giovedì 2 settembre 2021

LETTERE D'UN EREMITA

 


ROMA E L'ITALIA. 

Qualunque sia il vostro parere intorno al confronto che io ho creduto di poter fare tra il popolo ebreo ed il popolo italiano, confronto da cui ho cominciata la serie di queste lettere, egli è certo, o signore, che Roma è al centro d'Italia, e che il nuovo regno italiano rinserra da ogni banda quella porzione dello stato della Chiesa che resta tuttavia al Papa. Questo semplice fatto dà molta importanza allo studio delle relazioni ora esistenti tra il Vaticano ed il nuovo regno per chi voglia giudicare del tempo più o meno lungo che ancora ci separa dall'ultima persecuzione della Chiesa. Roma al tempo dei pagani aveva una missione provvidenziale, e nell'era cristiana ne ha una anche più grande. Roma pagana, che non potè mai essere conquistata, preparava la gloria di Roma cristiana; era suo destino di conquistare il mondo colla spada per offrirlo ai successori di Pietro, i quali dovevano divenirne padroni per mezzo della croce. Al dileguarsi del mondo pagano, i barbari piombano sull'Italia da tutti i punti della terra; sognano di piantare sulle rovine dell'antico un nuovo impero universale, ma niuno può reggersi; i successori di Pietro soltanto si mantengono nella Città Eterna. Roma appartiene alla croce. È la croce che fa risorgere l'antica città imperiale dalle rovine; è in grazia sua, e per suo vantaggio che ivi si edifica una nuova città degna di quella che era quasi scomparsa. I capi dei barbari, gl'imperatori, i conquistatori, i condottieri possono bensì spingersi fin dentro Roma, non già stabilirvisi; quelli che durano a mantenervisi costante mente sono una serie di vecchi inermi. In mezzo al turbine degli sconvolgimenti, per seguitati, martirizzati bene spesso, esiliati qualche volta, essi sono sempre romani e, si trovino dentro o fuori delle mura di quella città, stanno sempre a capo della cittadinanza romana. Non ci sono altri monarchi romani all'infuori di loro. Dalle invasioni dei barbari fino a Napoleone I, Roma vide assai conquistatori nelle sue mura, ma il padrone di Roma è sempre stato uno di cotesti vecchi che sono i successori degli apostoli. La gloria umana non può più dar nulla a Roma; passate sono per lei le apoteosi guerriere; ella non deve più essere che o la città dei morti o la città dei santi. I successori degli apostoli la resero la città dei santi: è sua missione d'irradiare su tutto il mondo lo spettacolo della santità, e di conservare, finchè sarà la sede del vicario di Cristo, il sacro deposito delle verità che il Creatore ha voluto rivelare agli UIOIm1ml. Vediamo ora, se il popolo italiano non abbia punto da menar legittimo vanto di questo bel privilegio che ha di possedere sul suo territorio la città santa dei veri credenti. Dio, il quale mostrava una così tenera cura per il popolo eletto dell'antico testa mento, non ha dunque fatto nulla per la nazione in mezzo a cui pose il capo visi bile della sua Chiesa? I paesi d'Europa vengono desolati da scismi, perturbati dal l'eresia, scompigliati dalla rivoluzione; in tutti si manifestano di codesti sconvolgi menti dell'ordine morale, tranne l'Italia, cui Dio accorda il tempo necessario per misurarne le orribili conseguenze, e meditarle. Nessuno di quei mali mette radice nella Penisola. Se non che, essendo la rivoluzione il peggiore dei disordini morali, perchè con tiene tutti gli altri, la Provvidenza permise che quella del 93, passate le Alpi, vi facesse una breve apparizione, il che probabilissimamente avvenne acciò che la parte del popolo più ignorante, quella che non tanto facilmente si sarebbe potuta fare un concetto delle orgie sanguinose della Francia in quel tempo, potesse anch'essa sentire la differenza tra il giogo di Dio, rappresentato dalla sua Chiesa, e il giogo del demonio rappresentato dalla rivoluzione. Ma niuna cura, per quanto attenta, della Provvidenza può impedire l'abuso del libero arbitrio, e questo deve aprire la strada al figliuolo della perdizione. Le lezioni della storia, la ricordanza stessa d'un tempo appena trascorso non hanno portato alcun frutto. v - - Quando Isaia con amare parole prediceva agli Ebrei la loro ostinazione a non riconoscere la venuta del Messia, chi sa che non vedesse ancora traverso ai secoli un altro popolo che doveva ostinarsi a non riconoscere i segni precorritori della venuta del l'Anticristo. Già sapete che io sono inclinato a crederlo, sia per il confronto che vi ho fatto tra i due popoli eletti, sia perchè è noto che gli esempi di queste doppie visioni, di queste profezie miste, riferentisi in uno ad avvenimenti dell'antico e del nuovo Testamento, s'incontrano spesso nelle sacre pagine. - Sentiamo Isaia: « Ed egli disse: va, e dirai a questo popolo: Ascoltate, e non vogliate capire; e vedete, e non vogliate in tenderla. Accieca il cuore di questo popolo, e istupidisci le sue orecchie, e chiudi a lui gli occhi; affinchè non avvenga che co' suoi occhi egli vegga, e oda co' suoi orecchi, e col cuore comprenda, e convertasi, ed io lo sani. E dissi: Fino a quando, o Signore? Ed egli disse: Fino a tanto che desolate rimangano le città, senza di chi le abiti, e le case senza uomo, e la terra sarà lasciata deserta. E il Signore manderà lontano gli uomini, e moltiplicheranno gli abbandonati sopra la terra. Ed ancora ella (la nazione eletta come dimostra S. Gerolamo) sarà de cimata, e di nuovo sarà mostrata a dito come un terebinto, od una quercia che spandeva i suoi rami: seme santo sarà quello che di lei resterà in piedi. » Il profeta dice in sostanza agli abitanti della Giudea: Non ostante tutti i segni che io vi predico, non ostante tutto quello che vi ho annunziato e vi annunzio ad alta voce, voi non riconoscerete il tempo in cui il Salvatore verrà, epperciò la vostra nazione sarà dispersa. Ed a me pare che ei voglia anche dire agl'Italiani: Non ostante i segni che avrete innanzi agli occhi, non ostante gli avvertimenti di Dio e della sua Chiesa, l'apostasia vi chiuderà gli occhi e le orecchie; voi v inchinerete dinanzi al falso Messia e la vostra nazione sarà dispersa.

