LEGGENDA PERUGINA
( COMPILAZIONE DI ASSISI )
UN GUIZZO DI VANITÀ
41. Camminava un’altra volta per Assisi accompagnato da molta gente. Una vecchietta poverella gli chiese la elemosina per amore di Dio, e lui le donò all’istante il mantello che portava sulle spalle. Subito confessò ai presenti di aver provato un sentimento di vanagloria.
Di numerosi altri esempi simili a questi, noi che siamo vissuti con lui e che li abbiamo visti e uditi, non possiamo far parola, perché sarebbe troppo lungo narrarli per scritto.
L’aspirazione più alta e dominante di Francesco fu quella di non essere mai ipocrita davanti a Dio.
Benché al suo fisico malato si rendesse necessario un cibo più ricercato, considerando ch’era tenuto a mostrare sempre il buon esempio ai fratelli e alla gente, per togliere ogni ragione di mormorare e ogni cattiva impressione, preferiva sopportare l’indigenza pazientemente e con buona voglia, anziché provvedere alla salute.
Fece così fino alla morte, anche se, trattandosi meglio avrebbe ugualmente lodato Dio e dato buon esempio.
IL CARDINALE UGOLINO GLI ORDINA DI CURARSI
42. Quando il vescovo di Ostia, che fu poi pontefice, si accorse che Francesco era stato e seguitava a essere esageratamente duro con il suo corpo, e soprattutto che cominciava a perdere la vista e non si arrendeva a farsi curare gli rivolse quest’ammonizione, ispirata da molta pietà e premura: «Fratello non fai bene a rifiutare che ti si curino gli occhi, perché la tua salute e la tua vita è assai utile per te e per gli altri. Se hai tanta compassione per i tuoi frati infermi e sempre ti sei preoccupato di loro, non dovresti essere crudele verso te stesso, in questa tua grave ed evidente necessità. Ti ordino pertanto di lasciarti aiutare e curare».
Due anni prima di morire, quand’era ormai gravemente infermo e soprattutto sofferente d’occhi, ebbe dimora presso San Damiano in una celletta fatta di stuoie. Il ministro generale, vedendolo così sofferente per il male d’occhi, gli comandò di lasciarsi aiutare e curare. Aggiunse anzi che voleva essere presente di persona quando il medico avrebbe cominciato il trattamento, per essere più sicuro della cosa e anche per confortarlo, poiché era pieno di dolori. Ma faceva allora gran freddo, e la stagione non era propizia per avviare la cura.
NASCE IL CANTICO DELLE CREATURE
43. Francesco soggiornò a San Damiano per cinquanta giorni e più. Non essendo in grado di sopportare di giorno la luce naturale, né durante la notte il chiarore del fuoco, stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella. Non solo, ma soffriva notte e giorno così atroce dolore agli occhi, che quasi non poteva riposare e dormire, e ciò accresceva e peggiorava queste e le altre sue infermità.
Come non bastasse, se talora voleva riposare e dormire, la casa e la celletta dove giaceva (era fatta di stuoie, in un angolo della casa) erano talmente infestate dai topi, che saltellavano e correvano intorno e sopra di lui, che gli riusciva impossibile prender sonno; le bestie lo disturbavano anche durante l’orazione. E non solo di notte, ma lo tormentavano anche di giorno; perfino quando mangiava, gli salivano sulla tavola. Sia lui che i compagni pensavano che questa fosse una tentazione del diavolo: e lo era di fatto.
Una notte, riflettendo Francesco alle tante tribolazioni cui era esposto, fu mosso a pietà verso se stesso e disse in cuor suo: «Signore, vieni in soccorso alle mie infermità, affinché io possa sopportarle con pazienza!». E subito gli fu detto in spirito: «Fratello, dimmi: se uno, in compenso delle tue malattie e sofferenze, ti donasse un grande prezioso tesoro, come se tutta la terra fosse oro puro e tutte le pietre fossero pietre preziose e l’acqua fosse tutta profumo: non considereresti tu come un niente, a paragone di tale tesoro, la terra e le pietre e le acque? Non ne saresti molto felice?».
