Gesù Cristo non aveva, per parlare propriamente, la virtù della speranza:
non era possibile sperare ciò che si possiede. La virtù teologale della speranza ci fa desiderare il possesso di Dio, mentre ci dà la confidenza di ricevere le grazie necessarie per conseguirlo. L'anima di Cristo, per la sua unione col Verbo, era ripiena della divinità e non poteva avere la speranza. Tale virtù esisteva in Cristo soltanto nel senso che Egli poteva desiderare, e desiderava infatti, la glorificazione della sua santa umanità; la gloria accidentale, che doveva essergli resa dopo la sua resurrezione (1). Di questa gloria egli possedeva in sé la sorgente e la radice fino al momento della sua incarnazione; la lascia scorgere un istante nel momento della sua Trasfigurazione sul Tabor, ma la sua missione quaggiù fra gli uomini l'obbligava, fino alla sua morte, a velarne lo splendore. Gesù Cristo domandava anche delle grazie a suo Padre: per esempio, alla resurrezione di Lazzaro, vediamo che egli si rivolge a suo Padre con la confidenza più assoluta (2).
Egli ha praticato la carità al più alto grado. Il cuore di Cristo è una immensa fornace d'amore. Il grande amore di Cristo è l'amore per suo Padre. - Tutta la sua vita può riassumersi in questa parola: «Io cerco soltanto ciò che piace al mio Padre».
Meditiamo questa parola nell’orazione; soltanto allora potremo penetrare un po' il segreto. Quest'amore indicibile, questa tendenza dell'anima di Gesù Cristo verso il Padre è la conseguenza necessaria della sua unione ipostatici.
Il Figlio appartiene interamente «a suo Padre»: Ad Patrem, come dicono i teologi; tale è la sua essenza, se così posso esprimermi: la santa umanità è trasportata in questa corrente divina. Essendo diventata, per mezzo dell'Incarnazione, l'umanità vera del Figlio di Dio, essa appartiene interamente al Padre. Bisogna necessariamente che la disposizione fondamentale, il sentimento primo ed abituale dell'anima di Cristo sia questo: lo vivo per mio Padre, «io amo mio Padre» (1). Gesù compie tutta la volontà di suo Padre perché lo ama; il suo primo atto, entrando in questo mondo, è un atto di amore verso di lui: «O Padre, eccomi, io vengo per fare la vostra volontà» (2).
Si può dire che tutta la sua esistenza quaggiù non sarà che lo sviluppo di questo atto iniziale. Durante la sua vita si compiace di ripetere che suo nutrimento è il fare la volontà del Padre suo (3). Perciò compie sempre ciò che piace a suo Padre (4).
Tutto ciò che suo Padre aveva deciso per lui, egli l'ha effettuato «fino all'iota», vale a dire fino all'ultimo particolare (5). Infine, per amore verso suo Padre, egli è divenuto obbediente fino alla morte sulla croce (6). Non dimentichiamo che se Cristo ha potuto dire: «Non c'è più grande amore di quello di dare la vita pei propri amici» (7); se è di fede che egli sia morto per noi e per la nostra salvezza, resta vero che Nostro Signore ha dato la vita prima di tutto per amore verso il Padre. Amandoci, egli ama suo Padre; egli ci vede e ci trova nel Padre suo (1); sono queste le sue parole: «Io prego per essi poiché sono vostri». Sì, Cristo ci ama perché siamo figli di suo Padre, perché gli apparteniamo. Egli ci ama di un amore ineffabile, che sorpassa tutto ciò che possiamo immaginare, al punto che ognuno di noi può dire con S. Paolo (2), «Egli si è dato a me, poiché mi ha amato».
Beato Dom COLUMBA MARMION
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