Qui prevedo una obbiezione, cui voglio tosto rispondere: Che ci parlate di apostasia? Il popolo italiano, mi si dirà, è il primo a gemere per il giogo che gli pesa sopra, a detestare, a maledire l'opera della rivoluzione; egli non s'inchina punto agli idoli di Baal, e non si appresta per nulla ad erigere altari all'Anticristo. Lo si vede per contro offrire incensi al vero Dio, ricevere colla più profonda venerazione la parola del Vicario di Cristo, e dare al mede simo le più splendide prove d'una divozione sincera. È verissimo, ma importa assai aver bene - in mente che, di quanti parlano del figliuolo del peccato, niuno dice che ei debba regnare per l'affezione del popolo; che anzi ce lo dipingono come uno dei tiranni più esecrabili, destinato ad esercitare contro i buoni una persecuzione sì fiera, che sorpasserà ogni altra che siasi mai veduta. Il numero dei martiri che ei deve fare in po chi anni sarà superiore a quello che diedero al cielo diciotto secoli di persecuzioni d'ogni maniera. Vedete di qui, signore, se al tempo di cui parlo, non vi debbano più es sere, e in Italia e fuori, degli avanzi di quel seme santo! Alla fine del mondo questo seme non si troverà soltanto in copia, ma sarà purgato e fortificato per resistere alla seduzione e col martirio trionfare della persecuzione. Or bene, noi vediamo, tanto in Italia quanto presso le altre nazioni cattoliche, i tepidi, gli uomini di fede malferma farsi di giorno in giorno più rari; essi o passano al nemico, o si fanno saldi nella fede; ed anche questo mi pare che provi qualcosa in favore della mia tesi. Ma ciò che forma un popolo sono le sue istituzioni sociali ed il suo governo; per questo egli è una nazione. E la nazione, qualunque sia il carattere del popolo che la costituisce, viene rappresentata da suoi capi, da suoi ministri, da suoi amministra tori, da tutti quelli che formano il potere e che possono condurla verso il bene o verso il male a loro talento. Ora, ed abbenchè il numero dei fedeli sia ancora ai di nostri assai grande in Italia, v'ha forse alcuno che abbia il coraggio di affermare che Dio è colla nazione italiana? Oh! che resta di cristiano a questo regno infelice? Non la sua origine, certamente. Questa grande agglomerazione si fece ad onta della giustizia e del diritto, nonostante i trattati, in onta degli anatemi della Chiesa. Non le sue istituzioni fondamentali; chè i principii su cui elle riposano sono condannati dall'Enciclica Quanta cura, e nella loro applicazione si trovò modo di renderle an che peggiori a danni della Chiesa. Veramente è proprio l'Italia dei nostri giorni quel popolo, al quale Iddio potrebbe ripetere per bocca d'Osea: « Voi non siete più mio popolo, ed io pure non sono più il vostro Dio » (Cap. I, vers. 9). Noi sappiamo che il carattere distintivo dell'epoca anticristiana dev'essere l'apostasia. Il Governo italiano, probabilmente senza pure avvedersene, eseguisce puntualmente i disegni della Provvidenza. Il partito, che dalla fondazione del nuovo regno tenne costantemente il potere in mano, ha sempre combattuto Pio IX sotto il pretesto di tutelare gl'interessi della religione. Al disopra del partito garibaldino, che colla violenza vuole farla finita coi vampiri di Roma, colla lebbra sacerdotale, colla peste abbominevole dei preti (sono questi i titoli che ei danno agli avversari dell'apostasia) vi hanno i ministri, le camere, la Rivoluzione sedicente moderata, che segue un'altra via: essa manda al Vaticano le sue minacce ed i suoi ultimatum in nome del progresso e dello spirito del secolo. Tutti sono d'accordo per pigliare Roma ai papi: e il partito d'azione e il governo non hanno su questo punto che un solo volere; ma quest'ultimo lo guida con mag gior prudenza, e pretende che il Papa si spogli da se stesso del potere temporale, benedica quelli che la Rivoluzione chiama nuovi principii, presti omaggio allo spirito del tempo e abbandoni le antiche supersti zioni. Neppur uno di questi uomini di stato del partito governativo rammenta il Catechismo; la loro condotta lo dice chiaro. Ma non pare che essi credano gran che necessario il co noscerlo per affibbiarsi il nome di cattolici; infatti essi diconsi cattolici in ogni occa sione, ed ogni volta che si rivolgono al Santo Padre, il fanno sempre in nome dei sacri interessi della religione.

