Il dì 18 maggio 1815, nella santa Comunione, era il mio spirito tutto intento ad amare Dio; il mio povero cuore si distendeva per quanto mai poteva, e raccogliendo tutti i suoi affetti si slanciava con tutta la forza verso il suo Dio. L’amoroso Signore benignamente la unì a sé intimamente. Dopo avermi dato gli attestati più cordiali della sua carità infinita, che si compiace di avere verso di me, mi fece intendere come desiderava che il mio spirito si fosse perpetuato alla sua presenza, ai piedi del sacro altare, per adorarlo in spirito e verità nell’augustissimo sacramento dell’Eucaristia.
Mi fece intendere che, per mezzo della sua infinita sapienza, e con la mia cooperazione, potevo perpetuare il mio spirito alla sua presenza, per adorarlo nel SS. Sacramento dell’altare. A questo oggetto si degnò donare alla povera anima mia tre gradi di maggior grazia. Mi fece intendere che avessi soggettato all’obbedienza quanto mi era stato manifestato.
La povera anima mia, dubitando di non riportare dal mio direttore la licenza, ne mostrai al mio Dio la difficoltà, il quale mi assicurò che dal mio direttore ne avrei riportato benignamente la licenza. Mi fece intendere come, per mezzo di interna cognizione, avrebbe manifestato la sua volontà al mio direttore, il quale non solo avrebbe approvato quanto avrei riferito, ma mi avrebbe comandato di fare ciò.
Ed infatti così seguì. Il mio direttore non solo approvò, ma mi comandò di fare alla meglio che mi fosse possibile, con la grazia di Dio, quanto mi era stato manifestato.
Ottenuta dal suddetto la licenza ed il comando, mi presentai tutta amore, tutta carità al mio buon Dio, e, fatta un’amplissima offerta di perpetuarmi alla meglio che mi fosse possibile alla sua presenza, ebbi la bella sorte di sapere che molto potevo giovare ai poveri peccatori, fratelli miei, che amo teneramente, per essere io una dei capi tra loro.
Molte grazie mi promise di concedere a tutte quelle anime che sono a me unite, e a tutte quelle che mi beneficano e che saranno da me raccomandate, mi promise ancora che tutte quelle anime che mi si soggetterebbero godrebbero pace di coscienza. A queste misericordie di Dio, il mio spirito si profondava nel suo nulla, ammirava l’infinita liberalità sua verso di me miserabile peccatrice, e, lodando e benedicendo la sua infinita bontà, mi confessavo meritevole di mille inferni.
Beata Elisabetta Canori Mora
Nessun commento:
Posta un commento