Rispose Francesco: «Signore, questo sarebbe un tesoro veramente grande e incomparabile, prezioso e amabile e desiderabile». La voce concluse: «Allora, fratello, sii felice ed esultante nelle tue infermità e tribolazioni; d’ora in poi vivi nella serenità, come se tu fossi già nel mio Regno».
Alzandosi al mattino, disse ai suoi compagni: «Se l’imperatore donasse un intero reame a un suo servitore costui non ne godrebbe vivamente? Ma se gli regalasse addirittura tutto l’impero, non ne godrebbe più ancora?». E soggiunse: «Sì, io devo molto godere adesso in mezzo ai miei mali e dolori, e trovare conforto nel Signore, e render grazie sempre a Dio Padre, all’unico suo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo e allo Spirito Santo, per la grazia e benedizione così grande che mi è stata elargita: egli infatti si è degnato nella sua misericordia di donare a me, suo piccolo servo indegno ancora vivente quaggiù, la certezza di possedere il suo Regno.
Voglio quindi, a lode di Lui e a mia consolazione e per edificazione del prossimo, comporre una nuova Lauda del Signore per le sue creature. Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non possiamo vivere, e in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo grande beneficio, e non ne diamo lode, come dovremmo, al nostro Creatore e datore di ogni bene».
E postosi a sedere, si concentrò a riflettere, e poi disse:
«Altissimo, onnipotente, bon Segnore...».
Francesco compose anche la melodia, che insegnò ai suoi compagni.
Il suo spirito era immerso in così gran dolcezza e consolazione, che voleva mandare a chiamare frate Pacifico – che nel secolo veniva detto “il re dei versi” ed era gentilissimo maestro di canto –, e assegnargli alcuni frati buoni e spirituali, affinché andassero per il mondo a predicare e lodare Dio.
Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare, rivolgesse al popolo un sermone, finito il quale, tutti insieme cantassero le Laudi del Signore, come giullari di Dio.
Quando fossero terminate le Laudi, il predicatore doveva dire al popolo: «Noi siamo i giullari del Signore, e la ricompensa che desideriamo da voi è questa: che viviate nella vera penitenza».
E aggiunse: «Cosa sono i servi di Dio, se non i suoi giullari che devono commuovere il cuore degli uomini ed elevarlo alla gioia spirituale?». Diceva questo riferendosi specialmente ai frati minori, che sono stati inviati al popolo per salvarlo.
Le Laudi del Signore da lui composte e che cominciano: «Altissimo, onnipotente, bon Segnore», le intitolò: Cantico di fratello Sole, che è la più bella delle creature e più si può assomigliare a Dio. Per cui diceva: «Al mattino, quando sorge il sole, ogni uomo dovrebbe lodare Dio, che ha creato quell’astro, per mezzo del quale i nostri occhi sono illuminati durante il giorno. Ed a sera, quando scende la notte, ogni uomo dovrebbe lodare Dio per quell’altra creatura: fratello Fuoco, per mezzo del quale i nostri occhi sono illuminati durante la notte».
Disse ancora: «Siamo tutti come dei ciechi, e il Signore c’illumina gli occhi per mezzo di queste due creature. Per esse e per le altre creature, di cui ogni giorno ci serviamo, dobbiamo sempre lodare il Creatore glorioso».
Egli fu sempre felice di comportarsi così, fosse sano o malato, e volentieri esortava gli altri a lodare insieme il Signore. Nei momenti che più era torturato dal male, intonava le Laudi del Signore, e poi le faceva cantare dai suoi compagni, per dimenticare l’acerbità delle sue sofferenze pensando alle Laudi del Signore. E fece così fino al giorno della sua morte.
VERGILIO GAMBOSO
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