Uno di costoro, il Vacca, ministro di Grazia e Giustizia, presentando al Parla mento una delle tante leggi che si fecero per la spogliazione del clero, esprimeva nella sua relazione il vivo desiderio « di vedere il Papa e il clero tornare alla morale pu rissima dei Fondatori della religione catto lica. » Costui ignora che il cristianesimo è stato fondato dal Figlio di Dio, e non ha altri fondatori che lui; ma ciò non gl'im pedisce di trovare la morale cristiana assai degenerata e corrotta, e di ricordare al Sommo Pontefice che la sola âncora di sa lute rimasta alla Chiesa è di lasciare che il governo italiano s'impadronisca di tutti i suoi beni, e di pensare a ricondursi ad una morale più pura. Il generale La Marmora, uno dei capi del partito moderato, parlando alla Camera nella seduta del 24 febbraio 1866, nel qual tempo egli era presidente del Consiglio, si esprimeva in questi termini sopra la que stione di Roma: «Il Governo imperiale è d'opinione che il potere temporale del Papa sia necessario per l'indipendenza della Chiesa, per il manteni mento della religione cattolica. Il Governo im periale è persuaso, almeno si lusinga, ha speranza che una volta abbandonato a sè stesso, il Governo pontificio faccia suo pro dei suggerimenti che gli vengono d'ogni parte; introduca grandi riforme, cambi sistema di governo, addivenga ad una riconciliazione co'suoi sudditi e col regno d'Italia...... Noi italiani crediamo invece che nell'interesse della religione, nell'interesse del cattolici smo, dell' autorità del Pontefice, gli con venga di sbarazzarsi il più possibile del tem porale. Io vado anche più in là, io credo che questo non sia il solo passo che, nell'in teresse della religione, si debba fare dal Pontefice. Io penso che, se il Pontefice vuole acquistare il prestigio che tutti gli augu riamo, la vera indipendenza, bisogna che respinga quella setta retrogada, quella setta furibonda, quella setta che non ha altro di sacro che il nome, che non ha senti menti di patria, che non rispetta quanto vi è di più generoso, che porta perfin la discordia nelle famiglie, che falsa una re ligione tutta d'amore, di carità e di tolle ranza, e non parla che di vendette e di minaccie. Queste cose, o signori, io le dico nell'interesse della religione, perchè io so che l'Italia è cattolica e vuole stare cattolica... » Le opinioni del La Marmora sono iden tiche a quelle di tutti i presidenti del Com siglio che lo hanno preceduto, o che ven nero dopo di lui, dacchè si parla del regno d'Italia; imperocchè questo regno è giunto a ridurre la questione di Roma in termini semplicissimi: Che il Papa cominci a levarsi dai piedi quell'imbarazzo del potere tem porale, e poi s'occupi egli di restituire alla religione cattolica il lustro di cui ha bi sogno, di spogliarla di tutte le supersti zioni che la macchiano, e di ricercare la fonte della morale purissima dei fondatori di questa religione, che da tanti secoli si è perduta di vista. Io ho dinanzi agli occhi i rendiconti delle Camere e le note diplomatiche. Tutti parlano lo stesso linguaggio: sono sempre le stesse querele, le stesse recriminazioni, gli stessi gemiti, gli stessi consigli. A tutta questa buona e brava gente scoppia il cuore dav vero in vedere Pio IX sì poco sollecito degl'interessi della religione cattolica.

