo; dimostrava loro una tenerezza che soltanto una madre premurosa ha per il proprio figlio.
S. Elisabetta, figlia del re d’Ungheria, si univa abitualmente ai poveri e qualche volta, per divertimento, si vestiva poveramente tra le sue dame e diceva loro: Se fossi povera, mi vestirei così.
Cara Filotea, quel principe e quella principessa erano poveri sul serio in mezzo alle ricchezze ed erano ricchi nella loro povertà.
Beati quelli che sono poveri in questo modo, perché di essi è il regno dei cieli. Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto freddo e mi avete vestito; possedete il regno che vi è stato preparato fin dalla creazione del mondo, dirà nel giudizio finale il Re dei poveri a coloro che a loro volta avranno voluto essere re, dominando le cose materiali.
Tutti, prima o poi, incontriamo situazioni nelle quali sperimentiamo la mancanza di qualche comodità e ne sentiamo il peso. Ci capita, ad esempio, di ospitare una persona che vorremmo e dovremmo trattare con riguardo e non c’è modo a causa dell’ora; oppure ti capita di avere gli abiti belli in un luogo mentre ti servirebbero in un altro per presentarti meglio; ti può capitare ancora che in cantina i vini si siano voltati in aceto e ti rimane solo un vino cattivo e aspro; oppure ti trovi in campagna in una bicocca dove manca tutto: il letto, la camera, un tavolo, il personale!
Capita spesso di avere bisogno di qualche cosa anche se si è ricchi; in tal caso bisogna saper essere poveri in quello che manca.
Filotea, sii contenta in queste situazioni, accettale volentieri e sopportale serenamente.
Quando ti capiteranno rovesci che ti impoveriranno, o molto o poco, quali la grandine, il fuoco, le inondazioni, la siccità, le ruberie, i processi, allora sì che è il tempo di praticare la povertà; accetta serenamente la diminuzione dei beni, adattati con pazienza e costanza all’impoverimento.
Esaù si presentò -a suo padre con le mani coperte di peli, e Giacobbe lo imitò; ma siccome il pelo che copriva le mani di Giacobbe non apparteneva alla sua pelle, ma ai guanti, se lo poteva togliere senza scorticarsi; al contrario il pelo di Esaù apparteneva alla sua pelle; era peloso per natura; chi avesse voluto levarglielo gli avrebbe causato un atroce dolore, lo avrebbe fatto urlare e si sarebbe difeso.
Quando i nostri beni sono legati al cuore, se la grandine, i ladri o gli imbroglioni ce ne strappano una parte, che urla, che agitazione, che tormento ne abbiamo! Ma se i nostri beni sono attaccati a noi solo per la cura che Dio vuole che ne abbiamo e non sono attaccati al cuore, se ce li strappano, non sarà per quello che daremo in smanie e cadremo in svenimento.
I vestiti degli uomini e degli animali differiscono proprio in questo: i vestiti delle bestie fanno parte della loro carne, quelli degli uomini sono soltanto sovrapposti, per poterli indossare e togliere quando si vuole.
S. Francesco di Sales
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