Maria e i Manichei
Serpeggiavano ancora le eresie degli ebioniti e dei doceti, allorché, sul principio del terzo secolo, si diffuse un nuovo errore detto «Manicheismo», dal suo fondatore Manete o Mani. Secondo alcuni scrittori, Manete sarebbe nato intorno al 216 in Babilonia, da genitori persiani. Sarebbe stato un povero schiavo di nome Cubrico. Si dedicò allo studio delle religioni, e, emigrato in Persia, di là promulgò la sua dottrina.
La dottrina di Manete non era che un miscuglio di varie religioni, tra le quali non mancavano nozioni anche della Religione Cattolica.
Ci dispensiamo dall'esporre il manicheismo che si presenta in modo assai confuso. A noi basta sapere che, sul sistema del docetismo, ammetteva che Gesù Cristo era un «Eone» (essere emanato dalla sostanza divina) apparso nel mondo con un corpo apparente. In breve, negava l'Incarnazione del Figlio di Dio, e sosteneva che Gesù Cristo non era nato da Maria, ma solamente era apparso.
Piace qui riportare la pubblica disputa che Manete volle sostenere con S. Archelao. Da questa disputa si potrà avere facilmente l'idea della eresia di Manete e la difesa della verità dalle risposte di Archelao.
Manete, col Vangelo alla mano, voleva dimostrare che Gesù stesso aveva più volte dichiarato di essere disceso dal Padre, e mai aveva dichiarato di essere nato da Maria. Infatti, diceva Manete, Gesù disse: «Chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato» (Matt. 10). Una donna, la cui figliuola aveva uno spirito immondo, si presentò a Gesù e lo pregava di guarire la figlia. Gesù rispose: «Io sono venuto per i figli d'Israele, e non è bene togliere il pane dovuto ai figli per darlo ai cani» (Marco 7.2.30). Altra volta Gesù diceva: «Io sono venuto perché gli uomini abbiano la vita» (Giov. 10.10).
Con queste ed altre testimonianze prese dal Vangelo, Manete voleva sostenere che Gesù Cristo è venuto e non nato; che è apparso sotto le apparenze di uomo, ma non fu vero uomo. Non sia mai, diceva Manete, che io ammetta che il Nostro Signore Gesù Cristo sia disceso dal seno di una donna...!
Pensa, diceva ancora Manete ad Archelao, a colui che un giorno disse a Gesù: «Tua Madre e i tuoi fratelli ti aspettano fuori... ». Gesù rispose: «Chi sono i miei fratelli e chi è mia madre?» e soggiunse che sua madre e i suoi fratelli erano coloro che facevano la sua volontà (Marco 12.48). E dopo questo, come si può sostenere che Maria sia sua madre? Se tu, Archelao, continui a sostenere che Gesù è nato da Maria Vergine, per opera dello Spirito Santo, i fratelli di Gesù saranno anch'essi nati di Spirito Santo? Noi allora saremmo diversi cristi...! Che se poi non ammetti che siano nati dallo Spirito Santo, da chi saranno venuti questi fratelli di Gesù?
D'altra parte (è sempre Manete che parla), guardiamo come Gesù tratta l'Apostolo Pietro. Un giorno Gesù chiese ai suoi Apostoli cosa pensassero gli uomini di lui: essi risposero che alcuni lo ritenevano per Giovanni Battista, altri per Elia ed altri per un profeta. Ma voi, riprese Gesù, chi credete che io sia? Allora Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente...». E Gesù: «Beato te, o Simone, perché queste cose non te le ha rivelate la carne, ma il Padre mio» (Marco 8. 27).
Considera ora, Archelao, con quale diversa maniera Gesù accoglie ciò che si dice di lui. A chi aveva detto: Ecco tua madre e i tuoi fratelli, egli risponde: Chi è mia madre e i miei fratelli? A Pietro che gli dice: «Tu sei il Cristo...», lo chiama beato...! Come si spiega questo parlare di Gesù? Se tu, Archelao, continui a dire che Gesù è nato da Maria, mentre Gesù non si cura di lei, allora è falso lui e il suo Apostolo Pietro. Che se poi Pietro dice la verità e Gesù lo benedice, tu sei nel torto ed io dalla parte della ragione (Encic. Cat.). Dopo questa esposizione da parte di Manete, prese la parola Archelao, il quale non trovò molta difficoltà a dimostrare che i testi citati si debbono prendere in un senso relativo e di circostanza, e non nel senso assoluto e generale, come aveva fatto Manete. Infatti, Archelao, per analogia, servendosi degli stessi passi del Vangelo, citati dall'avversario, portò la risposta che Gesù diede a Pietro quando, per un atto di amore, l'Apostolo si opponeva alla Passione del Maestro: «Ritirati, o satana, perché tu non sai ciò che è di Dio» (Matt. 16. 22).
