NATURA DELL'UMILTÀ
Il terzo grado dell'umiltà è di voler che gli altri non soltanto ci riconoscano, ma pure ci trattino, come vili, abietti e spregevoli: di ricevere quindi con gioia tutti i disprezzi e tutte le umiliazioni possibili: di non essere mai sazi di obbrobri, ma al contrario desiderarli sempre con ínsaziabilità; in una parola, è desiderare di essere trattati secondo il proprio
merito. Ora, siccome l'anima veramente umile considera se stessa come un misero niente e una peccatrice maledetta, né dagli altri vuole essere considerata diversamente, essa, per la virtù dell'umilità
desidera pure di essere trattata come un niente, come creatura maledetta e miserabile peccatrice, due titolí meritevoli del disprezzo più profondo che si, possa concepire
Si abbia pure di noi tutto il disprezzo immaginabile, non sarà nulla ancora in confronto di ciò che meritiamo; donde avviene che l'anima veramente umile non può
sentirsi disprezzata. Qualunque cosa si dica o si faccia contro di essa, non ne arrossisce; tanto meno se ne offende, perché ogni disprezzo è una multa in confronto di ciò che in essa sente di meritare.
Il niente non ha nessun pregio, non ha nulla che possa essere oggetto dei nostri pensieri e delle nostre affezioni, quindi non merita neppure il disprezzo. Perchè chi dice niente, dice assenza di ogni essere e di ogni
perfezione mentre soltanto l'essere e la perfezione meritano stima e compiacenza. Inoltre, qual disprezzo non é dovuto al peccato? Esso non ha nulla che sia gradevole e sopportabile, ma al contrario, l'avversio
a Dio, che è l'unico vero bene, e quindi il peccato e la privazione di ogni bene.
E' certo che per un'anima veramente umile un'ingiuria è un onore: essendo essa un niente, non merita nè di essere considerata né che si pensi ad essa; non è degna neppure che un uomo al modo se ne occupi sia pur per dsprezzarla. Chi mai si rivolgerebbe al niente, anche per schernirlo? Non si ingiuria un fantasma; non ne vale la pena, poichè è niente. Colui
dunque che sa di non essere da se medesimo che un niente e quindi molto meno di un fantasma, si ritiene molto onorato che si pensi a lui anche per ingiuriarlo. Così, se viene dimenticata e disprezzata, non se ne meraviglia; e crede non si possa fare diversamente; lungi dall'essere sorpreso che lo si ingiurii, si stupirebbe se venisse trattato diversamente. Se anche nel suo interno, da Dio viene trattato con disprezzo ed abbandono, l'anima sinceramente umile non ne resterà
meravigliata, perché sa di non meritare altro.
E' questo il segno al quale si può riconoscere la vera umiltà; quando l'anima trovasi nelle aridità e si sente interiormente
come abbandonata e respinta da Dio, se è veramente umile si mette dalla parte di Dio e ne approva il modo di fare contro se stessa, si abbassa e si annienta nella preghiera condannando sè medesima e riconoscendo
di non meritare un trattamento migliore. Dobbiamo riconoscere che Dio con tutta ragione respinge le opere nostre e le nostre persone; e quando sentiamo che ci tratta in questo modo, se ne restiamo afflitti, è che non siamo umili, è segno che non siamo ben convinti della nostra incapacità per qualsiasi bene.
Il nostro niente rivestito da un essere corrotto dal peccato da se stesso in quanto tale, non può far altro che il peccato, non può che fallire in tutte le opere sue. E' questo un gran motivo di confusione, che deve farci riconoscere che Dio, il quale é
1’equità, la rettitudine medesima e la vera giustizia, ha pur diritto di respingerci noi e tutto ciò che viene da noi, perchè tutto quanto può
esservi nelle opere nostre di santo e a Lui gradito tutto proviene dal Figlio suo, nel quale Egli per l'operazione dello Spinto Santo, prende tutte le sue compiacenze.
Essere dunque così disprezzati e respinti anche da Dio, e inoltre maltrattati dai nostri superiori, dai nostri eguali e persino dai nostri inferiori, in una parola, da ogni creatura, ecco ciò che ci è dovuto e dobbiamo rallegrarcene come della cosa più giusta della cosa migliore e più desiderio per noi, più conforme al desiderio di Gesù Cristo, e che perciò dobbiamo preferire.
Dobbiamo dunque amare lo stare al basso da qualunque bassezza, dovunque la troviamo, non soltanto in questo mondo ma pure per l'altro, non soltanto sulla terra ma pure in Cielo. Dobbiamo compiacerci di stare nel posto più infimo; come raccomanda Nostro Signore, e amare l'ultimo posto in tal modo che lo desideriamo anche in Paradiso,
-continua-
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