Il catalogo compiuto delle superstizioni che il S. Padre dovrebbe tor via non è ancora fatto; si aspetta a compilarlo in Campidoglio, quando si sia padroni di Roma. Ma, se si guarda alla condotta del Governo italiano, si fa presto a formarsi un'idea di ciò che cotesti nuovi apostoli ammettono o condannano. Per esempio, essi non possono ammet tere che i comandamenti di Dio siano su periori alla volontà del popolo, nè che i concilii abbiano diritto di decretare scomu niche. Tutte superstizioni! Superstizioso chi riconosce nei Papi i vicarii di Gesù Cristo! Gesù Cristo, in primo luogo, non è stato che uno dei fondatori della religione, e poi i Papi hanno sì spesso obbliata la morale purissima, che non sanno più ove la sia. Superstizioso chi crede che gli ecclesiastici debbano ubbidienza al proprio ordinario! I sacerdoti sospesi dai loro vescovi ottengono impieghi dal governo, massimamente nella pubblica istruzione. E qui fo punto, perchè m'avveggo che ad un compiuto catalogo delle superstizioni condannate dagli uomini di stato d'Italia non basterebbe un grosso volume. Temo forte che il dogma, la morale e la disci plina, siano tutt'insieme una grande super stizione agli occhi loro. Ma queste non sono cose nuove, signore. L'ingiurioso epiteto di superstiziose dato alle credenze cristiane lo troviamo in ogni secolo sulle labbra dei nemici della Chiesa. Egli è sotto colore di combattere le super stizioni che si fecero le prime persecuzioni; niuna maraviglia che collo stesso pretesto abbia luogo anche l'ultima. Sappiamo da Svetonio (Ner. 16) e da Tacito (annal. XI, 15; XIII, 32; XIV, 44) che i cristiani erano sotto Nerone chiamati genus hominum super stitionis novae et maleficae. Si ringraziava Nerone, l'idolo del popolo, di aver purgato l'impero dalla superstizione cristiana; come ne fa fede una iscrizione in onore di lui, che si è scoperta in Ispagna: - - - - - Ob provinciam latronibus et his qui no vam generi humano superstitionem inculcabant purgatam. I ladri ed i cristiani erano posti sulla stessa linea nei primi secoli della Chiesa; negli ultimi tempi, i violatori della proprietà saranno (e già lo sono) trattati assai meglio di coloro che vorranno man tenere gli uomini nelle credenze supersti ziose e malefiche, cioè nella fede cattolica. Ma v'è una cosa, cui Nerone non ha pensato, e che altri medita in questo se colo: ed è d'attirare i successori di Pietro all'apostasia. Orrendo a dirsi, e segno gravissimo dei nostri tempi! Non si vuole lasciare in pace la Chiesa. e non le si vuole dare la palma del martirio. Si osa sperare che essa ri nunzi spontaneamente alla missione che Cristo le affidò l Si ha il coraggio di dire al suo vicario che la fede ha bisogno di una trasformazione, che essa deve addat tarsi all'Era novella, ringiovanirsi con isti tuzioni più conformi allo spirito del nostro secolo ! Si spinge l'audacia fino a voler far cre dere che Pio IX sia circondato da una setta che lo fa agire a suo talento, e non si ha ros sore di dipingerci questa setta. Essa pone le verità rivelate dall'Uomo-Dio al disopra dei principii del nuovo diritto, tiene l' occhio alla patria celeste, promessa a tutti i fedeli, pur conservando per quella terrestre un'af fezione che non ha nulla di pagano, ubbidi sce in una parola ai precetti d'una religione destinata a trionfare dei secoli, anzichè alle sfuggevoli e mutabilissime esigenze dell'opi nione pubblica. È di questa setta che bisogna sbarrazzarsi! Donde tanta arroganza? Ch'ispira una tale perversità, una tale malizia? Chi so stiene tanta gente in questa lotta impossibile? Chi infonde in costoro una ostinazione così inaudita, che, battuti e ribattuti, tornano sempre all'assalto, a pretendere che il cu stode e dispensatore d'ogni verità religiosa e sociale si faccia stromento di menzogna? Raccoglietevi per un momento in voi stesso, o signore, e non tarderete guari a saper che cosa rispondere.

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