Come conciliare questo diverso modo che Gesù adopera con lo stesso Apostolo Pietro? Lo si spiega tenendo conto delle particolari circostanze di tempo e di cose...! Perché Gesù, quando i demoni gli gridavano: «Noi ti conosciamo, sei il santo di Dio», li rimprovera e impone loro silenzio? Avrebbe dovuto benedirli, perché dicevano la verità. Ma invece no; perché le parole del Vangelo vanno prese secondo le circostanze del luogo, del tempo, delle persone e delle cose a cui si riferiscono. Anche la frase: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli, non è ordinata a misconoscere la madre sua, ma va intesa in ordine alla circostanza, come di uno che assorto nel suo discorso, non vuole essere interrotto. E se in quella occasione Gesù disse che madre sua e fratelli suoi sono quelli che fanno la volontà di Dio, non fu una mancanza di rispetto verso la madre sua: che anzi la esaltò siccome quella che, sopra ogni cosa creata, aderì sempre a Dio per amore, e fu sempre assorta in Dio.
Riguardo poi ai fratelli di Gesù, Archaleo fece presente al suo avversario Manete, che le parole dell'Evangelista corrispondono al vocabolo aramaico aha e all'ebraico ah, che possono significare tanto fratelli che cugini. L'esame attento dei Vangeli (Matt. 27. 56 - Luc. 24. 10 - Giov. 19. 25) prova che presso gli abitanti di Nazareth, quelle parole si riferivano a cugini e non a fratelli carnali. Ad esempio, in S. Marco (15.40 - 15.47 - 16.1) si parla di Giacomo e di Giuseppe come figli di Maria, ma era un'altra Maria; non la Madre di Gesù. (Encicl. Catt. Ediz. Vatc).
La logica di Archelao fu terribile; fece indietreggiare l'eresiarca che fuggì in Persia, dove il re lo fece scorticare vivo tra il 273 e il 277, perché gli aveva promesso di guarirgli un figlio ammalato, e invece il figlio morì.
Contro le prove di Manete, per dimostrare che Cristo non è uomo, perché non nato, ma venuto, stanno ancora gli scritti dei santi Padri, i quali, appellandosi alla Divina Maternità di Maria, trovano in questo mistero quanto occorre per abbattere l'eresia che tenta di negare la reale Incarnazione del Figlio di Dio.
Ecco quanto scrive S. Efrem Siro, Il più ricco di lodi e di preghiere alla Beatissima Maria: «La Vergine è fatta Madre, la natura produce, un seno alimenta, una giovane fanciulla aiuta e coopera. E come mai non avrebbe avuto altro che sembianze del parto chi ha voluto partecipare alla natura, all'essenza e al principio della gravidanza? Cristo crebbe in un seno, mentre come Dio non aveva bisogno di alcuno, e nacque figlio di una donna, mentre era Figliuolo di Dio. Egli ha riconosciuto Maria quale Madre sua, e, per lei, la Divinità si è stretta alla natura umana». (Serm. 148. de B. V. partu).
Non diversamente afferma S. Atanasio quando scrive: «Il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché il figlio dell'uomo, vale a dire di Adamo, fosse fatto figlio di Dio. Infatti quel medesimo Verbo che dall'alto, in una maniera ineffabile, il Padre genera nella eternità, è generato in terra nel tempo dalla Vergine, divenuta Madre di Dio». (De Incarnat.).
Questa è la dottrina che la Chiesa ha sempre pubblicamente professato fino dal primo secolo: il Figlio di Dio ha realmente preso carne dal seno purissimo di Maria Vergine, è nato da Lei quale vero uomo. Di questa verità, tutti i santi Padri se ne sono sempre serviti per combattere gli errori contrari. La Maternità di Maria compendia quindi in sé gli efficaci argomenti per rendere vane le astuzie dei nemici della fede.
P. AMADIO M. TINTI
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