venerdì 21 agosto 2020

DIO E IL CREATO



L‘ARTISTA DIVINO 

Questa dottrina della creazione è carica di implicazioni dottrinali e spirituali di ogni specie che saranno esposte a poco a poco nel seguito di queste pagine. La prima che si offre alla meditazione è quella del Dio artefice e artista che imprime alla sua opera una traccia della sua bellezza 134 . Si tratta di un luogo comune del pensiero medievale che ha trovato la sua traduzione perfino nella pittura; inoltre è nota quella miniatura della scuola di Chartres in cui il Creatore, con il compasso in mano, si dà da fare per realizzare una terra perfettamente sferica. Non si può dire qui che l‘arte imiti la natura perché prima della creazione non vi è niente, occorre perciò che il Creatore divino prenda se stesso come modello. Essendo acquisito peraltro il principio generale secondo cui l‘effetto assomiglia alla sua causa e, più precisamente, l‘opera al suo autore, si è dunque obbligati a concluderne che la creazione assomiglia al suo Creatore: «Dio è causa esemplare di tutte le cose. È sufficiente per convincersene ricordarsi che un modello è necessario alla produzione di una cosa se si vuole che l‘effetto riceva una forma determinata. Infatti, è perché osserva un modello che l‘artigiano produce nella materia una forma determinata, sia questo modello a lui esterno, oppure interiormente concepito dalla sua intelligenza. Ora, è chiaro che le cose prodotte dalla natura ricevono una forma determinata. Questa determinazione delle forme deve essere riportata come al suo primo principio, alla saggezza divina che ha elaborato l‘ordine dell‘universo, il quale consiste nella disposizione differenziata delle cose. E per questo bisogna dire che la saggezza divina contiene le nozioni di tutte le cose, che precedentemente abbiamo chiamato ―idee‖, cioè forme esemplari esistenti nell‘intelligenza divina 135 . E sebbene queste siano molteplici secondo la loro relazione alle realtà, non sono realmente distinte dall‘essenza divina, poiché la somiglianza di questa può essere partecipata in modo diverso dai diversi esseri. Così dunque Dio è egli stesso il primo modello di tutto» 136 .  

Per quanto approssimativo sia, il paragone dell‘Artista divino con un artigiano di questa terra che lavorando crea, è in se stesso altamente suggestivo. E ciò molto più di quanto non si penserebbe di primo acchito, dato che qui è la Trinità che è all‘origine di questa opera d‘arte che è il mondo, e noi abbiamo visto che ogni Persona vi partecipa secondo quanto le è proprio, seguendo l‘ordine stesso delle processioni 137 . Se è così, una nuova conclusione s‘impone: si troverà necessariamente una somiglianza, una «traccia» (vestigium) della Trinità in tutte le creature e non solo nell‘uomo. Basandosi su sant‘Agostino, Tommaso non teme di affermarlo, anche se distingue due modi in cui un effetto può assomigliare alla sua causa: come vestigio o come immagine. Ritroveremo l‘immagine nel capitolo seguente, ma la dottrina del vestigio è già molto ricca. Si parla di vestigio o di traccia quando l‘effetto rappresenta la causalità dell‘agente che l‘ha prodotto, ma non la sua forma; così il fumo o la cenere evocano il fuoco ma non lo riproducono: «La traccia mostra proprio che qualcuno è passato in quel posto, ma non ci dice chi». Eppure ciò è già qualcosa ed è sufficiente a Tommaso per affermare che «in tutte le creature vi è una rappresentazione della Trinità per modo di vestigio, nel senso che si trova in ciascuna di esse qualcosa che bisogna necessariamente riferire alle persone divine come a loro causa... Infatti, in quanto è una sostanza, la creatura rappresenta la sua causa e il suo principio e così manifesta il Padre, Principio senza principio. In quanto ha una data forma e specie essa rappresenta il Verbo, poiché la forma dell‘opera deriva dall‘artefice che l‘ha concepita. Infine, in quanto è ordinata ad altre realtà la creatura rappresenta lo Spirito Santo che è amore: infatti, l‘orientamento di una cosa a un‘altra è l‘effetto di una volontà creatrice» 138 . Per fondare questi esempi di cui trova l‘ispirazione in sant‘Agostino 139 , Tommaso si riferisce alla celebre triade del libro della Sapienza (11, 21) secondo la quale Dio ha disposto tutto con misura, calcolo e peso; «la misura riferendosi alla sostanza di una cosa limitata ai suoi propri elementi, il calcolo alla specie e il peso all‘ordine». Secondo lui, si potrebbero facilmente ricondurre a questa triade molte spiegazioni proposte dai vari autori, ma si guarda dallo spingere troppo lo spirito di sistema al punto di ritrovare la triade dappertutto. E sufficiente che l‘uno o l‘altro di questi elementi sia presente affinché, essendo sempre la Trinità creduta per fede, sia possibile procedere a questo tipo di appropriazioni.  San Tommaso ha spesso dato delle spiegazioni su questa distinzione fondamentale tra immagine e vestigio 140 ; senza soffermarci ora su di essa, occorre sottolineare en passant l‘interesse spirituale di questa dottrina. Che Dio sia in tal modo riconoscibile mediante la sua traccia nella creazione, costituisce evidentemente il punto di partenza per dimostrare l‘esistenza di Dio 141 , ma è anche lecito adottare «riconoscere» nel senso di «confessare», e allora è aperta la via alla lode e all‘ammirazione. Come il Salmista, Tommaso sa bene che «i cieli narrano la gloria di Dio» e non è né il primo né il solo. E soprattutto con sant‘Agostino, al quale rinvia, egli ritiene che «le creature sono come delle parole che esprimono l‘unico Verbo divino» 142 . Senza avere il brio di Agostino né il lirismo di san Giovanni della Croce, che pure si serve di questa vena 143 , egli condivide la stessa convinzione e la esprime con la sobrietà del suo proprio carisma: «Il mondo intero così non è nient‘altro che una vasta rappresentazione della Sapienza divina concepita nel pensiero del Padre» 144 La preoccupazione, legittima e necessaria, di ben precisare lo statuto esatto di questa conoscenza di Dio a partire dalla creazione ha fatto sì che a volte i suoi discepoli mettessero in secondo piano il sentimento di ammirazione estasiata che coglie il credente alla vista di tutti questi segni della Trinità; niente tuttavia impedisce di leggere il Maestro anche in questo modo 145 . 

di P.Tito S. Centi  e P. Angelo Z.

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